Nome: Quintus Sertorius
Nascita: Nursia 122 a.c.
Morte: Osca 72 a.c.
Professione: Generale e Politico
I pareri su Quinto Sertorio sono piuttosto discordi:
Mommsen, considerato il più grande classicista del XIX secolo. Il suo studio della storia romana è ancora di importanza fondamentale nella ricerca contemporanea:
"…uno dei più grandi uomini, se non il più grande, che Roma avesse sino ad allora prodotto"
Giannelli, docente universitario di Antichità classiche, consigliere comunale della Dc di Firenze:
"…l'esempio classico dell'uomo di parte, capace di erigere il trionfo del partito sulle rovine della patria"
Definito dalla storiografia postuma “uomo di grandissimo ma pernicioso valore”.
Nascita: Nursia 122 a.c.
Morte: Osca 72 a.c.
Professione: Generale e Politico
I pareri su Quinto Sertorio sono piuttosto discordi:
Mommsen, considerato il più grande classicista del XIX secolo. Il suo studio della storia romana è ancora di importanza fondamentale nella ricerca contemporanea:
"…uno dei più grandi uomini, se non il più grande, che Roma avesse sino ad allora prodotto"
Giannelli, docente universitario di Antichità classiche, consigliere comunale della Dc di Firenze:
"…l'esempio classico dell'uomo di parte, capace di erigere il trionfo del partito sulle rovine della patria"
Definito dalla storiografia postuma “uomo di grandissimo ma pernicioso valore”.
Per quel che ci riguarda abbiamo grandissima stima del Mommsen e parecchio di meno del Giannelli, ma comunque cercheremo di farci noi stessi un'idea attraverso la storia della sua vita.
LE ORIGINI
Ce ne parlano: Plutarco nelle Vite di Sertorius e Pompeus; Appiano nella Guerra civile e Hispanica, Sallustio in alcuni frammenti, e Diodoro Cassio (XXXVI). Sia Plutarco che Sallustio hanno del personaggio una sconfinata ammirazione.
Gli storici aristocratici romani lo presentarono invece come un interessato avventuriero, un uomo violento, traditore ed avido di potere.
Di certo Plutarco fu un po' il Mommsen dell'epoca, indagatore, amante del vero, mai caricato nelle asserzioni e profondamente sincero.
Di Sertorio sappiamo che nacque a Nursia, nel territorio sabino, nel 126 a.c. dalla antica gens Sertoria che vi risiedeva da diverse generazioni. Per quanto di famiglia umile era nobile, parente di Gaio Mario in quanto figlio della cugina di questi. Si può ben comprendere quanto le gesta di Mario, uno dei migliori condottieri di tutti i tempi, che tanto infiammarono Giulio Cesare, potettero influire anche sul giovane Sertorio.
Della sua infanzia sappiamo solo che rimase presto orfano di padre e fu allevato dalla madre Rea, il cui gentilizio denota una origine secondo alcuni etrusca, secondo altri sabina, non usando tra le donne romane che un solo nomen, quello della loro gens. Comunque Rea è un nome di origine greca diffusosi poi nel Mediterraneo.
LA CARRIERA
Infatti si trasferì a Roma ancora giovanissimo, evidentemente deciso a sfruttare le proprie qualità, visto che all'epoca Roma era come l'America, il paese delle possibilità.
Qui si fece una reputazione distinguendosi sia come giurista che come oratore. Passò quindi velocemente alla carriera militare, e la prima battaglia in cui si distinse fu quella di Arausio del 105 a.c. nell'odierna città francese di Orange, in Provenza, contro le tribù nomadi del Cimbri, in cui dimostrò un coraggio eccezionale.
Infatti nel corso della tragica ritirata romana il giovane sabino, ferito e senza cavallo, attraversò il Rodano completo di tutta l'armatura, destando ammirazione per la determinazione, la resistenza fisica e l'estrema dignità.
L'essere riuscito a conservare armi e armatura che certamente appesantivano notevolmente il giovane ferito ed esausto fu di grande prestigio, per un romano perdere l'equipaggiamento era come per la legione perdere le insegne.
L'esercito romano era comandato dal console Gneo Mallio Massimo, un homo novus, e dal proconsole per la Gallia Quinto Servilio Cepione, aristocratico ed ex console.
Questa differenza di status aveva sollevato dei contrasti che portarono il caos fino alla sconfitta dei Romani, che persero quasi tutti gli uomini sul campo.
Il che aprì le porte della Gallia Narbonense e dell'Italia ai Teutoni e ai Cimbri, con grande timore del popolo romano. Tornava a far tremare gli animi il Metus Gallicus, memori del Sacco di Roma (ben due).
LE ORIGINI
Ce ne parlano: Plutarco nelle Vite di Sertorius e Pompeus; Appiano nella Guerra civile e Hispanica, Sallustio in alcuni frammenti, e Diodoro Cassio (XXXVI). Sia Plutarco che Sallustio hanno del personaggio una sconfinata ammirazione.
Gli storici aristocratici romani lo presentarono invece come un interessato avventuriero, un uomo violento, traditore ed avido di potere.
Di certo Plutarco fu un po' il Mommsen dell'epoca, indagatore, amante del vero, mai caricato nelle asserzioni e profondamente sincero.
Di Sertorio sappiamo che nacque a Nursia, nel territorio sabino, nel 126 a.c. dalla antica gens Sertoria che vi risiedeva da diverse generazioni. Per quanto di famiglia umile era nobile, parente di Gaio Mario in quanto figlio della cugina di questi. Si può ben comprendere quanto le gesta di Mario, uno dei migliori condottieri di tutti i tempi, che tanto infiammarono Giulio Cesare, potettero influire anche sul giovane Sertorio.
Della sua infanzia sappiamo solo che rimase presto orfano di padre e fu allevato dalla madre Rea, il cui gentilizio denota una origine secondo alcuni etrusca, secondo altri sabina, non usando tra le donne romane che un solo nomen, quello della loro gens. Comunque Rea è un nome di origine greca diffusosi poi nel Mediterraneo.
LA CARRIERA
Infatti si trasferì a Roma ancora giovanissimo, evidentemente deciso a sfruttare le proprie qualità, visto che all'epoca Roma era come l'America, il paese delle possibilità.
Qui si fece una reputazione distinguendosi sia come giurista che come oratore. Passò quindi velocemente alla carriera militare, e la prima battaglia in cui si distinse fu quella di Arausio del 105 a.c. nell'odierna città francese di Orange, in Provenza, contro le tribù nomadi del Cimbri, in cui dimostrò un coraggio eccezionale.
Infatti nel corso della tragica ritirata romana il giovane sabino, ferito e senza cavallo, attraversò il Rodano completo di tutta l'armatura, destando ammirazione per la determinazione, la resistenza fisica e l'estrema dignità.
L'essere riuscito a conservare armi e armatura che certamente appesantivano notevolmente il giovane ferito ed esausto fu di grande prestigio, per un romano perdere l'equipaggiamento era come per la legione perdere le insegne.
L'esercito romano era comandato dal console Gneo Mallio Massimo, un homo novus, e dal proconsole per la Gallia Quinto Servilio Cepione, aristocratico ed ex console.
Questa differenza di status aveva sollevato dei contrasti che portarono il caos fino alla sconfitta dei Romani, che persero quasi tutti gli uomini sul campo.
Il che aprì le porte della Gallia Narbonense e dell'Italia ai Teutoni e ai Cimbri, con grande timore del popolo romano. Tornava a far tremare gli animi il Metus Gallicus, memori del Sacco di Roma (ben due).
Proprio per vendicare questa sconfitta Sertorio si arruolò nelle fila di Gaio Mario e presto al suo fianco si distinse nella battaglia del 102 a.c., la celebre battaglia di Aquae Sextiae ( Aix-en-Provence, Francia) in cui i Teutoni furono sconfitti definitivamente dai romani.
Qui Sertorio riuscì a spiare con grande coraggio e iniziativa le tribù germaniche che si aggiravano nel territorio, le stesse che avevano sconfitto i romani, su un suolo per lui sconosciuto, ma con grande intuito e senso di orientamento. Mario ebbe modo di apprezzare il suo coraggio, la sua abilità e la sua intelligenza, affidandogli missioni rischiose ma delicatissime che Sertorio seppe sempre portare a compimento con molto successo.
In una missione addirittura Sertorio si travestì da guerriero celtico dopo averne imparato i costumi e la lingua ed aver passato alcuni mesi in territorio nemico per ottenere informazioni sull'entità e la dislocazione dell'esercito celtico.
Lucio Siccio Dentato
Publio Decio Mure
Fabio Massimo
Marco Calpurnio Flamma
Scipione Emiliano
Gneo Petreio di Atina (un centurione primus pilus durante la Guerra Cimbrica)
Lucio Cornelio Silla
Infatti tornato a Roma concorse per la carica di tribiuno, ma incontrò l'opposizione di Silla e molti studiosi si chiedono perchè, ma la risposta è semplice, Silla non era un ingenuo, sapeva benissimo della parentela di Sertorio con Mario, in più sapeva riconoscere il valore degli uomini, come seppe infatti riconoscere quello di Cesare che definì equivalente a 20 Marii.
C'era per giunta un'altra questione, Silla era un aristocratico mentre Sertorio era dalla parte dei populares, come Mario e come poi Cesare. Ce n'era abbastanza per temerlo, per odiarlo e per ostacolarlo. Silla era un uomo molto astuto ma anche meschino, crudele e avido, se avesse supposto un ungual animo in Sertorio se lo sarebbe fatto amico. Ma Sertorio era un po' come Scipione, fiero, ribelle, con un grande senso dell'onore ma un po' sprezzante degli animi bassi..
Dopo che Silla ebbe costretto Mario all'esilio e che anch'egli se ne fu andato via da Roma per combattere Mitridate, scoppiò un'inaudita violenza tra gli optimates, guidati dai Octavius Vice Console, e i populares, guidati dal console Lucio Cornelio Cinna, dalla cui parte si schierò Sertorio.
Qui le opinioni si dividono. Alcuni affermano che l'inaudita ferocia delle proscrizioni di ambedue le fazioni lasciassero indifferenti Sertorio. Per altri invece la ferocia delle due parti gli riuscì molto sgradita si che ebbe a fare rimproveri a Mario e invitò anche Cinna alla moderazione.
Sertorio fu in realtà l'unico esponente del partito popolare a non macchiarsi di proscrizioni, furti ed uccisioni. La storiografia ottimate riuscì solo ad imputargli lo sterminio di 4000 schiavi mariani (quindi nemmeno sillani) che, si erano dati agli stupri, ai saccheggi e alla violenza.
Dopo che Ottaviano Roma con la fazione degli optimates si arrese alle forze di Mario, Cinna e Sertorio nell'87, Sertorio si astenne dalle proscrizioni politiche nei confronti dei suoi nemici, mostrando invece una notevole generosità.
LA SPAGNA
Al ritorno di Silla dall'est nell'83, il partito dei populares collassò, pertanto Sertorio andò in Spagna, dove rappresentò il partito Mariano, secondo alcuni senza aver ricevuto alcun incarico definito, in realtà con la carica di proconsole conferitagli da Cinna, per governare la Spagna citeriore.
La Spagna era un paese che conosceva bene e dove era molto stimato. Con la sua diplomazia e la sua gentilezza seppe ingraziarsi le popolazioni locali provvedendo a procurar loro giustizia, collaborazione e benessere.
Sertorio fortificò allora i passi dei Pirenei con un forte e ben addestrato contingente di 6000 fanti al comando di Livio Salinatore, un valente ufficiale.
Gli ottimati, non potendo sfondare le forti difese, ricorsero alla corruzione e si comprarono l'assassinio a tradimento di Salinatore (da parte di un certo Calpurnio Lanario) e l'arruolamento di circa 20000 iberici (tra cui molti dei 6000 di Salinatore).
Sertorio, rimasto con soli 3000 uomini, non poteva resistere e, direttosi a Cartagena, si imbarcò per la Mauritania. Plutarco paragonò Sertorio a un novello Ulisse dovendo egli affrontare situazioni drammatiche, avventurose e piene di pericoli.
In Mauritania, sconfisse uno dei generali di Silla e catturò Tingis (Tangeri), cosa che lo rese molto gradito alle popolazioni ispaniche, specialmente alle tribù della Lusitania, nell'ovest (Portogallo), che i generali ed i governatori romani del partito di Silla avevano saccheggiato e straziato.
La dominazione di Silla era particolarmente odiosa e pesante per cui i Lusitani decisero di rivolgersi all'unico comandante capace a loro avviso di opporsi alle legioni romane sia per la sua abilità che per la sua avversione a Silla. Così avevano inviato messaggeri in Mauritania alla ricerca di Sertorio.
Quinto ne fu ben contento ed alla testa di un esercito di quasi 3000 uomini (di cui 2000 romani e 700 mauritani) si preparò al ritorno nella penisola iberica, ma sul posto raccolse presto rinforzi importanti (4.000 fanti e 700 cavalieri). I Lusitani, colpiti dal suo coraggio, dalla sua generosità e dalla sua eloquenza ribattezzarono Sertorio il "nuovo Annibale". La sua fama di grande generale era ormai ovunque e tutti sapevano che con la sua abilità aveva spesso sconfitto eserciti molto più grandi e armati del suo.
Subito si unirono al suo esercito numerosi contingenti di lusitani e si unirono a lui anche i pirati cilici, cosa giudicata molto riprovevole dai commentatori avversi a Sertorio. Ma il generale si giocava il tutto per tutto e non poteva guardare per il sottile, così in poco tempo sconfisse il Propretore Cotta ed il Pretore Tufidio in due rapide battaglie a sud di Siviglia.
Molti profughi romani e disertori hispanici si unirono a lui, e con questi riuscì a sconfiggere molti dei generali di Silla, tra cui Fufidius, Domizio Calvinusand e indirettamente Thoranius. In quanto a Quinto Cecilio Metello Pio, che era stato appositamente mandato contro di lui da Roma, venne respinto fin fuori della Lusitania,.
IL RITORNO IN SPAGNA
Sertorio volle costruire un governo stabile ed equo in Hispania con il consenso e la cooperazione del popolo, che egli ha voluto civilizzare al modello romano ma con il rispetto dei loro costumi. Egli stesso vi si adattò, imparando le loro usanze e la loro lingua, riuscendo a conquistarsi la loro fiducia per il grande rispetto che lui stesso aveva dato a questa gente.
Instaurò in Hispanoa un senato di 300 membri, tutti emigrati romani mantenendo la guardia del corpo Hispanianca. Per i bambini delle principali famiglie indigene istituì una scuola a Osca (Huesca), dove ricevevano una formazione romana, seguendo la prassi romana di prendere ostaggi.
Sembra che per una rivolta dei nativi Sertorio avesse ucciso molti dei bambini di Osca, e venduto altri in schiavitù. Però sia la rivolta che l'uccisione dei bambini non concordano con l'enorme seguito che Sertorio ebbe ccon gli Hispanici e i Lusitani in particolare.
Risulta che invece avesse un dono particolare per farsi amiche le tribù indigene, tra l'altro addomesticò un cervo bianco che allevò da cucciolo. Ai nativi raccontò che era stata la Dea Diana a farglielo incontrare, e che per mezzo del cervo egli a volte percepiva la voce della Dea. Tanto era ammirato dai locali che divenne così l'uomo del "cerbiatto bianco", simbolo ma pure oracolo di Diana che gli avrebbe ispirato la saggezza.
In realtà a Diana era sacra particolarmente la cerva bianca, cioè albina, che come tutti gli animali albini era rarissima e pertanto sacra, e Sertore, già per il fatto di esserne riuscito a trovarne una aveva la predilezione della Dea. Questo non implica necessariamente una mala fede, perchè Sertore in qualità di romano adorava la Dea, nè si deve parlare di superstizioni, altrimenti anche S. Eustachio che incontrò il Cristo sotto forma di cervo sarebbe superstizione.
Si disse che Sertorio fosse in lega con i pirati del Mar Mediterraneo. Questa alleanza gli permise di ricevere aiuti via mare e di tenere in scacco le varie flotte romane ma Marco Antonio Cretico vinse poi e sgominò i pirati si che tutta la costa spagnola levantina cadde in mano ai sillani. Sertorio si ritirò nel triangolo compreso tra le città di Osca, Lerida e Calahorra, non rinunciando però ad audaci incursioni.
Qui Sertorio riuscì a spiare con grande coraggio e iniziativa le tribù germaniche che si aggiravano nel territorio, le stesse che avevano sconfitto i romani, su un suolo per lui sconosciuto, ma con grande intuito e senso di orientamento. Mario ebbe modo di apprezzare il suo coraggio, la sua abilità e la sua intelligenza, affidandogli missioni rischiose ma delicatissime che Sertorio seppe sempre portare a compimento con molto successo.
In una missione addirittura Sertorio si travestì da guerriero celtico dopo averne imparato i costumi e la lingua ed aver passato alcuni mesi in territorio nemico per ottenere informazioni sull'entità e la dislocazione dell'esercito celtico.
L'organizzazione stavolta fu infatti perfetta e circa 90.000 Teutoni furono uccisi e 20.000 furono catturati, tra cui il loro re Teutobod. Nemmeno le donne e i bambini si salvarono, con un suicidio di massa per non cadere nelle mani dei nemici.
In realtà sappiamo in quale conto quei popoli tenessero sia donne che bambini per cui sicuramente vi vennero costretti. La situazione delle donne in quelle terre era infatti identica, se non peggiore, di quelle delle schiave dei romani.
LA CORONA GRAMINACEA
Nel 97 a.c. Sertorio combattè in Hispania come tribuno militare sotto Titus Didius, e qui si conquistò la corona d'erba (o graminacea), il massimo simbolo di valore militare che spettava al comandante che avesse salvato un esercito assediato o a colui che avesse, con il proprio intervento, salvato un esercito dalla sicura distruzione.
In realtà sappiamo in quale conto quei popoli tenessero sia donne che bambini per cui sicuramente vi vennero costretti. La situazione delle donne in quelle terre era infatti identica, se non peggiore, di quelle delle schiave dei romani.
LA CORONA GRAMINACEA
Nel 97 a.c. Sertorio combattè in Hispania come tribuno militare sotto Titus Didius, e qui si conquistò la corona d'erba (o graminacea), il massimo simbolo di valore militare che spettava al comandante che avesse salvato un esercito assediato o a colui che avesse, con il proprio intervento, salvato un esercito dalla sicura distruzione.
Per capire il valore di questa rara onoreficenza leggiamo la lista di coloro che l'ottennero secondo Plinio il Vecchio:
Lucio Siccio Dentato
Publio Decio Mure
Fabio Massimo
Marco Calpurnio Flamma
Scipione Emiliano
Gneo Petreio di Atina (un centurione primus pilus durante la Guerra Cimbrica)
Lucio Cornelio Silla
Quinto Sertorio
Augusto (a cui però venne data dal Senato come omaggio politico)
In quella occasione Sertorio mise in mostra tutte le sue doti di grande condottiero, rapido nelle decisioni, coraggioso ed astuto. La rivolta antiromana degli abitanti di Castulo e dei loro alleati celtiberi fu stroncata nel sangue nel corso di una sola nottata. La sua abilità di guerriero ottenne il rispetto anche delle popolazioni indigene.
IL QUESTORE DELLA GALLIA
Nel 91 venne nominato questore della Gallia Cisalpina, dove ebbe l'incarico di arruolare, armare di tutto punto e addestrare le legioni occorrenti per la Guerra Sociale. Eseguì il compito con tale velocità ed
efficienza da battere tutti i magistrati incaricati dello stesso compito. Nel corso della guerra ebbe diversi comandi come Legato esponendosi sempre insieme ai soldati, tanto che egli venne ferito ad un occhio da una freccia che ne compromise la vista.
L'essere orbo da un occhio non ostacolò comunque la sua carriera, nè si dimostrò mai addolorato della menomazione, di cui si dice invece fosse molto fiero, esibendola come segno tangibile del suo servizio per la patria. Fin qui non ci sono dubbi sulla sua grande abilità e intelligenza, ma questo lo riconoscono tutti, meno riconosciuta è la sua moralità.
Augusto (a cui però venne data dal Senato come omaggio politico)
In quella occasione Sertorio mise in mostra tutte le sue doti di grande condottiero, rapido nelle decisioni, coraggioso ed astuto. La rivolta antiromana degli abitanti di Castulo e dei loro alleati celtiberi fu stroncata nel sangue nel corso di una sola nottata. La sua abilità di guerriero ottenne il rispetto anche delle popolazioni indigene.
IL QUESTORE DELLA GALLIA
Nel 91 venne nominato questore della Gallia Cisalpina, dove ebbe l'incarico di arruolare, armare di tutto punto e addestrare le legioni occorrenti per la Guerra Sociale. Eseguì il compito con tale velocità ed
efficienza da battere tutti i magistrati incaricati dello stesso compito. Nel corso della guerra ebbe diversi comandi come Legato esponendosi sempre insieme ai soldati, tanto che egli venne ferito ad un occhio da una freccia che ne compromise la vista.
L'essere orbo da un occhio non ostacolò comunque la sua carriera, nè si dimostrò mai addolorato della menomazione, di cui si dice invece fosse molto fiero, esibendola come segno tangibile del suo servizio per la patria. Fin qui non ci sono dubbi sulla sua grande abilità e intelligenza, ma questo lo riconoscono tutti, meno riconosciuta è la sua moralità.
Infatti tornato a Roma concorse per la carica di tribiuno, ma incontrò l'opposizione di Silla e molti studiosi si chiedono perchè, ma la risposta è semplice, Silla non era un ingenuo, sapeva benissimo della parentela di Sertorio con Mario, in più sapeva riconoscere il valore degli uomini, come seppe infatti riconoscere quello di Cesare che definì equivalente a 20 Marii.
C'era per giunta un'altra questione, Silla era un aristocratico mentre Sertorio era dalla parte dei populares, come Mario e come poi Cesare. Ce n'era abbastanza per temerlo, per odiarlo e per ostacolarlo. Silla era un uomo molto astuto ma anche meschino, crudele e avido, se avesse supposto un ungual animo in Sertorio se lo sarebbe fatto amico. Ma Sertorio era un po' come Scipione, fiero, ribelle, con un grande senso dell'onore ma un po' sprezzante degli animi bassi..
Dopo che Silla ebbe costretto Mario all'esilio e che anch'egli se ne fu andato via da Roma per combattere Mitridate, scoppiò un'inaudita violenza tra gli optimates, guidati dai Octavius Vice Console, e i populares, guidati dal console Lucio Cornelio Cinna, dalla cui parte si schierò Sertorio.
Qui le opinioni si dividono. Alcuni affermano che l'inaudita ferocia delle proscrizioni di ambedue le fazioni lasciassero indifferenti Sertorio. Per altri invece la ferocia delle due parti gli riuscì molto sgradita si che ebbe a fare rimproveri a Mario e invitò anche Cinna alla moderazione.
Sertorio fu in realtà l'unico esponente del partito popolare a non macchiarsi di proscrizioni, furti ed uccisioni. La storiografia ottimate riuscì solo ad imputargli lo sterminio di 4000 schiavi mariani (quindi nemmeno sillani) che, si erano dati agli stupri, ai saccheggi e alla violenza.
Dopo che Ottaviano Roma con la fazione degli optimates si arrese alle forze di Mario, Cinna e Sertorio nell'87, Sertorio si astenne dalle proscrizioni politiche nei confronti dei suoi nemici, mostrando invece una notevole generosità.
LA SPAGNA
Al ritorno di Silla dall'est nell'83, il partito dei populares collassò, pertanto Sertorio andò in Spagna, dove rappresentò il partito Mariano, secondo alcuni senza aver ricevuto alcun incarico definito, in realtà con la carica di proconsole conferitagli da Cinna, per governare la Spagna citeriore.
La Spagna era un paese che conosceva bene e dove era molto stimato. Con la sua diplomazia e la sua gentilezza seppe ingraziarsi le popolazioni locali provvedendo a procurar loro giustizia, collaborazione e benessere.
Gli ufficiali romani al seguito degli Optimates in Spagna non vollero riconoscere la sua autorità e nell'81 a.c. Silla inviò in Spagna Valerio Flacco ed Annio Lusco con l'ordine di destituire Sertorio.
Sertorio fortificò allora i passi dei Pirenei con un forte e ben addestrato contingente di 6000 fanti al comando di Livio Salinatore, un valente ufficiale.
Gli ottimati, non potendo sfondare le forti difese, ricorsero alla corruzione e si comprarono l'assassinio a tradimento di Salinatore (da parte di un certo Calpurnio Lanario) e l'arruolamento di circa 20000 iberici (tra cui molti dei 6000 di Salinatore).
Sertorio, rimasto con soli 3000 uomini, non poteva resistere e, direttosi a Cartagena, si imbarcò per la Mauritania. Plutarco paragonò Sertorio a un novello Ulisse dovendo egli affrontare situazioni drammatiche, avventurose e piene di pericoli.
In Mauritania, sconfisse uno dei generali di Silla e catturò Tingis (Tangeri), cosa che lo rese molto gradito alle popolazioni ispaniche, specialmente alle tribù della Lusitania, nell'ovest (Portogallo), che i generali ed i governatori romani del partito di Silla avevano saccheggiato e straziato.
La dominazione di Silla era particolarmente odiosa e pesante per cui i Lusitani decisero di rivolgersi all'unico comandante capace a loro avviso di opporsi alle legioni romane sia per la sua abilità che per la sua avversione a Silla. Così avevano inviato messaggeri in Mauritania alla ricerca di Sertorio.
Quinto ne fu ben contento ed alla testa di un esercito di quasi 3000 uomini (di cui 2000 romani e 700 mauritani) si preparò al ritorno nella penisola iberica, ma sul posto raccolse presto rinforzi importanti (4.000 fanti e 700 cavalieri). I Lusitani, colpiti dal suo coraggio, dalla sua generosità e dalla sua eloquenza ribattezzarono Sertorio il "nuovo Annibale". La sua fama di grande generale era ormai ovunque e tutti sapevano che con la sua abilità aveva spesso sconfitto eserciti molto più grandi e armati del suo.
Subito si unirono al suo esercito numerosi contingenti di lusitani e si unirono a lui anche i pirati cilici, cosa giudicata molto riprovevole dai commentatori avversi a Sertorio. Ma il generale si giocava il tutto per tutto e non poteva guardare per il sottile, così in poco tempo sconfisse il Propretore Cotta ed il Pretore Tufidio in due rapide battaglie a sud di Siviglia.
Molti profughi romani e disertori hispanici si unirono a lui, e con questi riuscì a sconfiggere molti dei generali di Silla, tra cui Fufidius, Domizio Calvinusand e indirettamente Thoranius. In quanto a Quinto Cecilio Metello Pio, che era stato appositamente mandato contro di lui da Roma, venne respinto fin fuori della Lusitania,.
IL RITORNO IN SPAGNA
Sertorio volle costruire un governo stabile ed equo in Hispania con il consenso e la cooperazione del popolo, che egli ha voluto civilizzare al modello romano ma con il rispetto dei loro costumi. Egli stesso vi si adattò, imparando le loro usanze e la loro lingua, riuscendo a conquistarsi la loro fiducia per il grande rispetto che lui stesso aveva dato a questa gente.
Instaurò in Hispanoa un senato di 300 membri, tutti emigrati romani mantenendo la guardia del corpo Hispanianca. Per i bambini delle principali famiglie indigene istituì una scuola a Osca (Huesca), dove ricevevano una formazione romana, seguendo la prassi romana di prendere ostaggi.
Sembra che per una rivolta dei nativi Sertorio avesse ucciso molti dei bambini di Osca, e venduto altri in schiavitù. Però sia la rivolta che l'uccisione dei bambini non concordano con l'enorme seguito che Sertorio ebbe ccon gli Hispanici e i Lusitani in particolare.
Risulta che invece avesse un dono particolare per farsi amiche le tribù indigene, tra l'altro addomesticò un cervo bianco che allevò da cucciolo. Ai nativi raccontò che era stata la Dea Diana a farglielo incontrare, e che per mezzo del cervo egli a volte percepiva la voce della Dea. Tanto era ammirato dai locali che divenne così l'uomo del "cerbiatto bianco", simbolo ma pure oracolo di Diana che gli avrebbe ispirato la saggezza.
In realtà a Diana era sacra particolarmente la cerva bianca, cioè albina, che come tutti gli animali albini era rarissima e pertanto sacra, e Sertore, già per il fatto di esserne riuscito a trovarne una aveva la predilezione della Dea. Questo non implica necessariamente una mala fede, perchè Sertore in qualità di romano adorava la Dea, nè si deve parlare di superstizioni, altrimenti anche S. Eustachio che incontrò il Cristo sotto forma di cervo sarebbe superstizione.
Sertorio passò poi tutto l'anno 80 a.c. ad addestrare ed armare il nuovo esercito per il quale fece costruire una strada carreggiabile di 200 km da Guadiana a Gredos. Nei primi mesi del 79 a.c. arrivò il nuovo Governatore della Spagna ulteriore, Quinto Cecilio Metello, l'uomo di Silla che, unendo le sue truppe a quelle del Governatore della citeriore, formò un esercito di 40000 legionari e migliaia di ausiliari iberici.
Sertorio invece aveva poco più di 9000 uomini, con armature leggere e viveri scarsi, ma era un condottiero geniale, per cui abbandonò il campo e passò alla guerriglia.
Le legioni romane, invincibili in campo aperto, non erano a loro agio tra colli e boschi.
Plutarco narra che "Metello aveva esperienza di battaglie combattute dalle legioni regolari,
mirabilmente addestrate per affrontare e sopraffare un nemico in un combattimento corpo a corpo, ma
completamente impreparate a percorrere terreni collinosi e ad affrontare incessantemente rapidi attacchi eritirate di piccoli gruppi di montanari, a sopportare fame e sete ed a vivere esposti al vento ed alle intemperie senza fuochi e coperte…".
IL DISCORSO DELLE DUE CODE DI CAVALLO
I Lusitano pressavano Sertorio per affrontare i romani in campo aperto, ma l'esperienza del generale gli suggeriva un modo più prudente di affontare lo scontro, cioè la guerriglia. Allora, poichè conosceva l'animo delle tribù e sapeva rapportarsi con esse portò ad esempio l'episodio delle code di cavallo.
Fece portare al suo cospetto due cavalli, uno gracile e uno poderoso, e contemporaneamente due militari tra quelli che reclamavano la guerra aperta.
Comandò all'uomo più forte di strappare la coda al cavallo più debole , l'uomo tentò strenuamente ma non riuscì. Allora comandò all'uomo più debole di strappare uno ad uno i peli della coda del cavallo forte e l'operazione riuscì (sig!). Allora Sertorio disse ai Lusitani che l'esercito romano era il cavallo forte, e quindi invincibile se attaccato in massa, ma che se fosse stato attaccato poco alla volta, cioè col sistema della guerriglia, l'esercito avrebbe alla lunga ceduto. I Lusitani compresero.
LA GUERRIGLIA
Plutarco narra che "Metello aveva esperienza di battaglie combattute dalle legioni regolari,
mirabilmente addestrate per affrontare e sopraffare un nemico in un combattimento corpo a corpo, ma
completamente impreparate a percorrere terreni collinosi e ad affrontare incessantemente rapidi attacchi eritirate di piccoli gruppi di montanari, a sopportare fame e sete ed a vivere esposti al vento ed alle intemperie senza fuochi e coperte…".
IL DISCORSO DELLE DUE CODE DI CAVALLO
I Lusitano pressavano Sertorio per affrontare i romani in campo aperto, ma l'esperienza del generale gli suggeriva un modo più prudente di affontare lo scontro, cioè la guerriglia. Allora, poichè conosceva l'animo delle tribù e sapeva rapportarsi con esse portò ad esempio l'episodio delle code di cavallo.
Fece portare al suo cospetto due cavalli, uno gracile e uno poderoso, e contemporaneamente due militari tra quelli che reclamavano la guerra aperta.
Comandò all'uomo più forte di strappare la coda al cavallo più debole , l'uomo tentò strenuamente ma non riuscì. Allora comandò all'uomo più debole di strappare uno ad uno i peli della coda del cavallo forte e l'operazione riuscì (sig!). Allora Sertorio disse ai Lusitani che l'esercito romano era il cavallo forte, e quindi invincibile se attaccato in massa, ma che se fosse stato attaccato poco alla volta, cioè col sistema della guerriglia, l'esercito avrebbe alla lunga ceduto. I Lusitani compresero.
LA GUERRIGLIA
Metello, inoltre, commise l'errore di dividere le sue forze tra due dei suoi Legati, Domizio e Torio Balbo, per cui furono duramente sconfitti da Sertorio e dal suo luogotenente Irtuleio, abilissimi nel concentrare rapidamente i propri eserciti.
Per circa tre anni la guerriglia di Sertorio non diede tregua ai Romani, tormentandoli e respingendoli un po' ovunque, ed alla fine del 77 a.c. a Metello, sconfitto sulle rive del Guadalquivir, non rimaneva che Cartagena e la Betica.
Per circa tre anni la guerriglia di Sertorio non diede tregua ai Romani, tormentandoli e respingendoli un po' ovunque, ed alla fine del 77 a.c. a Metello, sconfitto sulle rive del Guadalquivir, non rimaneva che Cartagena e la Betica.
Nel frattempo, si erano uniti a Sertorio un gran numero di esuli mariani, nonché i resti non trascurabili (20000 fanti e 1500 cavalieri) dell'esercito di Lepido, guidati sin lì, dalla Sardegna, da Marcus Perperna Vento, con un seguito di nobili romani e di un consistente esercito romano (53 coorti).
Nello stesso anno, Roma, seguendo i timori di Silla, inviò Pompeo in aiuto a Metello per conquistare l'Hispania e cacciare Sertorio che chiamò ironicamente Pompeo "il pupillo di Silla", e più volte fece tremare i suoi avversari.
Sertorio allora dovette dividere il suo esercito in tre Corpi: uno comandato da Perperna (20000 fanti e 1000 cavalieri) nella valle dell'Ebro, uno guidato da Irtuleio in Lusitania (15000 fanti e 200 cavalieri) ed uno, guidato da lui personalmente, di riserva agli altri due (circa 20000 fanti e 500 cavalieri).
Attorno alla città di Lauron si affrontarono i due grandi condottieri, sulle colline la tattica di Sertorio, cauta di giorno ed audace di notte, ebbe la meglio su quella lenta di Pompeo, che in pochi giorni perse quasi 20000 uomini e tutte le sue salmerie e fu costretto ad abbandonare Lauron alla mercé dei sertoriani.
Sertorio rase al suolo Lauron, una città alleata di Roma, dopo una battaglia in cui i militari di Pompeo, caduti in un'imboscata erano stati sconfitti e per un pelo non era stato catturato Pompeo nella battaglia di Sucro.
Nello stesso anno, Roma, seguendo i timori di Silla, inviò Pompeo in aiuto a Metello per conquistare l'Hispania e cacciare Sertorio che chiamò ironicamente Pompeo "il pupillo di Silla", e più volte fece tremare i suoi avversari.
Sertorio allora dovette dividere il suo esercito in tre Corpi: uno comandato da Perperna (20000 fanti e 1000 cavalieri) nella valle dell'Ebro, uno guidato da Irtuleio in Lusitania (15000 fanti e 200 cavalieri) ed uno, guidato da lui personalmente, di riserva agli altri due (circa 20000 fanti e 500 cavalieri).
Attorno alla città di Lauron si affrontarono i due grandi condottieri, sulle colline la tattica di Sertorio, cauta di giorno ed audace di notte, ebbe la meglio su quella lenta di Pompeo, che in pochi giorni perse quasi 20000 uomini e tutte le sue salmerie e fu costretto ad abbandonare Lauron alla mercé dei sertoriani.
Sertorio rase al suolo Lauron, una città alleata di Roma, dopo una battaglia in cui i militari di Pompeo, caduti in un'imboscata erano stati sconfitti e per un pelo non era stato catturato Pompeo nella battaglia di Sucro.
Pompeo voleva sconfiggere Sertorio senza attendere Metello Pio, ma venne sconfitto a Sagunto. Allora Pompeo scrisse a Roma per i rinforzi, senza i quali, scrisse, lui e Metello Pio sarebbero stati cacciati dall'Hispania. Tuttavia Metello, battuto Irtuleio, luogotenente di Sertorio, riuscì a congiungersi con Pompeo.
Intanto Irtuleio tentava inutilmente di attirare fuori da Cordoba Metello, ma così facendo perdeva tempo ed energie preziose e, nell'agosto del 76 a.C., una rapida sortita del Governatore della ulteriore gli procurava gravi perdite e lo costringeva a ripiegare sotto una opprimente calura.
Dal 75 Pompeo riprese forza e con Metello cominciò a riconquistare le città. Sebbene fosse ancora in grado di vincere, Sertorio stava perdendo la guerra e l'autorità sui suoi uomini.
Sertorio fu sconfitto più dalla tattica temporeggiatrice di Metello che da quella avventata e spregiudicata di Gneo Pompeo Magno, all'epoca ancora molto distante dal grande generale che sarebbe diventato.
Si disse che stesse negoziando con Mitridate, e che era in comunicazione con gli schiavi della Rivolta di Spartaco. Ma a causa delle gelosie fra gli ufficiali romani e gli ispanici di rango più elevato, non poté mantenere la sua posizione e la sua influenza sopra le tribù, benché abbia vinto sempre fino alla fine.
LA MORTE
Sertorio non morì in battaglia come ci si sarebbe aspettato, ma nel 72 a.c. fu assassinato in un banchetto, in un complotto guidato da Marco Perperna Vento dopo che Quinto Cecilio Metello Pio e Gneo Pompeo Magno ebbero messo una grossa taglia sulla sua testa. Vento, uomo meschino e avido cercò di sostituire Sertorio, ma benché potesse contare sulle stesse truppe, non disponeva della stessa intelligenza e delle stesse qualità umane di Sertorio, per cui fallì miseramente.
LE CONCLUSIONI
Sertorio fu un grande generale, uno stratega abilissimo, un politico brillante e convincente, ma pure un abilissimo comandante guerrigliero, e una quotatissima spia alla 007. Fu uomo coraggiosissimo e pure temerario, grande oratore e trascinatore di animi.
Riuscì infatti per la prima volta a servirsi del plauso e della collaborazione dei nativi per rinnovarli politicamente ed incitarli a combattere con lui. Seppe accattivarsi le elite locali, che gli assicurarono aiuti
militari ed economici. In quanto alla sua moralità non dimentichiamo che Sertorio non pensò mai di tradire la repubblica romana.
Non dimentichiamo che Mario.ebbe poteri e vittorie come pochi e mai tentò di sedersi sul trono di Roma. Silla fu invece quello che divenne dittatore a vita, cosa che fece poi Giulio Cesare, il nipote di Mario, ma con un valore, una clemenza e un senso di giustizia che pochi uomini ebbero. Silla fu l'esatto contrario di tutto ciò, e governò solo con l'astuzia e la violenza.
Gli va riconosciuto il merito di aver accelerato il processo di civilizzazione della Spagna, che da allora fu il paese non solo più vicino a Roma, ma romano quanto i romani, retaggio che conserva tutt'oggi nell'amore per tutto ciò che riguarda il suo passato romano.
Fu contemporaneamente un uomo gentile e rispettoso delle genti locali, dotato di un eloquenza straordinaria, tanto che era stato soprannominato dalla milizia locale, da lui creata, “nuovo Annibale”.
Molto rigoroso, non tollerava la mancanza di disciplina e di onore tra le truppe, mentre i generali romani del tempo concedevano razzie e saccheggi per ingraziarseli.
Si deve poi aggiungere che in Spagna Sertorio viene considerato una sorta di eroe nazionale su cui
fioriscono studi storici, libri, convegni e siti internet, mentre in Italia, sua paese natale, di lui si scriva pochissimo ed è ignorato dai più.
Sertorio fu uno dei grandi condottieri della storia di Roma, che solo la carriera da generale fuorilegge condannò all’oblio della storia ufficiale. Ma non dimentichiamo che la Roma ufficiale di Silla non fu un bel periodo, e soprattutto che furono i populares come Mario, Sertorio e Ceasre a rendere Roma la vera caput mundi.
Si dice pure che per consolidare maggiormente il suo fronte interno, Sertorio iniziò a favorire la maggiore (per numero) popolazione spagnola, i Celtiberi, scontentando, però, allo stesso tempo i Baschi che di quelli erano antichi avversari.
LA MORTE
Sertorio non morì in battaglia come ci si sarebbe aspettato, ma nel 72 a.c. fu assassinato in un banchetto, in un complotto guidato da Marco Perperna Vento dopo che Quinto Cecilio Metello Pio e Gneo Pompeo Magno ebbero messo una grossa taglia sulla sua testa. Vento, uomo meschino e avido cercò di sostituire Sertorio, ma benché potesse contare sulle stesse truppe, non disponeva della stessa intelligenza e delle stesse qualità umane di Sertorio, per cui fallì miseramente.
Appiano osserva che ea una costante di Silla eliminare i comandanti nemici per mezzo del tradimento e si dice che, giusto prima della sua morte, stava per stabilire con successo una repubblica romana indipendente in Hispania, dopo aver debellato con un nuovo assalto Pompeo e Metello.
LE CONCLUSIONI
Sertorio fu un grande generale, uno stratega abilissimo, un politico brillante e convincente, ma pure un abilissimo comandante guerrigliero, e una quotatissima spia alla 007. Fu uomo coraggiosissimo e pure temerario, grande oratore e trascinatore di animi.
Riuscì infatti per la prima volta a servirsi del plauso e della collaborazione dei nativi per rinnovarli politicamente ed incitarli a combattere con lui. Seppe accattivarsi le elite locali, che gli assicurarono aiuti
militari ed economici. In quanto alla sua moralità non dimentichiamo che Sertorio non pensò mai di tradire la repubblica romana.
Non dimentichiamo che Mario.ebbe poteri e vittorie come pochi e mai tentò di sedersi sul trono di Roma. Silla fu invece quello che divenne dittatore a vita, cosa che fece poi Giulio Cesare, il nipote di Mario, ma con un valore, una clemenza e un senso di giustizia che pochi uomini ebbero. Silla fu l'esatto contrario di tutto ciò, e governò solo con l'astuzia e la violenza.
Gli va riconosciuto il merito di aver accelerato il processo di civilizzazione della Spagna, che da allora fu il paese non solo più vicino a Roma, ma romano quanto i romani, retaggio che conserva tutt'oggi nell'amore per tutto ciò che riguarda il suo passato romano.
Fu contemporaneamente un uomo gentile e rispettoso delle genti locali, dotato di un eloquenza straordinaria, tanto che era stato soprannominato dalla milizia locale, da lui creata, “nuovo Annibale”.
Molto rigoroso, non tollerava la mancanza di disciplina e di onore tra le truppe, mentre i generali romani del tempo concedevano razzie e saccheggi per ingraziarseli.
Si deve poi aggiungere che in Spagna Sertorio viene considerato una sorta di eroe nazionale su cui
fioriscono studi storici, libri, convegni e siti internet, mentre in Italia, sua paese natale, di lui si scriva pochissimo ed è ignorato dai più.
Sertorio fu uno dei grandi condottieri della storia di Roma, che solo la carriera da generale fuorilegge condannò all’oblio della storia ufficiale. Ma non dimentichiamo che la Roma ufficiale di Silla non fu un bel periodo, e soprattutto che furono i populares come Mario, Sertorio e Ceasre a rendere Roma la vera caput mundi.
Purtroppo questo si verifica un po' per tutta la cultura romana, spesso più studiata all'estero che in Italia, per quell'ignorante pregiudizio per cui certi nomi e simboli se utilizzati successivamente da dittatori, squalificherebbero duemila anni di storia.
La storia romana ispirò tanto Mussolini quanto Hitler e Napoleone, insieme a tanti altri, alcuni migliori altri nefasti, ma la storia non si cancella solo perchè qualche dittatore ne ruba alcune immagini.