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MONS IANICULUM

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PANORAMA DI ROMA DAL GIANICOLO
Colle Gianicolo, o mons Janiculum o mons Janiculensis, il più alto fra i colli di Roma (circa 90 m), fu uno dei primi insediamenti prima del Palatino da cui partì la fondazione di Roma, e segnava il confine della città dall'ager Etruscus, il territorio dominato da Veio, occupato dagli etruschi già dal V secolo a.c.

Il colle è collegato al culto di Giano, Ianus, il Dio degli inizi, sia di attività, sia temporali, ed è una delle divinità più antiche e più importanti della religione romana, latina e italica. E' una divinità esclusivamente romano-italica, la più antica degli Dei nazionali, senza riferimenti greci, cioè degli Di indigetes, invocato spesso insieme a Iuppiter.

Il suo culto è antichissimo e risale ad un'epoca arcaica in cui i culti dei popoli italici erano in gran parte ancora legati ai cicli naturali della raccolta e della semina.

È stato sottolineato da più autori, fin dal secolo scorso (Vedi "Il ramo d'oro") come Giano fosse probabilmente la divinità principale del pantheon  romano in epoca arcaica.

In particolare rimarrebbe traccia di questo fatto nell'appellativo Ianus Pater che permase anche in epoca classica. Nei frammenti superstiti del Carmen Saliare Giano è salutato con particolare enfasi come padre e Dio degli Dei.

Giano avrebbe regnato insieme alla alla ninfa Camese o Camesene per accogliervi Saturno fuggiasco e assegnargli poi il Capitolium.



IL COLLE

Roma considerò agli inizi il Gianicolo come estraneo alla città, solo intorno al I secolo a.c., in età tardo repubblicana, vi sorsero alcune ville suburbane e tra queste gli Horti di Cesare e la villa di Marziale, che era sulla dorsale di Monte Mario, ma che all'epoca faceva parte del Janiculum, come tutta la dorsale occidentale dei colli di Roma compresa da Monteverde a Monte Mario.

L'occupazione del colle da parte dei romani risale ai tempi del Re Anco Marzio (675 – 616 a.c.), il IV re di Roma, che consideravano già allora il colle come testa di controllo della riva destra del Tevere e di Ponte Sublicio, infatti ebbe un ruolo fondamentale per la difesa della città di Roma.
"E l'Autore dell' opera Cesaris Illustribus nel riferire l'accrescimento di Anco aggiunge che cinse di nuove mura la città: Aventinum, et Janiculum monteìs urbi addìdit: nova moenia oppido circumdedit."

In epoca imperiale il colle Gianicolo fu attraversato dagli acquedotti Alsietino e Traiano. Già in età Traianea, dall'alto colle vi era la discesa dell'acqua attraverso un lungo percorso prossimo alla attuale via Garibaldi che alimentava numerosi molini.

Monteverde è una propaggine del colle Gianicolo, in età romana vi si estraeva tufo da costruzione, la zona era ricca di catacombe e vi furono sepolti anche il Re Numa Pompilio e i poeti Ennio e Cecilio Stazio. Il toponimo "Monteverde", probabilmente deriva dalla presenza nella zona di tufo di colore verde giallognolo che vi si estraeva. In età arcaica il Gianicolo fu detto anche Montorio, ovvero monte d'oro, per il colore giallo del tufo sabbioso di cui è costituito.

GIANO DI VULCI

LE ACQUE

Sembra che sul colle sotto villa Sciarra vi fosse una sorgente naturale di acqua ed un'altra fosse nei pressi della chiesa di Sant'Onofrio che secondo il Lanciani medico di Papa Clemente XI aveva un potere terapeutico. Era attribuita a Giano la potestà di far zampillare dal terreno sorgenti e polle d'acqua.

Acqua damasiana -
Abbondantissimo di salubri acque è il Gianicolo. Esse emergono dagli strati pliocenici, a differenza di tutte le altre urbane che nascono dai tufi vulcanici. L'acqua damasiana, ritrovata col seguire il corso delle vene apparse nel taglio della intercapedine, sorge a circa 1120 metri a sud ovest della basilica, fuori porta Cavalleggieri, nel sito detto s. Antonino.

Vi sono due vene: la prima apparisce in fondo al pozzo o trombino, dal quale attingono l'acqua gli inquilini della casa di S. Antonino: la seconda sorge pochi metri più a valle. Discendono, unite, nel volume complessivo di oncie quattro entro lo speco damasiano, alto m. 1,34 largo m. 0,99, di buona e salda opera laterizia, a profondità varie sotto il piano del suolo; la massima essendo di metri 29,60, come può verificarsi per mezzo degli spiracoli disposti a giusti intervalli.

S. Damaso la condusse all'atrio della basilica, secondo il Cassio, (1, 48); nell'oratorio di s. Giovanni Battista, secondo il Ciampini; nel battisterio, secondo Ermodio di Pavia, ap. Sirmond. Opp. 1, 1647. Cf. de Bossi, lì. A, C. 1867, 33 sg. L'acqua damasiana ha sapore leggermente terroso, temperatura variabile, e grado idrotimetrico 15. Contiene in un litro 27 centigrammi di residui fissi, e centim. cubi 3,62 di ossigeno.



LA ROCCA

"Anco Marzio pose una guarnigione sul Gianicolo quasi rimpetto all'Aventino dove fondò una rocca, la quale anche a' giorni nostri è ammirabile"

A tutto ciò si aggiunga il perimetro dato da Dionisio a questo monte di 18 stadi, il che fa circa due miglia, ed un quarto, incompatibile colla estensione, che oggi si dà a questo colle e che è per lo meno tripla; mentre presso a poco il perimetro della parte dell'Aventino, che è parallela al Palatino ha circa due miglia, ed un quarto. che con molto lavoro rese quasi isolato un promontorio del monte suddetto, tagliandolo a picco da tre lati, e fortificandolo con muro, e lasciando sopra di esso una parte più alta, ove formò l'acropoli di dietro, verso ponente la elevazione del Gianicolo non fa alcun ostacolo alla rocca stessa imperciocché è troppo distante, e dalla sua sommità non si può scoprire né il Tevere, che traversa Roma, né i campi adiacenti, come dalla rocca.

Ed è questa una delle opere più portentose de' Romani, se si voglia riflettere alla epoca, in cui venne eseguita, ed è l'opera che fino ad ora venne negletta da coloro che illustrarono la topografia di Roma, e solo Piranesi ne diede qualche cenno.

E per potere bene esaminare questa rocca, ed averne una idea giusta, fa di bisogno entrare nella villa Spada posta sulla vetta del Gianicolo, dalla porta verso S. Cosimato, dove seguendo dirimpetto alla porta la via, la quale è tagliata nel monte, ed è in parte l'antica via Aurelia, si vede spiccare a destra la rocca che anticamente molto più alta si ergeva, se si considera quanto di terra, e di sabbia nel corso de' secoli deve avere riempito la valle.

Uscendo dalla stessa porta, e salendo alla spianata sulla quale è la chiesa di S. Pietro in Montorio, potrà aversi una idea della elevazione della rocca, la quale domina interamente la città antica, e moderna; la parte più alta della rocca è occupata dalla fontana Paolina, e dal giardino dietro di essa.

Che se si vuole discendere dalla fontana stessa verso Roma per la porta S. Pancrazio, si vede, che il Gianicolo a sinistra, dove è il giardino degli Arcadi, e pili oltre dove è il bosco della villa Corsini, è stato perpendicolarmente tagliato, onde rendere la rocca affatto isolata; e forse i muri del corridore, che servono ora di sostruzione al monte dietro le odierne cartiere, furono edificati sopra le antiche sostruzioni della rocca stessa, almeno ne seguono la linea, onde non abbia a credersi tal congettura troppo avanzata."



LUCUS FURRINAE

Proprio sul Gianicolo sorgeva il bosco sacro alla ninfa Furrina, divinità romana arcaica legata alle acque, chiamato lucus Furrinae, in corrispondenza di villa Sciarra, dove si trovava anche una fonte a lei dedicata, e dove nel 121 a.c. Gaio Gracco si fece uccidere dal suo schiavo Filocrate, dopo la sua fuga dall'Aventino, per non cadere nelle mani degli inferociti optimates.



SANTUARIO SIRIACO

IDOLO SIRIACO
Sempre sul Gianicolo, in questa area ora occupata dalla villa (Sciarra) sorgeva il piccolo santuario delle divinità siriache, con un’aula ottagonale con abside sul fondo e due nicchie laterali, preceduta da un vestibolo e affiancata da due ambienti stretti e lunghi.

Al centro dell'aula ottagonale, entro una cavità ricavata in un altare triangolare, furono rinvenute alcune uova di pietra oltre ad una statuetta di bronzo di cm 50 di altezza, rappresentante un personaggio maschile, composto e immobile, con le braccia poste lungo i fianchi, il cui corpo è avvolto nelle spire di un serpente.

Sembra trattarsi del rito del seppellimento del Dio Adone che moriva ogni anno per tornare in vita attraverso le sette sfere celesti simboleggiate dalle sette spire del serpente.

Ogni anno si celebravano le Adonie, dove Venere piange il suo amore perduto, ovvero Adone ucciso da un cinghiale, e in primavera il suo amore resuscita e torna con lei rinnovando la festa.


Il terzo settore, a sinistra del cortile, è costituito da un edificio basilicale preceduto da un atrio sul quale si aprono due celle laterali.

In quest’aula è stata rinvenuta una statua in marmo raffigurante Giove seduto in trono, ovvero il Dio principale della triade di Heliopolis, Hadad,  mentre le due nicchie laterali ospitavano Atargatis (la dea Syria dei Romani) e Simios (Mercurio).

Qui furono rinvenute anche una statua egizia in basalto nero, cioè Osiride raffigurato come un faraone, una statua di Bacco con il volto e le mani dorate ed altre sculture frammentate.



LA VILLA DI AGRIPPINA

 La vicenda di questa incredibile scoperta inizia nel 1999 quando, scavando il suolo di Roma in occasione dei lavori giubilari, sono stati trovati preziosi reperti provenienti da un complesso edilizio di età imperiale databile fra l’età traianea e il II – III secolo d.c., che da alcuni è stato identificato come la villa suburbana di Agrippina Maggiore, la madre di Caligola.

- Un lusso “sfrenato”, paragonabile forse solo alla ricchezza di un sultano o di uno sceicco della nostra epoca, caratterizzava gli arredi di questa domus romana, sconosciuta anche ai grandi nomi dell’archeologia contemporanea.

- Come possiamo rimanere indifferenti davanti alla varietà di almeno quindici pregiati marmi antichi, dai nomi così altisonanti ed evocativi da far girare la testa, come il rosso antico, il cipollino, il bigio, il pavonazzetto, il giallo antico, il serpentino e tanti altri che costituiscono un caleidoscopio cromatico di luci e colori, di cui anche i pochi frammenti superstiti riescono a suggerire la magnificenza del luogo.

- Marmi e non solo, perché gli scavi hanno riportato alla luce anche degli affreschi parietali, contraddistinti da esili e delicate architetture, dipinte nei teneri colori pastello del verde o nella vivacità, mai violenta, del giallo, del rosso e del blu.

- Fragili uccellini, che fanno invidia ai moderni trompe l’oeil, si alternano alle ghirlande e ai tralci floreali, quasi cantando la poesia della stagione primaverile.
- I motivi floreali tornano anche in due splendidi, nonché rari, capitelli di parasta, formati da una lastra di rosso antico su cui sono applicate deliziose foglie di acanto in marmo bianco e giallo antico e delicatissimi fiori di calcare verde, di una raffinatezza che sembra ricordare l’eleganza delle porcellane settecentesche.

- Un’opera che, anche dai pochi frammenti rimasti, ci suggerisce la dimensione di un capolavoro, degno di essere ammirato con i dovuti onori.
- L’ambiente, in cui sono stati trovati questi preziosi marmi, era anche ricoperto da un rivestimento di alabastro, di cui sono esposte in mostra alcune lastre, venate di sfumature policrome che variano dal tono caldo del giallo miele, listato di bianco, a quelle più accese e variopinte di un rosa più intenso.

Queste e tante altre sono le sorprese che riserva la mostra di Palazzo Altemps, in un percorso avvincente capace di riunire tanti reperti preziosi, allestiti secondo un criterio che riesce a calibrare in un perfetto equilibrio contenuto e contenitore - in questo caso d’eccezione perché si tratta dello scenografico teatro del Museo in appena due stanze del Museo.


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