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PALESTRINA - PRAENESTE (Lazio)

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RICOSTRUZIONE DEL SANTUARIO


PALESTRINA

Praeneste fu un'antica città del Lazio alle pendici del monte Ginestro, propaggine dei Monti Prenestini. L'attuale Palestrina sorge sull'antica Praeneste, città latina col celebre santuario dedicato alla Dea Fortuna Primigenia, della fine del II secolo a.c.

Non ci si deve sbagliare, il culto della Dea era di molto antecedente, e pure il luogo di culto doveva esserlo, un culto italico e preromano, in cui si adora la prima nata tra gli Dei, la Dea Fortuna, colei che è nata prima di tutti gli Dei. Non è difficile comprendere che trattavasi di una Dea Madre, sostituita si nel Pantheon romano da Giove, ma che in parte a Roma, e soprattutto a Preneste, aveva conservato i suoi numerosi fedeli, un po' come accadde con la Bona Dea e la Dea Cibele.

Solo che qui il santuario si era così affermato soprattutto per il suo potere oracolare, si che da ogni parte del Lazio accorrevano i pellegrini per accogliere i responsi delle sue sacerdotesse.

I primi reperti archeologici che dimostrano l'occupazione del sito e pure le sepolture, risalgono all'inizio dell'VIII secolo a.c., poco prima dell'incredibile fioritura che investì la città di Preneste, e non solo, in età orientalizzante (VIII-VII secolo a.c.).

IERI ED OGGI

LA FONDAZIONE

Numerose sono le leggende che narrano della sua fondazione. Ad esempio il geografo e storico di età imperiale Strabone riporta come fondatore Telegono, figlio di Ulisse e di Circe, la maga ammaliatrice, oppure l'eroe eponimo Prainestos, figlio del re Latino e nipote di Ulisse e fratello appunto di Telegono (Plut., Mar., 41).

Telegono, saputo dalla madre Circe di essere figlio di Ulisse, vuole conoscere il padre e s'imbarca per Itaca. Gettato sulla riva dalla tempesta però non riconosce Itaca, e la scambia per l'isola di Corcira (Corfù), dove, per sfamare l'equipaggio, saccheggia il paese e razzia il bestiame. Ulisse interviene a difendere l'isola, ma Telegono lo uccide accidentalmente.

Ulisse morente e Telegono si riconoscono, infine Telegono torna da Circe insieme a Penelope e Telemaco, e qui seppellisce il padre. Circe rende immortali suo figlio e gli ospiti. Poi Telegono, che era figlio di Calipso e di Ulisse sposò Penelope, e Circe Telemaco. Il figlio di Telegono sarà il fondatore di Tuscolo e di Palestrina. E' evidente che si vuole dare una storia all'ìimmigrazione greca a palestrina.

Virgilio, invece, riporta la fondazione della città, secondo una tradizione autoctona riconosciuta da Catone e da Virgilio, a Caeculus, Ceculo, ritrovato in fasce presso alcuni fuochi che l'avrebbero nascosto alla vista degli uomini (Verg., Aen., VII, 678-681)

Ceculo era figlio di Vulcano, ma, nato da una vergine fecondata da una scintilla del focolare, viene da questa abbandonato e allevato da alcune vergini che lo chiamano Ceculo per un difetto agli occhi. Datosi al brigantaggio, fonda poi Preneste, popolandola con gente raccolta dalla campagna. A Caeculus rimandava la sua origine la gens romana dei Cecili. Qui sembra invece accennare alla popolazione latina trasferita nella zona.




PALESTRINA PREROMANA

Strabone definisce implicitamente Palestrina città greca appellandola polystephanos, dalle molte corone, con riferimento alla formidabile cinta muraria e ai terrazzamenti della città.
Infatti l’attuale paese di Castel San Pietro costituì anticamente l’acropoli della città, come si evince dall’imponente circuito di mura poligonali che, seguendo la morfologica del terreno, circondava Palestrina per un perimetro di circa 4 km.

MURA POLIGONALI
Le mura risalgono almeno al VII-VI sec. a.c., ma con diverse fasi e diversi stili. Le mura mancano totalmente dove l'altura è ripida e scoscesa, mentre sono molto accurate nel resto. Non sono invece conservate le mura sul versante meridionale della città.

Sono dette anche mura ciclopiche o pelasgiche perché secondo Euripide, Strabone e Pausania sarebbero state costruite dai ciclopi ed erano state attribuite ai mitici popoli pelasgi, preellenici, che avrebbero costruito le mura simili delle città micenee ma pure del Lazio, Toscana, Umbria e Abruzzo. 

Sui Pelasagi si sono dette molte cose, ma è evidente che provenivano da un'epoca molto più antica (in molte zone le mura poligonali sono state retrodatate) con vari strascichi preistorici e matriarcali. Non a caso le tombe trovate nei pressi risalgono all'VIII sec. a.c.

Nel VI sec. ci sono opere di terrazzamento e mura più interne e non più poligonali. La stessa cosa avvenne a Micene dove la città aveva tre ordini mura di cui le più esterne poligonali, poi più piccole e poco squadrate, poi più piccole e perfettamente squadrate.
Infatti nel II sec. a.c., nella zona sud, venne costruito un muro in opera quadrata di tufo con nucleo di cementizio. Cippi di delimitazione, squisitamente romani e rinvenuti lungo l’allineamento del muro, hanno fatto supporre che la struttura ricalchi l’antica linea del pomerio. Ecco il romano inserito sul pelasgico.

Pensare che vi fosse un intento di salvaguardarsi dai terremoti nell'esecuzione delle mura pelasgiche, come sostengono alcuni studiosi, è ammissibile, ma che l'esecuzione poligonale derivasse da questo non è ammissibile, basta guardare gli architravi delle mura che giungono in alcune località (Alatri) al peso di tre tonnellate. E' evidente che come cambiò l'architettura cambiò la mente dei costruttori. La grande razionalità dei Romani li portò automaticamente a rimpiccolire le pietre e a squadrarle per facilitarne il trasporto e la costruzione.

Là dove i monumenti sono giganteschi, vedi Stonehenge, le Piramidi, le Mura poligonali, i Megaliti ecc. vi è un'inflazione dell'incoscio (vale a dire un'esaltazione profonda e non arginata dalla mente) che può essere provocata tanto da un'esaltazione narcisistica personale, quanto da una spinta ideale verso un mito, cioè una speranza di grande e positivo cambiamento che scaturisce da una consapevolezza dell'anima. 

Si suppone che i blocchi per la costruzione delle mura fossero cavati sul versante orientale dell’acropoli, dove si notano tagli nella roccia, e di qui fatti scivolare in basso. La cima del monte, era luogo di avvistamento ma anche di pratiche religiose di augurium e di auspicium, probabilmente nel santuario di Iuppiter Arcanus, culto noto da fonti epigrafiche, il cui epiteto deriverebbe quindi dal termine arx. La zona compresa tra l’acropoli e l’abitato si usava solo come pascolo, che in caso di assedio garantiva il nutrimento del bestiame in un’area libera, però difesa dal circuito murario.

E' evidente che Palestrina non nacque greca e neppure latina. Prima di essere romana deve aver subito molti influssi dalla Grecia, ma comunque fu originariamente pelasgica. 

RICOSTRUZIONE DELLA FONTE CECILIANA

PALESTRINA ROMANA

La città venne conquistata da Roma con i suoi alleati della Lega Latina, nel 338 a.c., dopo aver opposto strenua resistenza durante la quale aveva stabilito un'alleanza con i Galli in funzione antiromana. La sua romanizzazione con i nuovo traffici commerciali, favoriti dalla sua posizione strategica, dominante la Valle del Sacco, un passaggio obbligato nei collegamenti tra il Lazio e l'Italia meridionale, ne favorì la fioritura.

Da qui partono la costruzione di un foro e dalla monumentalizzazione del santuario oracolare dedicato alla Fortuna Primigenia, datati entrambi alla fine del II secolo a.c., e nel 90 a.c. Palestrina ottiene la cittadinanza romana.

Questa lunga fase di sviluppo venne interrotta bruscamente nel 82 a.c., durante la guerra civile, la città parteggiò per Gaio Mario e Lucio Cornelio Silla, per ritorsione ne sterminò tutti i cittadini maschi confiscando per giunta le loro proprietà. Silla fu un esempio di rara ed efferata crudeltà tra i romani, per giunta una crudeltà che resterà per sempre impunita, perchè la stella di Cesare sorgerà dopo la morte del dittatore.

Silla assegnò le proprietà confiscate ai suoi veterani e fondò una colonia sulla pianura ai piedi della collina dove sorgeva Praeneste.

In età imperiale la città recuperò lo status di colonia, divenendo meta di soggiorno degli aristocratici romani, che qui fecero realizzare lussuose ville suburbane. Divenne anzi uno dei luoghi di villeggiatura preferiti da Augusto, oltre a Lanuvium, Tibur, le coste e le isole della Campania.

Durante la seconda guerra mondiale Palestrina è stata bombardata e questo ha portato a scovare alcune delle strutture della città fondata da Silla all'interno di edifici medioevali e alcuni muri antichissimi nella parte alta della città.





ANTICHE MURA (Roberto Lanciani)

Avanzi di antiche costruzioni scoperti entro l'abiltato.

1. "In via di Porta del Sole, demolendosi una scala con terrapieno, addossata alla proprietà del sig. Felice Faceiotti, mentre eseguivasi lo sterro per l'allargamento della via, alla distanza di circa m. 10 dal principio di detta via, si incontrò un antico muro dello spessore di m. 3, sporgente m. 2 dalla strada, alto dal piano stradale m. 1,80, composto di vari ordini di blocchi squadrati di tufo. Quattro filari sono tuttora visibili perchè superiori al livello stradale. Addossato al detto muro, dalla parte interna, si trovò un antico muro laterizio dello spessore di m. 0,70."

2. "Nel via del Borijo eseguendosi l'abbattimento di una vecchia casa, costruita sull'antico recinto del tempio della Fortuna Primigenia, di opera poligona o ciclopica, sono stati rinvenuti, al loro posto, varii poligoni che per la apertura e prolungamento della detta via dal lato sud-est della città dovrebbero essere rimossi, dovendosi portare la strada alla sezione normale di m. 5,20."

3. "Nella piazza Garibaldi, posta di fronta alla cattedrale, cavandosi le terre per la livellazione e successiva costruzione di un podio a forma di piazzetta semicircolare, con due rampe laterali di discesa verso il piano inferiore della piazza, precisamente nel posto ove erasi dal Comune progettato di erigere il muro del podio, al quale poi doveva addossarsi una fontana o beveratoio, si è rinvenuto un grosso muro meglio una larga platea a più ordini di pietre quadre, la quale copre un'area di circa 30 mq e si eleva di m. 1 sul nuovo livello della piazza. Detta platea ha una fronte di m. 5, ed uno spessore di m. 5,50. Lateralmente, sulla destra, si è pure rinvenuto un muro di opera quadrata, simile, con paramento integro e ben conservato, che intestando alla platea, forma con essa un angolo di 180".

All'interno del Museo, ospitato nel Palazzo Barberini-Colonna, si può ammirare un plastico ricostruttivo del complesso.

Dalle numerose iscrizioni rinvenute, tombali e non, si trae l'avvicendamento nelle epigrafi delle varie gentis prenestine. In località Ceciliano, lungo l'asse della Prenestina Antica, sgorga da una galleria artificiale l´acqua Ceciliana. Essa viene raccolta, per stillicidio, in un cunicolo di epoca romana, scavato nel tufo per oltre 200 metri. All´uscita del canale, l´acqua è erogata da otto bocche distribuite in un ampio odeon marmoreo.

Il centro storico venne distrutto dai bombardamenti nel 1944, ma proprio la distruzione delle costruzioni che vi si erano insediate dopo l'abbandono, permise di rimettere in luce l'antico santuario repubblicano. Da lì iniziò l'attività archeologica di riscoperta.





I MONUMENTI

Il prestigio che Praeneste ebbe in tutto il mondo antico è dovuto al grandioso santuario oracolare della Fortuna Primigenia, uno dei più importanti complessi sacri di età medio repubblicana.

Ai piedi del santuario si trovava una serie di edifici di varie epoche disposti attorno all'attuale piazza Regina Margherita e sotto la cattedrale di Sant'Agapito. Adiacente al tempio della Fortuna Primigenia, era locato il Foro civile di Praeneste, a lungo ed erroneamente ritenuto parte del santuario stesso.

FORTUNA PRIMIGANIA
L'Aula Absidata, attualmente inglobata nell’ex Seminario Vescovile, è una sala romana a pianta rettangolare sulla cui parete di fondo si apre una grande abside, celebre perchè originariamente pavimentata dal famoso mosaico a soggetto nilotico.

Adiacente all'Aula Absidata si trova la Basilica, precedentemente interpretata come area sacra, invece di uso civile come tutte le basiliche pagane, divisa in quattro navate da colonne con capitelli in stile corinzio-italico.
Sul lato occidentale di essa è il cosiddetto “Antro delle Sorti”, una grotta ricavata artificialmente, ornata da tre nicchioni e pavimentata da un mosaico policromo a soggetto marino.

Lo spazio antistante è pavimentato con un finissimo mosaico bianco, molto simile a quello dell’Aula Absidata, che fa supporre che questa zona in origine fosse coperta.

Il luogo è stato interpretato come Serapeo, dedicato cioè al culto di Serapide, un culto egizio che risale al II sec. a.c.

RICOSTRUZIONE


IL SANTUARIO DELLA FORTUNA PRIMIGENIA

Nel prezioso monumento sono evidenti, insieme alla perfetta assialità e gli aspetti scenografici legati ai portici e agli ordini, caratteristici della Grecia, l'inserimento del complesso nell'ambiente uniti alle tecniche costruttive romane. 
Vi compaiono infatti, oltre al cementizio che comincia all'inizio del II sec. a.c. gli opus incertum e reticolatum e un primo rudimentale impiego di forme arrotondate che si instaureranno soprattutto nelle terme di età imperiale.

NINFEO SULLA PRIMA TERRAZZA
"La chiave dell’architettura romana è il concetto di organismo che deriva dai principi di unità e proporzione umana dell’architettura greca ma non si esaurisce in essi. Dall’unità plastica l’architettura romana giunge all’unità spaziale: l’organismo non è più un oggetto posto in rapporto con la scena naturale e con altre entità volumetriche: diventa anzitutto una forma cava, un contenitore di funzioni, anche molto complesse, organizzate secondo il principio della chiarezza dell’ordine gerarchico. Organismo non è più solo l’edificio ma la sequenza di edifici o la piazza che spesso si chiude, si pensi ai fori imperiali, rifiutando ogni connessione con l’ambiente circostante e definendosi come un organismo architettonico autonomo.
L’organismo è il risultato della fedeltà a leggi predeterminate, a leggi di aggregazione delle parti, basate sull’istituzione di un rapporto di dipendenza le une dalle altre, leggi di equilibrio basate sul valore riassuntivo delle vedute generali e sulla simmetria che accentua la composizine gerarchica traducendo in termini di masse e cavità la struttura articolata e accentrata della organizzazione sociale ed amministrativa dello stato " (G. Picard, Architettura romana).

Il santuario è uno dei più grandi capolavori dell'architettura romana di epoca repubblicana, influenzato, nella scenografica disposizione a terrazze, da realizzazioni ellenistiche, sia pure usando la tecnica costruttiva del cementizio che è del tutto romana.

IL POZZO ORACOLARE
Il santuario fu famoso anzitutto perchè oracolare, il che comportò una grandiosa realizzazione architettonica databile verso la fine del II sec. a.c. anche se l'origine del luogo di culto risale ad epoca più antica. Lo stesso appellativo di primigenia ne fa comprendere il culto preromano.

Il tempio si articola in una serie di terrazze artificiali disposte sul pendio roccioso. con balaustre, piedistalli, statue, giardini, vasche e fontane, in un susseguirsi scenografico di grande vastità ed effetto.

Sulla "terrazza degli emicicli", davanti all'esedra di destra, si conserva un pozzo, identificato con quello in cui, secondo Cicerone, il nobile prenestino Numerio Sufficio avrebbe rinvenuto le sorti, ovvero delle tavolette di legno da cui si traevano auspici sul futuro.
Si è pensato che gli oracoli venissero redatti all'interno dello stesso pozzo da una figura (probabilmente femminile) che si manteneva però nell'ombra.

Per ricevere i responsi invece si calava all'interno del pozzo un fanciullo che poi consegnava le tavolette a coloro che avevano posto le domande e che avevano fornito un degno contributo.

Tutto questo però è frutto di menti archeologiche un po' troppo fantascientifiche. Non c'è traccia nel suolo italico di sacerdoti o sacerdotesse infilati in un pozzo per i responsi. Il fatto che le tavolette delle Sorti fossero state nascoste in fondo a un pozzo è perchè.. le avevano nascoste.

Perfino gli etruschi nascondevano in taluni casi le merci o gli oggetti preziosi nei pozzi, dei condotti verticali a sezione rettangolare per discesa e salita mediante tacche incise lungo una parete, chiamate 'pedarole'; lo scopo di questi pozzi era di attingere acque da vena, ma anche come fori di collegamento dalla superficie a silos e cisterne sottostanti oppure a cunicoli sotterranei o a nascondere oggetti.

Comunque la presenza dell'oracolo, testimoniata da Cicerone, viene ricordata dalle fonti fino al III sec. d.c., finchè nel IV sec. l'editto di Teodosio, insensibile all'altrui libertà, ne obbligò la definitiva chiusura.




La Dea Primigenia

La Dea Madre Fortuna era la primordiale generatrice del Cosmo, rappresentata in età romana (su specchio prenestino) come madre nell'atto di allattare Giove e Giunone fanciulli.

Viene riferita come protettrice della maternità, della fecondità per i campi e fertilità per gli uomini e gli animali.

Ma non solo. Dato che il suo aspetto era, come riferisce Plinio il Vecchio, di guerriera, si presuppone che ella avesse i tre classici volti: di colei che dà la vita, che nutre, e che dà la morte. In quest'ultimo aspetto era anche Dea della guerra.

L'aspetto generativo della Dea comportava come si è detto che la si invocasse per la fertilità delle donne, dei campi e degli animali. Come aspetto di colei che nutre e fa crescere rientrava l'aspetto curativo dei malati, e come colei che dà la morte rientrava il suo aspetto oracolare, di colei che sa della vita e della morte.

Non c'è possibilità predittiva se non contemplando la possibilità della morte, altrimenti la mente blocca la visione del futuro con un muro invalicabile.


Il Santuario

Il santuario è costituito da un complesso monumentale disposto su sei terrazze artificiali che guardano a sud, collegate da rampe e scale che conducevano al tempio e alla miracolosa statua della Dea. Questo edificio sacro e monumentale, realizzato lungo la via principale di accesso alla città, si arrampica sulla collina grazie ai terrazzamenti.

Esso è diviso in due nuclei: quello a valle più di tipo religioso col vecchio santuario latino e il complesso a monte che culmina con una cavea.

In basso c'è il complesso maggiore, diviso in quattro navate coperto da tetto ligneo con a valle un porticato con due ordini, dorico e corinzio, e a monte delle aperture rettangolari.

A monte ci sono tre livelli in cui l'ultimo presenta una scalinata che porta a due rampe coperte che salgono alla terrazza delle esedre con un portico dorico interrotto da esedre ioniche. 

Si sale un altro piano e si arriva alla terrazza dei fornici con aperture alternativamente arcuate e piatte. Con un'altra rampa si arriva all'ultima terrazza molto più grande delle altre, con porticato corinzio su tre lati con un emiciclo a cavea nella parte più alta sormontata da un altro portico semicircolare e da una rotonda.

La prima terrazza, sorretta da un imponente muro in opera poligonale e arricchita da vasche lustrali ai due lati; sosteneva una doppia rampa simmetrica, con doppio passaggio, uno esterno coperto con volta e sostenuto da colonne doriche, l'altro scoperto e lastricato.

L'opera poligonale conferma l'antichità del luogo di culto che è molto più arcaico del II sec. a.c., un culto che si perde nella notte dei tempi. Le vasche lustrali fanno pensare alle acque benedette e curative che non mancavano mia nei santuari della Grande Madre.

Le rampe conducevano sulla terrazza detta “degli emicicli”, che presentava un fronte porticato in stile ionico, su cui si aprivano due grandi esedre simmetriche con volte a cassettoni. Una scalinata centrale portava poi alla terrazza superiore, detta dei “fornici a semicolonne”, che ospitava forse luoghi di ristoro per i pellegrini e botteghe con statuine, oggetti sacri e souvenir.

I TERRAZZAMENTI
Dalla scalinata posta al centro si poteva salire alla terrazza più estesa, oggi detta piazza della Cortina, porticata su tre lati con colonne corinzie. Sul fondo un'altra rampa conduceva ad una grandiosa esedra gradinata, ombreggiata da un doppio portico con colonne in stile corinzio. 

Dorico, ionico e corinzio erano i tre stili di colonne, stili originari della Grecia, con cui i Romani ornavano i monumenti più importanti, vedi il Colosseo.

Sulla sommità del colle terrazzato si ergeva finalmente il tempio, a pianta circolare, quindi di stile piuttosto arcaico, tutto chiuso, come usava all'epoca, dove era conservata una statua in bronzo dorato (Plinio il Vecchio) della Dea Fortuna tutta armata, che veniva portata fuori dal tempio solo in occasione delle feste religiose.
Sicuramente però non era l'unica statua del tempio, perchè almeno un'altra doveva trovarsi presso la parte bassa del santuario, posta all'esterno di modo che i pellegrini potessero individuarla anche da lontano.

Il grandioso santuario ha interessato ed ispirato architetti ed artisti di tutti i tempi. Diverse ipotesi ricostruttive del santuario furono proposte da architetti come Andrea Palladio, Pietro da Cortona, Domenico Castelli, Luigi Canina, Heinz Kähler e Fausto Zevi.

La struttura di terrazzamenti ed i volumi del Santuario hanno ispirato la composizione architettonica di numerosi edifici. Tra questi

- il Belvedere Vaticano (1504) progettato da Bramante,
- villa Sacchetti del Pigneto (1635) di Pietro da Cortona,
- il progetto per il palazzo imperiale di Schönbrunn (1690) di Fischer von Erlach,
- il Vittoriano (1884-1911) di Giuseppe Sacconi,
- il progetto per il Pocono Art Center (1972) di Louis Kahn,
- the Mississauga City Hall Complex (1982-6) di Jones and Kirkland Architects.




I PROPILEI

A Largo San Rocco sul lato sinistro c'è la chiesa di S.Lucia, alle cui spalle, percorrendo per via degli Arcioni, sul lato sinistro, resti di cisterne romane del II sec. a.c. usate per conservare l'acqua e alimentare la città.
Proseguendo per via degli Arcioni,  troviamo il cosiddetto "Propileo"; antico ingresso al Tempio. Poco più avanti sempre sulla sinistra, la "porta del Sole" dei Pricipi Barberini, che sostituisce l'antica porta sulle mura poligonali.
Accanto, i massi di mura ciclopiche che anticamente racchiudevano la città. I massi sono grandi, pesanti e uniti a secco, senza malta, tanto che gli antichi credettero fossero state costruite da ciclopi.



IL FORO CIVILE

L'antico Foro di Praeneste comprendeva una serie di edifici di varie epoche in corrispondenza dell'attuale piazza Regina Margherita e sotto la cattedrale di Sant'Agapito martire. Collegato al soprastante Santuario della Fortuna Primigenia, venne a lungo ritenuto una sorta di "santuario inferiore" e solo più tardi riconosciuto come foro.

Sotto il fianco orientale della Chiesa, sul lato ovest della piazza, sono visibili il basamento dell’antico tempio in opera quadrata di tufo, un tratto di strada basolata e una porzione dell’antica pavimentazione del Foro che ancora sussiste.

La fioritura economica di Praeneste alla fine del II sec. a.c. consentì poi una splendida e costosa ristrutturazione urbanistica e monumentale della città nel suo complesso, che interessò, oltre al Santuario della Fortuna Primigenia, gran parte degli edifici pubblici sia di carattere civile che sacro.

A quell’epoca venne costruito un grande complesso sul lato settentrionale della piazza, alle spalle del tempio di Giove. Gli edifici principali si trovavano ad un livello superiore, raccordato al piano pavimentale della piazza attraverso un colonnato a due piani.

Il Foro comprendeva fra gli edifici più rilevanti:


LA BASILICA

La basilica aveva l'interno diviso in quattro navate, quasi certamente coperte. Sulla parete di fondo, separata da un'intercapedine del muro di terrazzamento retrostante, resta la decorazione con semicolonne che inquadrano finte finestre. Il lato anteriore era preceduto da un portico a due ordini, con colonne doriche sotto e corinzie sopra, in parte inglobate nella facciata del successivo palazzo del Seminario.

LA BASILICA ROMANA
Sui lati corti si aprono sulla basilica due ambienti: a sinistra l'"antro delle sorti", una grotta naturale, organizzata a ninfeo e pavimentata da un bel mosaico con pesci di epoca ellenistica.

L'ambiente di destra era una sala con abside, con un podio decorato da fregio dorico sormontato da semicolonne. Non è chiara la funzione di questo secondo ambiente, forse un ninfeo gemello o forse un edificio religioso legato al santuario. In ogni caso è qui che è stato ritrovato il famoso mosaico del Nilo, oggi conservato presso il Museo archeologico nazionale prenestino, che raffigura una cartografia dell'Egitto, dalle sorgenti del fiume in Etiopia fino al delta.

Nelle vicinanze sono emersi i frammenti di un obelisco egiziano, anch'essi conservati attualmente nel museo, per cui si è pensato che si trattasse di un iseo, cioè di un luogo di culto dedicato alla Dea egizia Iside.

Il complesso civile era collegato al soprastante santuario della Fortuna Primigenia tramite una serie di scalinate laterali. L'intero complesso della basilica e delle aule di culto con i mosaici è stato datato al II sec. a.c.



IL TEMPIO

Un grande tempio etrusco-italico del IV secolo a.c., il cui basamento è in parte conservato sotto la piazza, presso l'attuale chiesa, faceva da sfondo al complesso. La cattedrale, dedicata a S. Agapito, insiste infatti sulle strutture di un tempio, probabilmente dedicato a Giove Imperatore, risalente alla fine del IV-inizi del III sec. a.c.

L'AULA ABSIDATA


AULA ABSIDATA

Adiacente al tempio della Fortuna Primigenia, era locato il Foro civile di Praeneste, a lungo ed erroneamente ritenuto parte del santuario stesso. Del Foro faceva parte l'Aula Absidata, attualmente inglobata nell’ex Seminario Vescovile, sul cui uso si sono fatte diverse ipotesi: una biblioteca, un santuario di Iside, un archivio.

Trattavasi comunque di una sala romana a pianta rettangolare sulla cui parete di fondo si apre una grande abside, celebre perchè originariamente pavimentata dal famoso mosaico a soggetto nilotico.

Detta pavimentazione è stata spostata su una parete del museo per diventare godibile a tutti, anche perchè trattasi di un grandissimo, bellissimo e interessantissimo lavoro, dotato di uno spirito curioso ed allegro, anche se il mosaico non manca di scene drammatiche.


ANTRO DELLE SORTI

L'Antro delle Sorti è una grotta naturale, allargata appositamente, posta sul lato occidentale della Basilica. Essa presenta tre nicchie, che evidentemente accoglievano tre divinità, forse i tre aspetti della Dea Fortuna, ed era decorata da finte stalattiti.

ANTRO DELLE SORTI
L’ingresso alla grotta è monumentalizzato da un arco in blocchi di tufo Lo spazio antistante è pavimentato con un finissimo mosaico bianco, che fa supporre che questa zona in origine fosse coperta. Il pavimento della grotta è costituito da un raffinato mosaico policromo a piccole tessere, fortemente lacunoso nella parte centrale, poiché nel secolo scorso l’ambiente fu purtroppo utilizzato come piano di cottura per la calce.

Vi si distingue comunque un fondo marino con una grande varietà di pesci, crostacei e molluschi. E’ visibile anche una parte della riva, lungo la quale si infrangono le onde, mentre il colore del mare è più chiaro nei pressi della costa e si fa più scuro e blu verso il fondo della grotta, dove si vuole rappresentare il mare più profondo. I pesci sono rappresentati in prospettiva inversa, quelli più distanti dall’osservatore sono di dimensioni maggiori.

Sulla destra si conserva l’immagine di un piccolo santuario, di cui non si conosce la dedica. Esso mostra una piattaforma su cui è un altare di porfido, che fronteggia un’alta colonna corinzia sormontata da un vaso metallico, entro un’esedra, con scudi appesi ed accanto un timone ed un tridente.

Davanti ad essa resta parte di una figura maschile nuda, rivolta indietro, con un drappo in mano. L’opera è uno dei più notevoli mosaici ellenistici conosciuti, che trova confronto con altri esempi di Roma e Pompei, sempre a soggetto marino, ed anch’esso, come quello del Nilo, è attribuibile ad artisti alessandrini che lo realizzarono sul posto nella stessa epoca (fine II secolo a.c.).

CUNICOLO SOTTERRANEO
Nell’Antro delle Sorti gli studiosi hanno ravvisato di tutto: un tempio, un ninfeo, un santuario di Serapide o di Iside. Però sulla "terrazza degli emicicli", davanti all'esedra di destra, si conserva un pozzo che è stato identificato con quello in cui, secondo Cicerone, il nobile prenestino Numerio Sufficio avrebbe rinvenuto le sorti, ovvero delle tavolette di legno da cui si traevano auspici per il futuro. Visto che dietro le tradizioni ci sono generalmente ricordi tramandati oralmente, non sembra azzardato pensare che forse quelle "sorti" si giocavano ad opera delle sacerdotesse della Dea proprio in quell'antro.

Pensare che le sorti si giocassero in un pozzo è la "fantasiosa" supposizione di archeologi distratti, sia perchè non esistono precedenti in tal senso, sia perchè le sibille oracolavano negli antri. E' evidente che anche qui vi fosse un antro dove oracolassero i sacerdoti.

I rinvenimenti degli oracoli nel pozzo significano solo che temendo una profanazione questi siano stati occultati in un posto da cui era difficile reperirli. Comunque qualcuno sapeva o una leggenda permaneva altrimenti non si comprende come mai un nobile si cali in un pozzo.

VILLA DI ADRIANO SOSTRUZIONI PIANO INFERIORE

VILLA DI ADRIANO

La villa di Adriano, sempre a Palestrina, sorge a meno di due km dal Tempio della Fortuna Primigenia, e si raggiunge percorrendo viale Pio XII, la principale via commerciale della città. Fu una delle diverse case imperiali di villeggiatura che l'imperatore si fece costruire.
Da un punto di vista panoramico la villa è collocata in un punto privilegiato dal quale è possibile godere di tutta la visuale sia di Palestrina che della facciata del Tempio della Fortuna Primigenia.

L’attribuzione all’imperatore Adriano è dovuta ad un elemento importante, e cioè il ritrovamento, nel 1793, della statua di Antinoo, il giovane e bellissimo amante di Adriano, rappresentato in veste di Bacco. La statua è oggi conservata nella Sala Rotonda dei Musei Vaticani.

Oltre alla statua di Antinoo tuttavia vennero rinvenuti dei bolli laterizi risalenti all’epoca repubblicana, per cui Adriano avrebbe arricchito una vecchia villa o ne avrebbe impiantato una nuova sulla vecchia.

Resta anche il fatto che le fonti riferiscono della presenza di Augusto, Tiberio e Marco Aurelio a Palestrina, ma non parlano della visita di Adriano. Pertanto l'attribuzione è piuttosto controversa.

La villa si trova all’interno di un complesso monumentale più ampio che si articola in due spazi: uno è la villa stessa, l'altro è collocato all’interno del cimitero costruito intorno alla meta dell’ottocento.

Percorrendo il piano inferiore è possibile individuare una serie di ambienti paralleli, di diverse dimensioni, in tutto una ventina, a forma rettangolare e tutti comunicanti con un lungo corridoio.

Il soffitto è costellato di volte a botte. Tutti gli ambienti sono rifiniti a cocciopesto sui pavimenti, e di corduli di cocciopesto agli angoli delle pareti, che non è il massimo per una villa romana ma forse questa parte aveva attribuzioni molto umili, tipo magazzini per attrezzi e derrate, oppure cisterne.

Queste stanze comunicavano tutte fra loro con porte alte e strette, coperte da ghiere di laterizi ad arco,
Nel piano superiore sono stati reperiti i resti di un convento, che è stata la parte più utilizzata nel corso dei secoli. Le strutture rinvenute nella zona intorno al cimitero sono difficilmente identificabili a causa di un cattivo stato di conservazione.

A tutt'oggi sono visitabili gli ambienti del piano inferiore che si presentano come sostegno dei piani superiori di cui sono rimaste soltanto le mura della chiesa di Santa Maria in Villa. Questa imponente sostruzione era funzionale ad un innalzamento del livello della villa per sottolinearne la maestosità.

Qualcuno ha pensato che sia stato Augusto a farsi costruire la villa per le sue vacanze prenestine, ed effettivamente come date ci starebbe, per poi in seguito essere subentrato Adriano che avrebbe ampliato la villa, e questo ci starebbe sicuramente col carattere di Adriano che amava il grandioso.



MUSEO NAZIONALE ARCHEOLOGICO PRENESTINO

Il Museo è ospitato dal 1956 all'interno del Palazzo Barberini, costruito sulla sommità del santuario della Fortuna Primigenia. Ospita numerosi reperti: cippi, busti, basi funerarie, statue e oggetti di uso quotidiano provenienti dalle necropoli della città. Particolarissimo il grande Mosaico nilotico dell' 80 a.c., di dimensioni 5,85 x 4,31 m, proveniente da un aula del Foro repubblicano della città e raffigurante il paesaggio esotico del Nilo, uno dei pochi esempi conservati di mosaico di epoca repubblicana.

Il museo ospita inoltre il gruppo scultoreo della Triade capitolina, uno degli esemplari meglio conservati tra quelli che raffigurano insieme Giove, Giunone e Minerva, conservato nella quasi totale interezza.

La Chiesa annoverò una Santa Fortunata vissuta a Preneste e martirizzata a Roma nel 200 a.c. Spesso dove si venerava un Dio pagano sorgeva un santo con nome identico o simile, da Fortuna a Fortunata il passo è breve.

IL MOSAICO NILOTICO

IL MOSAICO NILOTICO

Questo è il gigantesco mosaico nel suo complesso. Essp è esposto appunto al museo di Palestrina.

Fu scoperto tra fine '500 e inizi '600 nell'aula absidata del Foro Civile dell’Antica Praeneste, all'epoca adibita a cantina del vecchio Palazzo Vescovile. Nel 1625 il Vescovo di Palestrina, Cardinale Andrea Baroni Peretti Montalto, apprezzata la bellezza del mosaico, lo fece staccare dal pavimento, poi lo fece dividere in pezzi quadri, e infine diede ordine di trasportarlo a Roma. In cambio del Mosaico del Nilo, il Cardinale donò alcuni paramenti alla sagrestia della Cattedrale di Sant’Agapito, che sorse su un antico edificio romano.

Quando il feudo di Palestrina fu acquistato dalla Famiglia Barberini nel 1630, il Cardinale Francesco Barberini, grande collezionista di opere d’arte, riuscì ad entrare in possesso del Mosaico nel 1635 e lo fece restaurare.

Nel 1640 l’opera restaurata fu riportata a Palestrina e collocata nella sua posizione originale, in quell’aula absidata che intanto era stata fatta restaurare dal Principe Taddeo Barberini. Tuttavia l'umidità dell'aula non fece bene al mosaico che dovette essere nuovamente restaurato.

Così nel 1853 il Principe Francesco Barberini affidò l’incarico all'architetto di casa Barberini, il Mosaico venne diviso in 27 lastre di varia grandezza e riportato a Roma per il restauro. Tornato a Palestrina dovette essere di nuovo inviato a Roma nel 1943, affinchè non fosse colpito dai bombardamenti. Tornate di nuovo a Palestrina, le lastre furono ricomposte su un piano leggermente inclinato in una delle sale del Palazzo Colonna Barberini.

PARTICOLARI DEL MOSAICO

Palazzo Barberini

Il palazzo fu eretto verso la metà del'XI sec. dalla famiglia Colonna, riutilizzando le strutture superiori del santuario della Fortuna Primigenia. Nel 1298 venne distrutto, insieme alla città dopo l'assedio di papa Bonifacio VIII, poichè i Colonna che si erano opposti alla sua elezione.

Nel 1630 il palazzo e la città furono ceduti dai Colonna ai Barberini che modificarono il palazzo nella forma che ha oggi, collocandovi il mosaico..Venne nuovamente distrutto nel 1437 per ordine di papa Eugenio IV.

Col permesso del suo successore, papa Niccolò V, il palazzo venne nuovamente ricostruito da Francesco Colonna, al quale si deve il pozzo antistante la facciata e la chiusura del colonnato sulll'antico teatro.Dopo la II guerra mondiale il palazzo venne acquistato dallo Stato e utilizzato come sede del Museo archeologico nazionale prenestino, che vi fu allestito nel 1956.

Ma per ammirare la bellezza del mosaico era necessario collocarlo in posizione verticale, e nel 1952 fu la società cinematografica Ponti-De Laurentis, che propose un documentario a colori sul mosaico di Palestrina, accettando di sostenerne tutte le spese del restauro. Nel 1956, ormai restaurato, il mosaico fu definitivamente collocato nel Museo Archeologico Nazionale di Palestrina.

PARTICOLARI DEL MOSAICO - ROMANI MACEDONI

Il Significato

Il cardinale francese Melchior de Polignac, il primo a capire che il Mosaico rappresentava l’Egitto, lo interpretò col viaggio di Alessandro Magno al Tempio di Giove Ammone, per cui la parte superiore del quadro, con i cacciatori neri e le belve, rappresenta l’alto Egitto.

Dove invece il Nilo scorre verso la pianura e forma il delta sono rappresentate Eliopoli e Menfi. Nella scena in basso a destra, dove sotto un padiglione sono raffigurati un condottiero con dei guerrieri e una figura femminile, Polignac vedeva Alessandro Magno incoronato dalla Vittoria. L’uomo che sulla prua di una nave da guerra stende la mano ad Alessandro, come a chiedere la pace, sarebbe Astace, governatore di Menfi.

- Il filosofo e storico francese Jean Baptiste Dubos credeva si trattasse di una carta geografica dell’Egitto, con varie vignette di abbellimento di uomini, animali, edifici, battute di caccia e cerimonie legate all’antico Egitto.

- Il padre gesuita Giuseppe Rocco Volpi, dopo aver detto che il mosaico rappresentava l’Egitto, si soffermava sulla scena del padiglione con il condottiero e i soldati, confutando la tesi di Polignac: non si trattava di Alessandro Magno e i suoi soldati, ma di romani armati.

- Secondo l’archeologo francese Jean Jacques Barthelemy il Mosaico apparteneva ai primi secoli dell’Impero, e rappresentava Adriano in Egitto.
Secondo lui questo viaggio influì sull'abbellimento della la sua villa di Tivoli con statue egizie, e il Mosaico del Nilo a Praeneste, l’altra città che ospitava una delle sue ville fuori Roma: la Villa di Adriano.



- L’archeologo italiano Carlo Fea ci vedeva invece la conquista dell’Egitto da parte di Augusto. Sarebbe lui il condottiero che con i suoi ufficiali sta sotto il padiglione in basso a destra del Mosaico. (COMMENTO: veramente gli elmi sono macedoni e pure gli scudi)

- L’archeologo italiano Orazio Marucchi vi scorgeva il Nilo raffigurato durante un’inondazione, momento sacro per gli Egizi che dipendevano dal quel fiume, e inoltre un omaggio a Iside, la Dea egiziana con cui si identificherebbe la Fortuna Primigenia di Praeneste perchè, secondo Marucchi, il culto della Dea Fortuna e l’arte della divinazione prenestina avrebbero avuto origine in Egitto. ( COMMENTO: Ma se proveniva dall'Egitto forse non si sarebbe chiamata Primigenia)

- Recentemente il mosaico Palestrina è stato interpretato come una mappa topografica del Nilo: la parte superiore del mosaico rappresenta l'Etiopia, la zona superiore della parte inferiore l'Egitto, e il primo piano rappresenta il Delta, dall'alto in basso inteso come sud a nord, la convenzione standard per le mappe antiche.

- Per altri rappresenta lo straripamento del Nilo nella stagione delle piogge,

- per altri ancora un mondo vagheggiato e idealizzato, per giunta venuto di moda soprattutto con Cleopatra, un po' come lo fu l'Arcadia nel Rinascimento.

- Noi diremmo una via di mezzo tra un mondo vagheggiato e una molto approssimativa mappa del Nilo.
A tutt'oggi il mosaico è conservato dal 1956 nel Museo Archeologico Nazionale di Palestrina.

Il vasto mosaico nilotico è la prova evidente di quanto i dipinti trionfali romani potessero somigliare alle convenzioni topografiche e quindi essere scambiate per tali. Ma pure di quanto sia a volte arzigogolata la fantasia degli archeologi che a volte vagheggiano le interpretazioni più azzardate.

Il mosaico policromo misura 21.3 x 17.3 m, e vi sono rappresentati infiniti personaggi ed infiniti animali. I dettagli sono spiegati in greco, a testimoniare la provenienza del mosaico, che è appunto di origine alessandrina.



LA TRIADE CAPITOLINA

La Triade Capitolina, anch' essa conservata nel Museo di Palestrina, è una scultura in marmo lunense raffigurante le tre divinità Giove, Giunone e Minerva seduti sul trono, risalente al periodo tardo antoniniano (160-180 d.c.), esemplare praticamente unico di Triade pressochè integra e ben conservata.

Come si vede le statue erano pitturate secondo l'usanza romana e le divinità avevano ai loro piedi i simboli che le contraddistinguevano: Minerva la civetta, Giove l'aquila e Giunone il pavone.


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CULTO DI LYMPHA

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FONTE ROMANA PORTOGALLO

Lympha era un'antica divinità romana delle fresche acque. Secondo la lista di Varrone ella era una delle 12 divinità duces, cioè "leaders" delle aziende agricole romane, poichè "senza acqua tutta l'agricoltura è secca e povera"
Questa divinità però non era unica ma ce n'erano tante quante erano le fonti.

Le Lymphae erano pertanto connesse alle fonti, alle sorgenti e ai pozzi. Vitruvio, nel suo lavoro "Sull'Architettura" spiega alcune sue associazioni su come il disegno di un tempio e la costruzione dell'aedes rifletterebbero la natura della divinità che vi abita.

Così il carattere dell'ordine corinzio sembra molto appropriato a Venere, Flora, Proserpina, e alle Ninfe [Lymphae] delle fontane; perchè la loro snellezza, eleganza e ricchezza, e i loro ornamenti si lasciano rappresentare da volute in analogia con le loro predisposizioni.

Il nome Lympha è equivalente solo in parte alla Ninfa, una dedica per ripristinare l'acqua da bere venne fatta alle nymphis lymphisque augustis, "per le ninfe e le auguste lymphae," distinguendo le due come avviene nel passo di S. Agostino di Hippo.

Nell'usanza poetica, le lymphae come nome comune plurale, o meno spesso al singolare, possono indicare una sorgente di acqua fresca, o semplicemente acqua limpida. La Lynpha compare frequentemente col suo compagno Fons, il cui nome significa "la fontana" e che era invocato come una divinità

Quando il suo nome appare insieme ai nomi propri di divinità, Lympha diviene oggetto di religiosa riverenza perchè quella divinità prende l'aspetto dell'acqua. Come molte altre divinità che appaiono sia al singolare che al plurale (come Faunus/fauni), ella unisce entrambi in un multiplo aspetto.

Ella è l'appropriata divinità da pregare per mantenere la risorsa dell'acqua, così come Libero provvede il vino, Pomona i frutti, e Cerere il pane.

FONTE BIXIA ROMANA

L'origine del termine lympha è oscuro. Poteva derivare da lumpa o limpa, riferito all'aggettivo limpidus, cioè chiaro e trasparente con allusione all'acqua. Ma esiste anche il termine intermedio lumpha, forse derivato dal greco nympha, visto che y e phi vengono trascritti in latino come u, y, e  ph o f.

Questa Lympha compare nella religione osca come Diumpā ( plurale diumpaís). Sulla tavola osca questi Dei appaiono in un gruppo di divinità che provvedono l'acqua per le colture. Ma le Lymphae compaiono anche sulla Tabula Agnonensis come una delle 17 divinità 17 Sannite, che includono gli equivalenti di Flora, Proserpina, Venere, tutte divinità agricole. 

Varrone poi le colloca tra le 12 divinità agricole. Esse fanno parte delle antichissime divinità Indigetes che comprendono Robigo, Flora, Lympha e Bonus Eventus.

Nella Base Cosmologica Etrusca di Martianus Capella, le Lymphae sono collocate nella II delle 16 regioni celesti, con Giove, Quirino, Marte (la triade Arcaica), Lare e Giunone
Varrone chiama Lympha giuturna: "Giuturna è la Lympha che aiuta: infatti molte persone bisognose corrono da lei a cercare la sua acqua".

Nella Gallia cisalpina fu rinvenuta un'iscrizione che collega le Lymphae ai Vires, "Il vigore fisico", personificato da un insieme di divinità maschili. Connessione che nella sua monumentale opera "Zeus" Arthur Bernard Cook ritrova sotto l'aspetto che scorre o produce il liquido seminale.

Come complemento ai Vires, le Lymphae e le ninfe personificavano la voglia di procreare, per cui, queste divinità dell'acqua vennero associate al matrimonio e al parto.

Quando Properzio narra di come Tiresia spiata la Dea vergine Pallade Atena al bagno, giocò con le proprietà sessuali di lympha contro la volontà degli Dei:
"Che gli Dei ti conceda altre fonti: questo liquido  fluisce solo per le ragazze, questo stillicidio senza sentieri di una soglia segreta".

E' sempre propertio a definire Giuturna la "Limpha salvoris", la Limpha che salva, che guarisce, alludendo alle qualità benefiche e pure miracolistiche delle sue acque..

DEA DELL'ACQUA
I poeti dell'età augustea spesso giocarono sul duplice significato di lympha come "sorgente d'acqua " e nella poesia di Orazio, " lymphae", le linfe danzano, e fanno rumore, sono loquaci, e quando sono arrabbiate provocano siccità finché non si osservano i loro riti.

Il verbo latino lympho, lymphare significa "impazzire" o "stare in uno stato di trance," Virgilio nell'Eneide descrive la follia di Amata, moglie di re Latino, pungolata dalla Furia Aletto che le determinava un comportamento delirante.

Si diceva infatti ninpholectus (rapito dalle ninfe) colui che aveva un comportamento invasato o delirante.

In ogni antica religione, o almeno in Grecia, Roma e pure nei territori celtici, le Dee dell'acqua furono fonte di ispirazione o di rivelazioni divine, queste ispirazioni venivano colte dai poeti oppure dalle sacerdotesse che ne ricavavano oracoli, non sempre chiari da decifrare. Ma raccoglievano intorno a sè molto rispetto e riti opportuni.

Presso i greci, il culto delle ninfe fecero parte poi dell'estasi orfica o dionisiaca. L'acqua era il liquido attraverso cui passava il divino, l'acqua che guariva, che dava la giovinezza, o la saggezza o l'ispirazione. Le Lymphae tfurono pertanto simili alle Latine Camene, e alle Muse greche.
La "nympholepsy" da ispirazione divina, da possessione divina, coll'affermarsi del patriarcato corrispondente all'affermarsi della mente coi suoi schemi, assunse contorni piuttosto negativi. Progressivamente la possessione divenne follia e con l'avvento del cristianesimo si trasforma addirittura in diabolico e malefico.

Riassumendo la Lympha fu l'antica Dea delle acque, quindi fonte di vita per le creature marine ma anche fonte di alimentazione per tutte le creature terrestri. A lei si doveva vita e nutrimento, per cui era la madre di tutto. Il culto delle acque sorgive era peraltro la profondità della Terra che dal suo seno stillava l'acqua per umani animali e piante. Per questo era pure la Dea delle messi e dei campi in genere, ma pure Dea dei ruscelli, e dei pozzi, ovunque vi fossero acque pure con cui dissetarsi.

La possessione della Dea permetteva alle sue sacerdotesse di attingere alla parte più profonda di se stesse, a una parte impersonale che attingeva a sua volta alla saggezza di tutte coloro che le avevano precedute, per questo potevano oracolare e insegnare. 

Decaduto il sacerdozio femminile i sacerdoti hanno rifiutato la possessione perchè li spaventava andare oltre la loro mente, privandosi di un potere femminile che unito alla capacità razionale ed organizzativa dei romani avrebbe portato di certo a vette sconosciute.

PUBLIO ANNIO FLORO

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GARA DI POESIE

Nome: Plubius Annius Florus
Nascita: Africa, 70/75
Morte: Roma, 145
Professione: poeta e scrittore

Publio Annio Floro, detto anche Lucio Anneo Floro o anche Giulio Floro (in latino Publius Annius Florus, Lucius Annaeus Florus, Julius Florus; Africa, 70/75 circa – Roma, 145 circa), è stato uno storico e poeta romano, di origini africane, autore dell'opera "Bellorum omnium annorum septingentorum libri duo".

Non si ha la matematica certezza, da parte degli studiosi, che i diversi nomi, fino a tre diversi Floro autori delle opere pervenute, siano la stessa persona, ma grosso modo il personaggio è questo. Comunque doveva provenire dalla gens Annia, un'antica famiglia plebea romana.

Della sua vita si sa solo quel poco che lo stesso Floro dice nel dialogo, di genere autobiografico, Vergilius orator an poeta (Virgilio oratore o poeta), di cui possediamo solo la parte iniziale.

Egli si dichiara di origine africana, e partecipò a Roma a una gara di poesia nella quale ingiustamente non fu premiato per la gelosia di Domiziano. Non sappiamo se veramente vi fu l'ingiustizia, però sappiamo che l'imperatore non era alieno a queste invidie.

Floro, fortemente deluso, partì da Roma  e viaggiò a lungo nel Mediterraneo; si fermò diversi anni in Spagna, a Tarragona, dove fra l'altro insegnò retorica.

Ritornato a roma trovò una situazione molto diversa, a Domiziano era succeduto Traiano a cui si legò in amicizia e successivamente conobbe il suo successore Adriano, divenendo amico anche di questo imperatore.

Si dedicò alla storia ed alla poesia, preannunciando la nuova svolta della poesia coi poetae novelli.
Questi costituirono una scuola poetica latina, sbocciata a Roma nel II sec. d.c., e precisamente all'epoca dell'imperatore Adriano (117-138).

Oggi si dubita dell'esistenza storica di un cenacolo o di un movimento letterario con questo nome questo nome. Tuttavia le testimonianze, spesso frammentarie, della poesia del II secolo, mostrano delle costanti piuttosto riconoscibili. Si ebbe un cambiamento nel gusto della poesia latina per cui sono stati usati i termini di poesia novella, novellismo e poeti novelli.
Floro sentì l'esigenza letteraria di un cambiamento, soprattutto nei modelli storiografici tradizionali, o per lo meno di uscire da uno schema quasi fisso, in modo da poter aggiungere al testo particolari e dettagli che potessero arricchire la scena, e a volte riuscì creando delle svolte nei fatti o nei personaggi, altre volte invece furono inserimenti forzati e inutili che creavano solo un appesantimento del testo di base.

Fu infatti un po' discontinuo nel suo stile, forse a causa di sue insicurezze. Ebbe un rapporto di amicizia con Svetonio con cui condivise la medesima ricerca letteraria del nuovo stile. Non si sa con precisione la sua data di morte, forse intorno al 145.


BELLORUM OMNIUM ANNORUM DCC o EPITOMAE DE TITO LIVIO

La sua opera storica "Bellorum omnium annorum DCC", è il compendio di 700 anni di guerre romane da Romolo ad Augusto, ed ha, come "Epitomae de Tito Livio" (anche Epitoma o Epitome), un titolo sicuramente non originale ma aggiunto successivamente e inadeguatamente, perché l'autore pur basandosi molto su Livio, ha differente l'impostazione e la visione delle cose, e inoltre utilizza molte altre fonti, quali Sallustio, Cesare e Seneca il Retore, riportando anche eventi successivi a Livio.

POETI D'ARCADIA
Floro usa come modello la dottrina stoica dei cicli e della palingenesi, e divide la storia romana in quattro età, come quelle della vita umana, secondo un criterio che aveva adottato Seneca il Vecchio nelle sue Historiae, e sarebbero:
- il periodo monarchico (infanzia),
- l'età repubblicana fino alla conquista di tutta le penisola italica (adolescenza),
- la costruzione di un impero e la pacificazione di Augusto (maturità),
- l'età imperiale fino ad Adriano (vecchiaia),
- per ultimo però con Traiano all'Impero romano viene restituita una nuova giovinezza.

L'opera è un vero e proprio panegirico, pieno di retorica e di enfasi, dove esalta soprattutto il valore militare del popolo romano, di cui esalta le gesta fin dalle origini.
Il valore storico dell'opera però è di scarso valore, molto intrisa di fini retorici e moralistici, e molto connessi con la propaganda imperiale del suo periodo.

Insomma Floro elogia più che raccontare e si lamenta solo che il presente non sia come l'epoca delle guerre puniche, quando regnavano l'onestà e il coraggio, mentre nel suo tempo la società romana sguazzava nel lusso e nella ricchezza che infiacchiscono gli animi.

Viene il sospetto che Floro si sentisse povero rispetto alla ricchezza che lo circondava e che ciò gli suscitasse un po' di invidia.

Lo stile particolarmente enfatico della sua opera, fu un'anticipazione e in parte un'ispirazione di ciò che sarà la letteratura africana, pagana e soprattutto cristiana, dei secoli successivi. Una letteratura decadente, colorita ma enfatica, molto formale e molto staccata dai sentimenti. Una falsa razionalità camuffata da sentimento.

Di Floro poeta ci sono rimasti alcuni epigrammi in trimetri trocaici e alcuni versi scherzosi indirizzati ad Adriano con relativa ed ironica risposta dell'imperatore-poeta.


FLORI EPITOMANE Libro I - incipit -

"Populus Romanus a rege Romulo in Caesarem Augustum septingentos per annos tantum operum pace belloque gessit, ut, si quis magnitudinem imperii cum annis conferat, aetatem ultra putet. Ita late per orbem terrarum arma circumtulit, ut qui res illius legunt non unius populi, sed generis humani facta condiscant.

Tot in laboribus periculisque iactatus est, ut ad constituendum eius imperium contendisse Virtus et Fortuna videatur.
Qua re, cum, si quid aliud, hoc quoque operare pretium sit cognoscere, tamen, quia ipsa sibi obstat magnitudo rerumque diversitas aciem intentionis abrumpit, faciam quod solent qui terrarum situs pingunt: in brevi quasi tabella totam eius imaginem amplectar, non nihil ut spero, ad admirationem principis populi conlaturus, si pariter atque in semel universam magnitudinem eius ostendero."


Traduzione:

"Il popolo romano nel corso degli anni dal re Romolo a Cesare Augusto, in settecento anni ha gestito un'opera così grande in pace e in guerra, di modo che, se qualcuno riferisse ad un anno la grandezza dell'impero, ne prenderebbe in considerazione l'età. Avendo operato con le armi in lungo e in largo in tutto il mondo, ne consegue che coloro che leggano le loro gesta, non di un solo popolo, ma di tutta la razza umana starebbe imparando gli accadimenti.
Tanti si lanciarono nelle fatiche e nei pericoli, affinchè si stabilisse l' impero di cui si potesse ammiarere la Virtù e la Fortuna.
Questa cosa, che se non altro, fa conoscere il prezzo di questo operare, ma anche che di per sè rende la grandezza degli argomenti, nonchè la diversità delle intenzioni nelle azioni, io farò, allo stesso modo che usano coloro che sono abituati ad annotare geograficamente i vari paesi: in breve raffigurando l'immagine come una tela, da cui nulla spero eemrga, se non l'ammirazione che il principe dei popoli ci guadagnerà, quando nello stesso modo, tutto in una volta mostrerò la sua grandezza.



LO STILE

Libro II, capitolo I. La prima guerra punica:
Attilio Regolo, il terrore dei Romani davanti al solo nome del mare Punico, la Sicilia romana.


Da come si evince dal testo qua sotto, il suo stile è ampollosamente celebrativo, esasperatamente glorificante ed esaltatato, come se l'impero romano avesse in sè tutto il buono, il coraggio, la gloria, l'eroismo, la virtù, l'abnegazione, la fedeltà e l'onestà del mondo, mentre nei nemici dell'impero vi fosse tutto il negativo.

"... E già sotto il comando di Marco Attilio Regolo la guerra si spostava in Africa. Né mancò fra i Romani chi si terrorizzava solo a sentire nominare il mare Punico. Tale era al riguardo il timore del tribuno Mauzio che solo la minaccia fattagli dal console di usare la scure riuscì a dargli con il timore della morte l’audacia del navigare.

Quindi la navigazione delle navi romane si fece più spedita per l’uso più deciso dei remi e delle vele e lo sbarco nemico terrorizzò a tal punto i Punici, che per poco Cartagine non fu presa con le porte ancora aperte. Premio della guerra fu la città di Clipea; questa è infatti la prima città che s’incontra sul litorale punico, quasi come roccaforte e immagine di quell’area.

Questa ed oltre trecento fortezze furono distrutte. Ma non si dovettero combattere solo uomini, ma anche mostri; infatti, un serpente di grandi dimensioni, quasi vindice dell’Africa, minacciò l’accampamento che i Romani avevano posto presso il fiume Bàgrada.

Ma l’invincibile Regolo, avendo diffuso ovunque il terrore del suo nome ed avendo ucciso o messo in catene la maggior parte dei nemici più validi insieme ai loro stessi comandanti, inviò la flotta a Roma carica di un gran bottino, premessa di un prossimo trionfo.

E già cingeva d’assedio Cartagine, origine della guerra, ed era sotto le sue porte. A questo punto per qualche tempo la sorte voltò le spalle ai Romani, ma solo quel tanto necessario per far meglio risaltare il loro valore, che si dimostra tanto più grande quando più grande è la disgrazia. Infatti, i nemici avendo richiesto l’aiuto di stranieri, e avendo questi inviato lo spartano Santippo, fummo vinti da quell’espertissimo uomo d’armi.

Ed allora i Romani ebbero a subìre una disfatta mai prima provata: il validissimo comandante cadde vivo nelle mani dei nemici. Ma egli fu all’altezza di tanta disgrazia; infatti, non fu il suo animo piegato né dalla prigionia punica né dall’ambasceria che aveva accettato. Poiché consigliò i Romani di tenere un comportamento diverso da quello per cui i nemici l’avevano inviato: non fare la pace e non accettare lo scambio dei prigionieri.

Ma né il volontario ritorno in mano nemica né l’estremo carcere con il supplizio della croce intaccarono la sua grandezza, rendendolo ammirevole su tutti. Che vi è di più grande che vinto trionfare dei vincitori e della stessa sorte, anche se Cartagine era ancora in piedi? Ma il popolo romano si mostrò molto più ardito e determinato per il desiderio di vendicare Regolo che per ottenere la vittoria.

Sotto il consolato di Metello, quindi, mentre i Punici confidavano in una più favorevole sorte, divenuta la Sicilia nuovamente campo di battaglia, furono così duramente battuti presso Palermo, che furono costretti a non pensare più all’isola.

Prova della grande vittoria riportata dai Romani fu la cattura di circa cento elefanti: una preda così ricca che sarebbe stata ragguardevole anche se non fosse stata fatta in guerra, ma a caccia
… "

EFESO (Turchia)

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IL MAESTOSO TEMPIO DI ARTEMIDE AD EFESO,
UNA DELLE 7 MERAVIGLIE DEL MONDO ANTICO

Efeso (latino: Ephesus), oggi uno dei più grandi siti archeologici d'Europa, fu una delle più grandi città ioniche in Anatolia, situata in Lidia alla foce del fiume Caistro, sulla costa dell'odierna Turchia. Fu anche una delle città più popolose e ricche del mondo antico. Efeso è stata la terza città più potente del mondo antico dopo Roma e Alessandria d'Egitto.

Secondo la tradizione fu fondata dalle Amazzoni, anzi Strabone (60 a.c. - 23 d.c.) asserisce che il nome Efeso deriverebbe da quello di una regina delle Amazzoni. Storicamente risulta colonizzata dagli Ioni nell'XI sec. a.c., nel 334 a.c. fu liberata dai Persiani da Alessandro Magno. Passata sotto il dominio romano nel 129 a.c., divenne capitale della provincia dell'Asia.



DIANA CARIA

I primi abitanti di Efeso furono indigeni e anteriori ai Greci, con tutta probabilità Carii, poi vennero i Lelegi e per finire sottostettero al dominio di Atene. Efeso fu famosa e ricca soprattutto per il culto e il santuario di Artemide, corrispondente a Diana nel suolo italico e a Roma.

ARTEMIDE IMPERIOSA
Le più antiche rappresentazioni di Artemide  in età arcaica la ritraggono come "Potnia Theron" (La Signora delle belve): una dea alata che tiene in mano un cervo e un leopardo, oppure un leone e un leopardo.

Poi venne ritratta come vergine cacciatrice, con una gonna corta sopra al ginocchio, un seno scoperto, gli stivali da caccia, la faretra con le frecce d'argento e un arco. Spesso è ritratta mentre sta scoccando una freccia e insieme a lei vi sono o un cane o un cervo.

Vi sono rappresentazioni di Artemide vista anche come Dea delle danze delle fanciulle, e in questo caso tiene in mano una lira, oppure come Dea della luce mentre stringe in mano due torce accese e fiammeggianti. Solo più tardi Artemide porta la corona lunare, anche se da sempre fu la Dea Luna.

Ad Efeso Artemide fu adorata soprattutto come Dea della fertilità, come madre Natura che nutre tutte le creature senzienti.  I Carii furono adoratori di quella Artemide Caria, che nel suolo romano divenne Diana Caria, un tempo associata ai Misteri del Noce sacro.

Le sue sacerdotesse furono maghe e guaritrici, e come simbolo avevano il frutto del noce, che tanto somigliava nell'aspetto al cervello umano.

Poichè le sacerdotesse danzavano intorno al noce sacro, e poichè presso Benevento, nel suolo italico, resistè a lungo il culto di Diana Caria, nacque la leggenda delle streghe e del Sabba.

L'antica Artemide fu Dea della luna, della caccia e degli inferi, pertanto del cielo, della terra e dell'aldilà.

Poi prevalse ad Efeso il suo aspetto di Madre Terra, di Madre Natura, la plurimammellata, colei che nutre col suo latte tutti gli esseri viventi.

"Artemide era adorata e celebrata allo stesso modo in quasi tutte le zone della Grecia, ma i più importanti luoghi di culto a lei dedicati si trovavano a Delo (sua isola natale), BrauroneMunichia e a Sparta

Le fanciulle ateniesi di età compresa tra i cinque e dieci anni venivano mandate al santuario di Artemide a Braurone per servire la dea per un anno: durante questo periodo le ragazze erano conosciute come "arktoi" (orsette).
Una leggenda spiega le ragioni di questo periodo di servitù narrando che un orso aveva preso l'abitudine di entrare nella cittadina di Braurone e la gente aveva cominciato a nutrirlo, in modo che in breve tempo l'animale era diventato docile e addomesticato.

Una giovinetta prese a infastidire l'orso che, secondo una versione la uccise, secondo un'altra le strappò gli occhi. A ogni modo il fratello della ragazza uccise l'orso, Artemide andò per questo in collera e pretese che le ragazze prendessero il posto dell'orso nel suo santuario come riparazione per la morte dell'animale.

Naturalmente è pura invenzione, vero invece  è che Artemide era Arktoi, la Dea Orsa, da cui discese poi il re orso, ovvero Artoi, Artù. Pertanto le fanciulle erano le novizie delle sacerdotesse, che venivano ammesse al tempio per un anno per conoscerne le tendenze al sacerdozio. Le Orse venivano poi rimandate a casa e solo successivamente si sceglievano quelle che meglio stavano presso il tiaso delle sacerdotesse, quelle che non avrebbero sofferto troppo per essersi allontanate da casa.

Le prescelte si dedicavano poi ad Artemide Brauronia, dove tra l'altro si celebrava la prostituzione sacra. Si racconta che i suoi sacerdoti dovevano evirarsi perchè Artemide era vergine. Non è così.

La verginità di Artemide era di colei che non è sottomessa all'uomo, non di colei che si astiene. Anche la sua corrispondente Diana era vergine eppure nel santuario del lago di Nemi  nel Lazio, le sacerdotesse praticavano la prostituzione sacra, bagnandosi ritualmente ogni anno per tornare vergini.

ARTEMIDE

LA STORIA

Dagli scritti degli Ittiti del XIV sec. a.c. emerge il regno di Akhhiyava, fondato nella zona di Mileto, con l'importante città Apasas, che secondo alcuni era l'antico nome di Efeso. Secondo Strabone invece il nome Efeso deriverebbe da quello di una regina delle Amazzoni, le quali sarebbero le fondatrici della città.

Il vasellame di terracotta, trovato nelle tombe del periodo miceneo, e i più antichi reperti storici di Efeso, sono del XV e XIV secolo a.c., il che dimostrerebbe che gli abitanti di Micene avevano rapporti con Apasas.

Nel VII secolo a.c. Efeso come tutte le città della zona ionica fu invasa dai Cimmeri, che non si stanziarono definitivamente ma causarono molte devastazioni tra cui la distruzione del tempio della Dea, venerata come "Grande Madre" e le cui caratteristiche erano simili a quelle della Dea greca.

Nel VI sec. Efeso fu assediata dagli abitanti della Lidia, divenuta uno stato potente. Gli Efesini, sicuri della protezione di Cibele tesero una corda dal tempio fino alla porta della città e si radunarono da una parte senza preoccuparsi dell'attacco di Creso, re di Lidia, che però invase la città.

Creso non infierì sugli abitanti, anzi li aiutò nella ricostruzione del tempio di Cibele e in una delle colonne utilizzate fece incidere il suo nome. Licenziò poi i suoi soldati mercenari e ritornò a Sardi, ma poco dopo perse la guerra che gli mosse Ciro e fu preso prigioniero.

Le città ioniche stanche del dominio persiano si coalizzarono e rivolsero le armi contro i Persiani e la lotta finì nel 494 a.c. con la sconfitta della flotta degli Ioni nel golfo di Mileto, dopo di che distrussero e saccheggiarono Mileto e le altre città ioniche.

Nella guerra contro i Persiani Alessandro Magno entrò in Efeso e fu accolto come un Dio, dopo la sua morte Efeso nel 313 a.c. cadde sotto il dominio di Kyldop in nome dei Macedoni, però le lotte di potere si estesero a tutta l'Anatolia per diversi anni.

La guerra dei Persiani si estese alle città ioniche ed Efeso finì nelle loro mani. I persiani utilizzarono il porto e le navi di Efeso e imposero tasse gravose. Quando il regno di Pergamo venne donato ai Romani per il testamento di Attalo III, anche Efeso diviene romana, nel 129 a.c. quando M. Aquilio ottenne la provincia dell'Asia con Efeso capitale.


Gli Efesini però parteggiarono per Mitridate, obbedendo al suo ordine di uccidere in un sol giorno tutti i Romani ed Italici che vi fossero nell'Asia. Ma due anni dopo Efeso torna dalla parte di Roma e dichiara la guerra al re del Ponto; fedeltà a Roma riconfermata con un monumento a Giove Capitolino.

Gl'imperatori successivi continuano l'opera di Augusto, sotto Nerone per rendere praticabile il porto di Lisimaco; le numerose costruzioni e dediche offerte da due mecenati, Celso Polemeano e Vibio Salutare, sotto Domiziano e Traiano, il larghissimo favore di cui furono prodighi sia Adriano (appassionato della cultura greca), che per due volte visitò la città, compì lavori al porto e assicurò l'abitato dalle alluvioni del fiume, sia Antonino Pio, al cui regno appartengono le munificenze d'un altro ricco cittadino, P. Vedio Antonino.



LE EFESIE

Nel mese artemisio a Efeso si tenevano le Efesie, feste notturne in onore di Artemide. Notturne in quanto si rifacevano al lato notturno della Dea. Le feste Efesie erano feste pubbliche e private. 

Le pubbliche, dette anche Efesie o efesiache o Artemisie, venivano celebrate pubblicamente in primavera in onore di Artemide. 

Venivano compiuti sacrifici e si indicevano giochi, danze e concorsi letterari.

Le Efesie avevano un carattere misterico e magico, tanto è vero che le cosiddette lettere Efesie erano formule magiche che venivano incise su amuleti e che servivano a tenere lontane le malattie. 

Venivano così chiamate perché sarebbero state incise per la prima volta sul piedistallo della statua di Artemide a Efeso. 

Le Efesie private invece si svolgevano nei templi e nei tiasi (monasteri), ristrette alle sole sacerdotesse e i loro adepti. 

Qui si svolgeva la vera magia cerimoniale.
Le Efesie avevano un carattere orgiastico e vi prendevano parte uomini, donne non maritate e schiave. Questo fa capire che l'essere proibito alle maritate riguardava oltre alla fedeltà, il timore di rimanere incinte e portare figli altrui al consorte. Le non maritate invece potevano partecipare, perchè alle donne efesine non era richiesta la verginità, come del resto non era richiesta alle donne di Sparta. Fu Atene a trasformare le donne in prigioniere dei mariti.

L'invenzione delle Efesie fu attribuita ai Dattili Idei e che si diceva possedessero effetti magici. Per questo i simboli delle Efesie venivano incisi su amuleti da portare indosso.

Secondo la tradizione i Dattili, cinque maschi e cinque femmine, maghi e fabbri, erano al servizio della Gran Madre degli Dei, ed abitavano sul Monte Ida, a Creta, dove Rea, presa dalle doglie, avrebbe premuto le mani sul suolo del monte, dal quale sarebbero emersi i dieci Dattili che l’avrebbero assistita nel parto.

Sicuramente i Dattili erano esseri tra il sacerdotale e il mitico, appartenenti alla cultura più antica. I maschi sarebbero stati i fabbri e le sacerdotesse le maghe. Probabilmente le armi venivano rese magiche attraverso riti e glife incise sul metallo.



EFESO ROMANA

Marco Antonio dopo la Battaglia di Filippi venne ad Efeso dove fu accolto con feste dionisiache da lui gradite. Quando i suoi rapporti con Ottaviano cominciarono a peggiorare Antonio mandò il suo esercito in Cilicia e con Cleopatra tornò ad Efeso, le sue navi si unirono a quelle di Cleopatra e ci fu la Battaglia di Azio che sancì la vittoria di Ottaviano e la nascita dell'impero romano.

Nel tempo di Ottaviano, chiamato Augusto, Efeso divenne la capitale della provincia romana nell'Asia Minore, sede del prefetto romano e si trasformò in una metropoli ricca di commerci con più di 200.000 abitanti. (Le rovine rimaste oggi sono quasi tutte del tempo di Augusto). 

Nel 29 a.c. il proconsole Sextus Appuleius provvide alla pavimentazione stradale, mentre lo stesso Augusto finanziò la costruzione di due acquedotti. L'imperatore Adriano venne ad Efeso due volte, la seconda nel 129 d.c., e si occupò del dragaggio del porto nonchè di estaurare le opere pubbliche.

Nell'anno 262 una flotta di 200 navi di Goti invase Efeso dove distrusse bruciandolo il Tempio di Artemide.

Il tempio, considerato una delle Sette Meraviglie del mondo, fu ricostruito dagli Efesini.

Già nella prima metà del I secolo si era diffusa la nuova religione cristiana e San Paolo fu ad Efeso nel 53. - I commercianti che vendevano statuette di Artemide manifestarono contro San Paolo che aveva criticato la realizzazione delle statuette della dea al grido di "grande è la Diana degli Efesini!" (Atti, 18:23-21:16). - 
Ma non è vero, negli atti degli apostoli non sono citati commercianti nè statuette, ma solo che la gente si ribellò al tentativo di cambiare la loro fede. Dopo questo episodio, San Paolo partì per la Macedonia, in seguito tornò nella Ionia ma si stabilì a Mileto.

Nel 164 sono celebrate ad Efeso le nozze di L. Vero con Lucilla, e a ricordo delle vittorie partiche di M. Aurelio e L. Vero la città alza un grandioso monumento onorario.

Caracalla, ordinando che il proconsole debba fare il suo ingresso nella provincia sbarcando ad Efeso, mostra ritenere questa città la più importante dell'Asia. Fiorisce insieme per il commercio e per la cultura (famosi particolarmente ne erano i medici)

Il culto di Artemide la fa centro religioso di grande venerazione; giuochi e feste, alcune di antica fondazione, altre istituite di recente dagl'imperatori, vi raccolgono gente d'ogni parte dell'Asia.

Ma con l'avvento del cristianesimo tutto cambia " Il celebre Tempio di Artemide, una selle "Sette meraviglie del mondo antico" fu distrutto ancora una volta e definitivamente nel 401 per ordine del vescovo Nicola", ma è un errore in cui molti incorrono perchè Nicola, (San Nicola), fece distruggere si il tempio di Diana ma quello che stava a Mira e non quello di Efeso.

A Mira, la città di cui Nicola era vescovo, c’era un magnifico tempio della dea Artemide. Scrive al riguardo Michele Archimandrita:  "Mise a soqquadro i templi degli idoli scacciandovi i demoni e smascherando la loro ingannevole e scellerata impotenza. 

Divinamente ispirato pensò di portare a compimento una grossa impresa, quella di distruggere cioè il tempio di Diana che lì si ergeva imponente. 

Esso infatti era il maggiore di tutti i templi sia per altezza che per varietà di decorazioni, oltre che per presenza di demoni. 

 Circostanza che costituiva una grossa tentazione di empietà per i fuorviati. 

Così egli, minaccioso nei loro confronti, per la grazia di Cristo che era in lui, deciso ad estirpare e ad annientare dalla sua regione il florido culto dei demoni, si recò di persona dove si trovava questo tempio abominevole e, demolendo non solo le parti superiori ma distruggendolo dalle fondamenta, pose in fuga i dèmoni che vi si annidavano."

Invece fu Giovanni Crisostomo che raccogliendo fondi presso le donne ricche cristiane ordinò la demolizione dei Templi greci, e ad Efeso decretò la distruzione del famoso Tempio della Dea Artemide.
Infatti nel 392, a seguito dei Decreti teodosiani, Crisostomo (poi fatto Santo) aveva decretato una spedizione per demolire i templi e far uccidere gli idolatri. 

Le persecuzioni dei cristiani nel mondo greco orientale furono terribili. Ben 30000 seguaci della Dea Artemide vennero crocefissi perchè restii alla conversione.

Crisostomo si scagliò contro i pagani ma particolarmente conto i giudei: Per lui le sinagoghe sono «postriboli, caverne di ladri e tane di animali rapaci e sanguinari», i giudei sono infatti «animali che non servono per lavorare ma solo per il macello», anzi sono animali feroci: «mentre infatti le bestie danno la vita per salvare i loro piccoli, i giudei li massacrano con le proprie mani per onorare i demoni, nostri nemici, e ogni loro gesto traduce la loro bestialità». e i cristiani non devono avere «niente a che fare con quegli abominevoli giudei, gente rapace, bugiarda, ladra e omicida»

Nei verbali del concilio di Efeso del 431 si scrive che Giovanni prese con sé Maria e venne ad Efeso e si stabilì per un periodo a Museion che era proprio nel posto dove è la chiesa della Madonna. S.Giovanni nonostante l'età avanzata viaggiò in tutta l'Anatolia per diffondere il cristianesimo, mentre cresceva l'ostilità contro i Cristiani, per la loro efferatezza verso i pagani e i loro culti.

Infatti per reazione San Giovanni fu preso, torturato ed esiliato a Patmos dove, secondo la tradizione scrisse l'Apocalisse. Sempre secondo la tradizione tornò poi ad Efeso, scrisse il Vangelo, morì e fu sepolto, secondo quanto disposto nel suo testamento, dove si trova la chiesa a lui dedicata. Sembra infatti fosse Efeso il luogo in cui fu scritto il Vangelo di Giovanni, ma datano la sua realizzazione tra il 90 e il 100 d.c., lasciando quindi forti dubbi che a scriverla sia stato effettivamente l'apostolo.

Effettivamente Efeso fu uno degli scogli più duri per la conversione. Gli efesini preferivano morire che convertirsi al cristianesimo col grido di: "Grande è Diana, la Dea degli efesini". La storia dche tale grido appartenesse ai mercanti è pura invenzione cattolico propagandistica.

Nel 431 si tenne ad Efeso un concilio, su disposizione dell'imperatore Teodosio I, per sedare le due fazioni, una che sosteneva che Maria era la madre di Gesù Dio e quindi di Dio, l'altra che era madre solo di Gesù uomo. Al concilio parteciparono duecento vescovi.

Nel IV secolo sulla collina di Ayasuluk si era costruita una basilica e la popolazione di Efeso cominciò a trasferirsi sulle pendici della collina perché il porto aveva perduto la sua importanza ed Efeso stava declinando, mentre la collina aumentava di popolazione e d'importanza, favorita anche dalla costruzione della chiesa dedicata a San Giovanni sulla vecchia basilica decisa dall'imperatore Giustiniano.





GLI SCAVI

Col passare del tempo la città fu dimenticata del tutto, e solo la costruzione della ferrovia da Istanbul a Baghdad con la stazione di Ayasuluk fu la causa dei primi scavi nel 1869 alla ricerca del tempio di Artemide, scavi che furono abbandonati, poi ripresi più volte da varie spedizioni archeologiche europee.

Gli scavi condotti in campagne del 1904-1905 nel basamento del tempio, in uno strato precedente al 560 a.c., hanno portato alla luce il più importante documento monetario, consistente in un cospicuo gruppo di monete globulari in elettro (lega di oro e argento, a basso contenuto d'oro), recanti striature o tipi su di una sola faccia, mentre a rovescio è segnata da un punzone. Sembra si tratti del 640-630 a.c., ma non tutti sono d'accordo sulla data.



LE MURA

La città ellenistica e romana si stendeva sulle due colline, il Pìon (Panayir-Daǧ) e il Coresso (Bulbul-Daǧ). Si conservano ancora tratti di mura, fatte costruire da Lisimaco, edificate a un'altezza di circa 6 m e una larghezza di 2 m,  in grossi blocchi e intervallate con torri quadrangolari, e con diverse porte. Invece il totale delle mura è lungo 8 Km.e circonda tutta la città.

La torre di fronte al porto è a due piani ed è chiamata "la prigione di San Paolo". Le strade fuori delle mura erano fiancheggiate da sepolcri.

Con la pax romana di Augusto che durò dal I al III sec. non vi fu più bisogno di difendersi e le mura furono trascurate, mentre durante il periodo bizantino Efeso divenne povera e spopolata per cui la cinta muraria venne ristretta.

Delle mura si conoscono due porte, quella detta di Magnesia, nell'insellatura fra le due colline, da cui usciva la strada verso la valle del Meandro, e quella sotto le pendici settentrionali del Pion, per la quale si andava al santuario di Artemide: gli avanzi che oggi si vedono di quest'ultima appartengono peraltro al restauro bizantino.





LE PORTE

Porta di Mazeo e Mitridate - nella prima agorà due ricchi liberti, Mazeo e Mitridate, inseriscono una porta monumentale ma sobria e lineare dedicata allo stesso Augusto e a Livia (altre ristrutturazioni saranno attuate in età neroniana).

Porta di Magnesia - posta nell'insellatura fra le due colline, da cui usciva la strada verso la valle del Meandro.

La via Arcadiana,  alle due estremità del tronco principale, verso il teatro e verso il porto, conduceva a due porte: della prima restano lo zoccolo ed alcuni frammenti di rilievi; la seconda era a tre passaggi, il centrale architravato, i laterali arcuati, e aveva le fronti decorate da coppie di colonne ioniche in aggetto: sicuramente opera del I periodo romano.

Porta di Adriano




LE AGORA'

L'Agorà' Civile o Superiore

Quest'agorà, rispetto a quella "commerciale" più antica, si caratterizza come centro direzionale politico della città. Si interruppe la costruzione di un tempio di Dioniso già avviata da Antonio per realizzare questa piazza rettangolare, con un arco di ingresso a quattro fornici e, sul fronte esterno, un grande ninfeo, la "mostra d'acqua", nel punto dell'arrivo in città del fiume Marnas, costruito da Sestilio Pollione.

Sul lato nord si pose una basilica di forma stretta e lunga accompagnata dal bouleuterion, dal Prytaneion e da altri edifici. Si tratta di una piazza di 160 x 58 m. con l'asse lungo orientato a sud-ovest. La sistemazione risale all'epoca di Augusto: il lato nord prevedeva una lunga stoà-basilikè, una basilica, un edificio a tre navate dedicato tra il 4 e il 14 a.c. ad Artemide, Augusto e Tiberio da parte di un ricco evergete locale, C. Sextilius Pollio
.
A nord di questa basilica vi era un temenos (equivalente dell'aedes romano, uno spazio sacro), con due tempietti dedicati a Roma e Cesare inserito tra due tipici edifici greci: un Pritaneo e un Bouleuterion (un edificio che ospitava il consiglio della città greca).

Nella piazza fu costruito un tempietto dedicato al culto di Augusto dando perciò alla piazza l'aspetto di un vero Sebasteion (tempio usato nelle colonie romane per glorificare e divinizzare gli imperatori romani). In epoca antonina il culto dell'imperatore sarà trasferito nel tempio suburbano di Artemide.


L'Agorò Commerciale o inferiore

Questa piazza, di impianto ellenistico, rappresentava il vero centro della città, un quadrato con m. 160 di lato e con una clessidra al cen­tro. Era circondata di colonnati e dedicato al mercato tessile e alimentare. Si presentava come una grande piazza ricca di monumenti e decori a partir dall'età di Augusto ma anche a merito degli evergeti locali. In età neroniana fu costruita una via porticata che conduceva al vicino teatro.

Accanto al porticato della piazza si trovano importanti edifici come la Biblioteca di Celso e l'Altare degli Antonini, un monumento dalla forma simile all'Altare di Zeus di Pergamo ma di dimensioni ridotte. Il monumento, dedicato a Marco Aurelio e Lucio Vero con bassorilievi raffiguranti episodi delle Guerre Partiche e scena di apoteosi di Lucio Vero. Inoltre l’Odeon costruito da P. Vedio Antonino (II sec. d.c.), la basilica, ricostruita in età augustea, una fontana (II- IV sec.), e un tempio dedicato a Domiziano.

Tutto intorno correva una corridoio a due navate sovrapposte, cioè a due piani, sui cui tre lati si affacciavano le botteghe. Il lato orientale aveva colonne di ordine dorico. Due gli accessi principali: uno sul lato ovest, a doppio colonnato ionico; uno sul lato sud, con un altro corridoio a triplice passaggio.

La piazza divenne sempre più preziosa a causa dei successivi interventi imperiali, come il tempio di Adriano e quello di Traiano), oltre ad una lussuosa edilizia residenziale, nonchè il propylon (una costruzione davanti al corridoio d'ingresso) che divenne sempre più articolato e prezioso fino a costituire, come suo massimo esempio, edificata ortogonalmente all'ingresso della piazza.

Prima della porta di Magnesia, c’è la cosiddetta tomba di s. Luca, costruzione circolare di età classica trasformata in cappella cristiana.

CASE TERRAZZATE


LE CASE

Molte domus, come questa, erano elegantemente terrazzate, bellissime case nobiliari attualmente in ristrutturazione. Le pareti sono piene di meravigliosi affreschi e mosaici. Da ricordare soprattutto il complesso residenziale che si affaccia sul pendio sopra la Via dei Cureti, dalla parte opposta rispetto al tempio di Adriano.
Questi isolati sono particolarmente ampi e mirabilmente collegati fra loro, visto le planimetrie irregolari a causa della conformazione del terreno. All'interno di ogni isolato si possono trovare sia appartamenti, sia ricche domus dai numerosi ambienti, con bellissime pitture alle pareti.



LE TERME

Vi erano ben quattro impianti termali di grande rilievo, oltre alle terme private. Fu lo scavo del 1956 della Missione Italiana ad Efeso, a scoprire la basilica costantiniana e le terme.


Terme del Porto

Ovviamente il più grande situato a nord-ovest della agorà civile, qui si svolgeva un enorme transito di persone data la grande affluenza del porto. Furono realizzate nel III secolo e contengono, oltre ai consueti ambienti, due "sale marmoree" di transito dedicate alla figura dell'imperatore.

Adiacente alle terme del porto vi è il singolare Portico di Verulanus: un enorme piazzale con funzione di palestra, quadrato e circondato da portici, costruita al tempo di Adriano.


Terme di Vedius


RESTI DELLA BASILICA DEL CONCILIO DI EFESO
In un quartiere periferico vi erano le terme di P. Vedio Antonino, un edificio che accoglie in sè il greco e il romano, un po' del ginnasio e un po' delle terme.

 Esso ha già adottato il tipo planimetrico delle terme ad asse centrale, pur non raggiungendo la grandiosità di proporzioni che gli edifici del genere hanno in altre province dell'Impero romano.


Terme del Teatro

Poste in quartieri periferici


Terme di Vario.

Erano il primo l'edificio che s'incontrava durante l'ingresso in città. Aspetto molto comune per le città dell'epoca, una forma di accoglienza per i viaggiatori in arrivo da terre lontane.


Terme di Scolastica

Costruzione a tre piani del II° secolo, restaurata nel IV sec. dalla matrona che le ha dato il nome.
Il costume di offrire opere pubbliche a proprie spese fu un uso prettamente romano che aveva il fine di glorificare la propria gens o familia.

L'usanza di origine repubblicana e molto incentivata da Augusto si diffuse anche nelle colonie.
Tuttavia la ricca matrona Scholastikia (Scolastica) usò i marmi e gli ornamenti nonchè le statue del prytaneion, la sede del senato cittadino, e dell' odeion, spogliati nel III secolo dalla ricca dama cristiana, per la costruzione di un impianto termale sulla Via dei Cureti. Si calcola che potesse ospitare un centinaio di visitatori.



Terme Costantiniane

A nord dell'Arcadiana c'era invece un vero e proprio edificio termale, sorto originariamente nella seconda metà del I sec. d.c.., ma restaurato e trasformato da Costanzo II, donde il nome che gli dà un'epigrafe di Thermae Constantianae.

IL TEATRO GRANDE

I TEATRI


Il Teatro Grande

Situato nella parte orientale della città, tra l'agorà commerciale e le terme del teatro, l'impianto originale è ellenistico ma ha subito interventi successivi. Come in ogni teatro greco era ricavato in una conca naturale del terreno e la cavea era maggiore del semicerchio ed è appoggiata a un'altura. 

RICOSTRUZIONE DEL TEATRO GRANDE
La cavea fu ulteriormente ingrandita durante il periodo di Claudio e Nerone fece costruire i primi due ordini di una nuova della frons scaenae. La cavea viene completata con Traiano, la scena con Antonino Pio. Aveva una capienza di 24.000 spettatori.

La scena aveva, come in ogni teatro greco, un aspetto particolarmente complesso e strutturato, si che pur essendo crollata, è stato possibile ricostruirla in base ai numerosi elementi rinvenuti. E' celebre anche per l'episodio narrato negli Atti degli Apostoli in cui San Paolo venne duramente contestato dai venditori di statuine di Artemide al grido di "grande è la Diana degli Efesini".

Benché ampiamente trasformato dai Romani, conservò del più antico la forma della cavea, che supera il semicerchio. Fu invece soggetta a maggiori cambiamenti, la scena, dapprincipio con un proscenio basso, con tre porte, e pilastri con mezze colonne doriche tra queste, e da un muro di fondo più alto. Prevalse poi la visione romana ricevette con i tre ordini sovrapposti, i primi due del tempo di Nerone, il più alto a inizio III secolo.

IL TEATRO PICCOLO


L'Odeion o Teatro piccolo

Questo teatro minore era in grado di ospitare fino a circa 5.000 persone in piedi, 1450 seduti. Ha tre aperture che conducono al podio che è a un m di altezza. A differenza del teatro maggiore, questo non veniva usato per spettacoli, bensì per riunioni di stato. Fu costruito nel II sec. d.c per ordine del generale P. Vedio Antonio e di sua moglie Flavia Paiana, due ricchi cittadini di Efeso del tempo di Antonino Pio.



LE FONTANE

Fontana di Traiano

Si sono fatti scavi nelle terme di Scholastikia e nelle vie che le uniscono al Pritaneo, mettendo in luce un ninfeo nei pressi eretto in onore di Traiano e restaurato al tempo di Teodosio con facciata decorata. Il ninfeo comprendeva l'imponente statua dell'imperatore e la scritta che recita: "L'ho conquistato tutto, ora il mondo è ai miei piedi".

La fontana è stata rimessa insieme con molta buona volontà e perizia ma, mancando molti pezzi, la scala ne risulta rimpicciolita: un tempo infatti essa inquadrava la statua colosso dell'imperatore, di cui resta solamente un enorme piede marmoreo che poggia sul pianeta Terra o, perlomeno, su una sfera perfettamente tonda.


Fontana di Pollione

Ovvero un ninfeo dedicato in età augustea (con modifiche in età flavia) a Sestilio Pollione, costruttore dell'acquedotto proveniente dal fiume Marnas. Un'esedra decorata da statue si rivolge verso l'esterno, ma così alta da essere visibile anche dall'interno della piazza.

Le statue che decoravano l'esedra trattavano di Ulisse e Polifemo. Si suppone fossero state eseguite per il tempio di Dioniso, visto che Ulisse sconfigge il Ciclope col vino, progettato da Antonio ma poi interrotto.

La fontana era sovrastata da uno snello arco in marmo. Poco più avanti si scorge una lastra di marmo triangolare che era posta sul frontone della fontana. Si tratta di un'opera intatta del II secolo d.C. e i suoi splendidi bassorilievi riproducono una dea alata, la Nikè greca simbolo della Vittoria.



I PORTICI

Oltre a quelli delle due Agorà, altri portici, sul tipo delle stoài ellenistiche, furono costruiti in età romana in altre parti della città:
- uno a E dell'agorà;
- un altro, molto più ampio, quadrangolare (m 200 × 240) a N dell'Arcadiana, rivestito di marmi sotto Adriano dall'asiarca Claudio Verulano;
- un terzo avanti all'odèon, di età augustea, caratteristico per i capitelli delle sue colonne ornati di teste di tori.




LE STRADE

Le strade erano lunghe e diritte, fiancheggiate da portici, pavimentate a grandi lastre di calcare bianco.


VIA SACRA

La Via Sacra si trova immediatamente dopo li’ingresso inferiore e collega l’Anfiteatro con la Porta di Augusto. Gran parte della Via Sacra è affiancata dall’Agorà, che oggi si presenta come un grande spazio vuoto ma che nell’antichità ospitava il mercato ed era il centro commerciale della città. E’ sicuramente la parte meno spettacolare di Efeso. La pavimentazione è completamente in marmo.
La via Sacra terminava sull'Agorà con un embolos (cuneo) su cui si affacciavano a destra la Biblioteca di Celso e la monumentale Porta di Augusto, mentre a sinistra sfociava in via dei Cureti.


VIA DE CURETI

La via che collega l'agorà inferiore a quella superiore.


VIA DEL PORTO

Costruita dall'imperatore bizantino Arcadio, era la strada più elegante della città, con due file di colonne e lampade. Il sistema di fognature scorreva li fino al mare. C'è una colonna più alta di tutte le altre a simboleggiare dove un tempo iniziava il mare.


VIA MARMOREA

La via che partendo dal Teatro Grande scorre lungo tutta l'agorà inferiore.


VIA ARCADIANA (ARCADIANE')

Dal teatro, lungo il portico di Verulanus e le terme del porto, in direzione del porto partiva un'ampia strada porticata, la cui ultima sistemazione risale all'imperatore d'Oriente Arcadio. Era la via Arcadiana, che si snodava tra i maggiori edifici della città, fiancheggiata da un duplice porticato e chiusa ai due estremi da due porte.

Fu detta Arkadiané per i restauri del tempio di Arcadio, muoveva dal portico tramite una porta monumentale con colonne ioniche. Da essa ci s'immetteva nell'agorà commerciale, circondata nel III sec. da portici a due navate con botteghe e magazzini, dopo la quale, risalendo la seconda importante arteria, la via dei Cureti, che procedeva tra sepolcri, terme, templi, edifici pubblici e quar­tieri di abitazione. Da qui si poteva raggiungere l'agorà civile, dove era il teatro, un ginnasio-terme e il teatro ellenistico (ricostruito nel I-III sec. d.c.), per poi lasciare nuovamente il centro, uscendo dalla porta di Magnesia.


STOA' DI DAMIANO

Un'altra strada porticata, detta Dtoà di Damiano, dal sofista del II sec. d.c. che ne aveva curato la sistemazione secondo l'uso romano di spendere del proprio per migliorare o adornare la propria città. Questa congiungeva, fuori la porta di Magnesia, la città con il tempio di Artemide.

LA BIBLIOTECA DI CELSO


BIBLIOTECA DI CELSO

Simbolo di Efeso per eccellenza, la Biblioteca di Celso è uno dei monumenti più affascinanti del mondo ed è stata edificata dal figlio di Celso nel 114. situata presso l'agorà commerciale, vicina alla Porta di Mazeo e Mitridate. Dall’ingresso sud vi si accede passando per l’imponente Porta di Augusto che collega con l’Agorà.

Venne donata alla città dal console C. Giulio Aquila Polemeano, per onorare la memoria del padre, C. Giulio Celso Polemeano, senatore e magistrato del tempio di Traiano. L' edificio, come da epigrafi, fu completato nel 135 dagli eredi, come monumento sepolcrale. Poichè la sepoltura è entro le mura, sembra evidente che si intendesse conferire a Celso un culto di tipo eroico.

Esso sorgeva su una piccola piazzetta interna, comunicante con l'agorà a mezzo di una porta innalzata negli anni 4-3 a.c. da tali Mazeo e Mitridate in onore di Augusto, di Livia, di Agrippa e di Giulia.

SCULTURA DELLA BIBLIOTECA
La sua raffinatissima facciata è stata mirabilmente ricostruita da archeologi austriaci che ne recuperarono accuratamente e pazientemente ogni parte, statue comprese.
Era preceduta da una gradinata, aveva tre porte in basso e tre finestre al piano superiore: tra le porte erano nicchie precedute da coppie di colonne in avancorpo e contenenti statue allegoriche delle virtù del personaggio onorato; le finestre erano inquadrate da edicole sostenute pure esse da colonne.

Essa consta di due ordini, molto movimentata da sporgenze e rientranze, con nicchie, edicole, statue di divinità e personificazioni. Una movimentata decorazione architettonica dunque, caratteristica del periodo in cui fu ideata e costruita, il primo decennio del regno di Adriano, e resa ancor più preziosa dagli ornati delle lesene, delle cornici, della trabeazione.

Analoga la decorazione architettonica nell'interno: la vasta sala di lettura aveva alle pareti, su due ordini, ballatoi e scaffali per i "volumina". Infatti, con le sue circa 12.000 pergamene, i cui rotoli erano collocati nelle numerosi nicchie nelle pareti, era la terza biblioteca più grande del mondo, dopo quella di Alessandria d'Egitto e Pergamo.

Dinanzi alle pareti, nelle quali si aprivano le nicchie per gli armadi dei volumi, su tre ordini sovrapposti, correva un colonnato a due piani, che le nascondeva completamente: al di sopra del colonnato girava un ballatoio scoperto. Nel mezzo della parete di fondo si incurvava un'abside vuota, in corrispondenza della camera-cripta.
La sala era quadrangolare ed aperta verso est, con una parete doppia tutto intorno che isolava l'interno della sala proteggendola dall'umidità e che formava un corridoio. Da questo si accedeva da un lato al suddetto ballatoio scoperto, dall'altro alla camera sotterranea contenente la tomba a sarcofago di Celso Polemeano. Sulla parete di fondo, un'alta esedra ospitava la statua di Atena, sotto cui era stata posta la camera funeraria di Celso, col suo magnifico sarcofago a ghirlande.



I GINNASI

APOXYOMENOS
Ci sono diversi ginnasi-terme; l'edificio che presso i Greci era destinato particolarmente agli esercizi dell'ephebèia, accoglie ora, sotto l'influsso romano, gli ambienti per i bagni, e ne nasce un tipo che ha insieme del ginnasio e della terma.


Ginnasio di Vedio -

Risalente al II secolo d.c. e dotato di palestre, piste di atletica, piscine, terme e latrine. Fu fatto costruire da P. Vedius Antoninus ed è notevole soprattutto per le grandi dimensioni.


- Ginnasio dell'Est  

o ginnasio delle fanciulle (per via delle numerose statue di fanciulle che vi sono state ritrovate), risalente al II secolo d.c. Si tratta di un'importante istituzione scolastica corredata di bagni e luoghi per le attività sportive.


- Ginnasio del porto -

iniziato sotto Domiziano e completato, con una grande palestra scoperta, all'epoca di Adriano per impulso dell'asiarca (cioè del capo dei sacerdoti del culto imperiale in Asia) Claudius Verulanus.


- Ginnasio del Teatro -

 a N dell'Arcadiana, dal quale proviene una bella statua di Apoxyòmenos, (colui che si deterge con lo strigile), di Lisippo, ora a Vienna. 


IL TEMPIO DI ARTEMIDE


I TEMPLI


L'Artemisio o Tempio di Artemide 

Dalle rovine del tempio di Artemide ai piedi della collina di Ayasuluk (od. Selçuk), gli scavi hanno permesso di riconoscere le varie fasi di costruzione dell’Artemisio, che nel VI sec. a.c. era un grande tempio marmoreo, ionico, diptero (due file di colonne sui lati lunghi, ma con tre file di colonne sulla fronte).

Era lungo più di 400 piedi e largo 200, ( lungo 115 m e largo 55), di ordine ionico come tutti gli altri templi dell'Asia Minore. La sua costruzione sarebbe durata 120 anni, secondo alcuni storici 220.
Verso la metà del sec. VI a.c., il conquistatore Creso finanziò in larga parte la costruzione del primo grande Artemisio, costringendo gli Efesini al pagamento di un tributo.

Ma secondo la tradizione, una tradizione però molto supportata dagli antichi testi, l'Artemisio, o Tempio di Diana, fu costruito, in epoche molto remote, probabilmente in legno e argilla, dalle Amazzoni, grandi adoratrici di Diana, di cui imitavano l'uso dell'arco e la veste a seno scoperto.

Esso aveva otto colonne sul pronao, nove sull'opistodomo e ventuno sui fianchi.
Alcune delle colonne erano decorate a rilievo nella parte inferiore e di essere sostenute da dadi quadrangolari pure scolpiti: ne restano frammenti, ora nel British Museum, con figure gradienti di sacerdoti, sacerdotesse, offerenti.

Scavi condotti in campagne del 1904-1905 nel basamento del tempio, in uno strato precedente al 560 a.c., hanno portato alla luce il più importante documento monetario, un tesoro di monete globulari in elettro (lega di oro e argento, a basso contenuto d'oro), recanti striature o tipi su di una sola faccia, mentre sull'altra vi è un punzone (640-630 a.c.).

Considerato una delle sette meraviglie del mondo, nella versione storica, era stato progettato da Chesifrone di Cnosso, e la costruzione durò molti anni. Incendiato da Erostrato la notte stessa in cui nacque Alessandro Magno (21 luglio 356 a. c.), fu riedificato da Dinocrate.

Il tempio era di marmo bianco e rilucente d'oro, così alto che fu detto "alto come le nuvole", e vi posero la gigantesca statua di Artemide.

Era grande quattro volte il Partenone, ricco di sculture di Prassitele e di pitture di Parrasio e di Apelle. La statua della Dea era di legno d'ebano secondo Plinio o di cedro secondo Vitruvio.

Venne dunque distrutto da un incendio doloso nel 356 a.c. ad opera di Erostrato, un pastore che motivò il suo gesto deliberato con la sola intenzione di "passare alla storia". La leggenda afferma che Artemide stessa non abbia protetto il suo tempio in quanto troppo impegnata a sorvegliare la nascita di Alessandro Magno, che ebbe luogo nella stessa notte.

La storia appare poco credibile, perchè per incendiare un tempio di quella portata occorreva un nutrito gruppo di persone munite di molta legna e fascine, e per giunta senza alcuna sorveglianza del tempio, che sicuramente era custodito da sacerdotesse e custodi, considerato anche il valore delle offerte che sicuramente conteneva.

TEMPIO DI ARTEMIDE
Molto più probabile che sia avvenuto durante la III Guerra Sacra tra le varie città greche, ma che la data sia stata spostata per farla coincidere con la nascita di Alessandro Magno. Questi stesso contribuì alla riedificazione del tempio, che richiese, secondo le fonti 120 anni o addirittura 220.

Il nuovo edificio, di m 111 × 51, venne sopraelevato su un'alta piattaforma a livello notevolmente maggiore del precedente, pur mantenendo le identiche caratteristiche dell'altro, con le colonne con la parte inferiore scolpita: tali colonne in numero di sedici occupavano le due prime file della facciata, mentre venti dadi scolpiti sostenevano le colonne tra le ante e avanti ad esse. Tali elementi architettonici scolpiti, nel numero complessivo di trentasei, sono ricordati da Plinio.

Con Augusto Efeso conobbe molte opere pubbliche, Augusto fece infatti restaurare e abbellire l'Artemisio, nel cui recinto sorge uno dei primi centri di culto imperiale. Il grande tempio di Artemide fu ricostruito ma poi fu nuovamente distrutto dai Goti, nel 262 d.c. Ricostruito ancora una volta fu chiuso a seguito dell'editto di Teodosio che vietava i culti pagani.

Ma ciò non bastava perchè nel 401 venne infine distrutto dai cristiani guidati da Giovanni Crisostomo.

Sono ridotte a una singola colonna le testimonianze di quello che fu il più celebre monumento di Efeso.

Secondo Pausania il più grande edificio del mondo antico: il Tempio di Artemide, una delle Sette meraviglie del mondo, venne raso definitivamente al suolo nel 401 per ordine di Giovanni Crisostomo, arcivescovo di Costantinopoli, che ne fece abbattere pietra su pietra, affinchè nessuno potesse mai più osarne la ricostruzione. Infatti già all'epoca il potere religioso spadroneggiava su quello civile.

La scoperta dei resti del tempio avvenne nel 1860 per opera di John Turtle Wood in una spedizione finanziata dal British Museum.

Artemide a Diana furono odiatissime dai cristiani perchè i suoi seguaci opposero strenua opposizione alla conversione.


Tempio di Adriano

Tutta la via tra l'agorà e la porta di Magnesia è stata oggetto di scavi recenti che hanno messo in luce vari monumenti, e si è iniziata l'esplorazione dei quartieri di abitazioni sulle pendici del Panacir Daǧ; un tempio dedicato ad Adriano con pronao a due colonne fra due pilastri è riccamente decorato e sull'intercolunnio centrale la trabeazione si incurva ad arco.

TEMPIO DI ADRIANO
Fu dedicato nel 138 d.c. da Publio Quintilio all'imperatore Adriano, venuto a visitare la città di Atene nel 128 d.c. E' un piccolo tempio situato in Via dei Cureti La facciata del tempio ha 4 colonne corinzie che sostengono un arco al cui centro è scolpita in rilievo Tyche Dea della vittoria mentre le colonne laterali sono quadrate.


E' un tempio prostilo (colonne solo sulla facciata), con 4 basi che precedono la piccola cella, sostenenti due colonne e due pilastri in stile corinzio.

I piedistalli con le iscrizioni di fronte al tempio sono invece le basi delle statue degli Imperatori dal 293 al 305 d.c.: Diocleziano, Massimiano e Costantino 1, e Galerio. Però gli originali non sono stati trovati.

La trabeazione del tempio contiene un busto della dea Tyche. All'interno del tempio c'è una ricca decorazione e nella lunetta sopra la porta, una figura umana, probabilmente Medusa, è scolpita con ornamenti di foglie d'acanto.

Su entrambi i lati della porta vi sono scene raffigurante la fondazione di Efeso: Androclo che colpisce un orso, Dioniso in un corteo cerimoniale con le Amazzoni. La quarta scena ritrae due figure maschili, di cui una è Apollo; poi Athena Dea della luna; una figura femminile, Androclo (mitico fondatore di Efeso), Eracle, la moglie e il figlio di Teodosio e la Dea Athena.

In un altro blocco, probabilmente restaurato in epoca tarda, si raffigurano immagini di divinità e personaggi della famiglia imperiale dell'imperatore Teodosio I.Le figure che osserviamo sono copie mentre gli originali sono conservati nel Museo di Efeso.



Tempio di Traiano

edificato a opera di Adriano, il Traianeum, o tempio di Traiano divinizzato: per fargli posto vengono demolite alcune costruzioni di età ellenistica, ma l'impostazione architettonica d'insieme venne rispettata.


Tempio di Domiziano

Eretto dallo stesso Domiziano, un imponente ottastilo su alto podio, eretto a est dell'agorà, ma dedicato dopo la “damnatio memoriae” di quest’ultimo al padre Vespasiano divinizzato. Il tempio, con due stupende colonne erette e unite da un architrave che ne regge un altro paio simili a cariatidi. La vastità delle fondamenta di questo tempio ci dà la misura di quelle che dovevano essere le sue proporzioni.
Era posto sulle pendici del Bülbül Daǧ, ed era periptero octastilo con cella tetrastila e altare adorno di rilievi.


Tempio di Serapide

Viene riferito stupendo e vastissimo. Sul fianco sud il portico, a 35 m dal propileo dell'agorà, era interrotto con una scalinata che conduceva attraverso ad una porta a una grande piazza circondata da portici, sul cui lato sud sorgeva un grandioso tempio prostilo octastilo, largo m 29, con colonne alte m 15, monolitiche, che giacciono a terra in pezzi insieme a molti altri frammenti architettonici; la cella era coperta da una volta a botte. E' il tempio di Serapide, del Il sec. d.c., posto ad ovest dell'Agorà e chiuso entro un recinto.


Tempio di Hermes o Hermaion

Se ne hanno che scarsi avanzi. Era posto sullo sperone nord ovest del Coresso dedicato ad Hermes, donde il nome di Hermàion alla collina, e pure al tempio.


Santuario Rupestre della Magna Mater

Era posto ai piedi del Panacir Daǧ, caratterizzato da nicchie ricavate nel sasso, nelle quali è raffigurata la Dea insieme con Attis e con una divinità maschile barbata del tipo Zeus.

MONUMENTO DI MENNIO


MONUMENTO DI MENNIO

Per coloro che giungono dalla Via dei Cureti, prima dello slargo che precede l'ingresso nell'agorà civile, c'è una fontana e l'heroon dedicato a c. Memmius: personaggio di illustre famiglia, nipote di Silla e figlio di un altro C. Memmius che era stato propretore di Bitinia nel 57 a.c. e protettore di Catullo e Lucrezio.

Rivolgendosi a un artista greco, Avianus Evander, Memmius padre fece erigere questo monumento al figlio morto prematuramente fra 49 e 46 a.c.. Trattasi di un'alta struttura a pianta quadrata, decorata nella parte alta da rilievi raffiguranti divinità e personificazioni e  personaggi del ciclo troiano visti come mitici progenitori, nonchè le immagini del padre e del nonno del defunto. Della struttura originale resta ben poco, aveva 4 facciate e nel IV sec. d.c. vi fu aggiunta una fontana di piazza.



LO STADIO

Risalente al I o inizio II sec. d.c. e depredato delle sue pietre dai bizantini per costruire il castello sulla collina di Ayasuluk a Selçuk.  Appoggiato con uno dei lati lunghi ad una collina, risale certamente nel suo primo impianto all'età ellenistica, ma ebbe restauri sotto Nerone e in periodo bizantino, anche per ospitare, oltre alle corse dei carri, spettacoli gladiatori e spettacoli venatori.



IL PRITANEO

L'edificio pubblico dove in origine era ospitato il primo magistrato e dove era custodito il focolare sacro della città e potevano esservi accolti ospiti di particolare riguardo o cittadini benemeriti. Il prytaneion era la sede del senato cittadino, ed Hestia Boulaia (corrispondente a Vesta) era la divinità protettrice della boulè, cioè del senato.
Qui si svolgeano, oltre alle riunioni del senato, anche cerimonie, udienze, banchetti. Subito dopo era una piccola cavea teatrale interpretabile come odeion. Questi monumenti furono spogliati nel III secolo da una ricca dama cristiana (nota da epigrafi), Scolastica (Scholastikia), che usò i materiali per la costruzione di un impianto termale sulla Via dei Cureti.



L'ARA

Un monumento celebrativo della dinastia degli Antonini e che era (così come è stato ricostruito nel Kunsthistorisches Museum di Vienna) a forma di ferro di cavallo, sulla base del modello del Grande Altare di Pergamo. Noto come l’ara di Efeso, il suo ciclo figurativo, che commemora le vittorie di Marco Aurelio e Lucio Vero sui Prati, è prova dell'altissimo livello raggiunto dagli scultori efesini.
Nei pannelli dell’ara si fondono l’eleganza classica greca e il realismo preciso e vibrante del rilievo storico romano.

La raffigurazione verte su l'adozione di Antonino Pio da parte di Adriano alla presenza di Marco Aurelio giovinetto e di Lucio Vero fanciullo. Nella parte restante il fregio evoca le spedizioni partiche di Lucio Vero, con la raffigurazione, soprattutto, di una grande carica di cavalleria. Vi sono istoriate pure le personificazioni delle città sottomesse, e l'apoteosi dell'imperatore sul carro di Helios e dell'imperatrice, assimilata alla Dea, sul carro di Selene.


LATRINA DEGLI UOMINI

LE LATRINE
Struttura rettangolare con sedili in marmo scolpiti per far sedere comodamente gli ospiti.



L'ACQUEDOTTO

Si sa che venne fatto restaurare da Augusto.

Nella parte settentrionale del sito si intravedono sul suolo (alcune interrate, altre in superficie e altre ancora rotte) i resti dell'acquedotto costruito in terracotta che serviva l'intera città.

Nei pressi dell'agorà superiore, a meno che siano state rimosse o riutilizzate, si può vedere un enorme ammasso di elementi che un tempo facevano parte del complesso sistema.



L'ASCLEPION

L'ospedale cittadino. Il serpente, simbolo dei dottori, è scolpito sulla pietra.



IL BOULEUTERION

Il bouleuterion era un edificio che ospitava il consiglio (boulè) della polis greca. Veniva in genere annesso alla principale piazza cittadina, l'agorà. L'edificio era generalmente a pianta quadrata e al suo interno conteneva sedili su più file, interrotti da sostegni per il tetto.

I gradini dei sedili potevano essere allineati alle pareti, o disposti su tre lati a π oppure quello di Atene (fine V sec. a.c.) a ferro di cavallo.



IL PORTO

Augusto realizzò un nuovo e magnifico ingresso al porto settentrionale e vi inserì un monumento votivo marmoreo in forma di grande tripode, di cui si vedono ancora i resti della base. Il monumento fu eretto in onore di Apollo Aziaco, in quanto, secondo Augusto il Dio gli aveva consentito di vincere nella battaglia di Azio. Accanto a questo, venne inserito anche un monumento votivo minore.



IL POSTRIBOLO

Il postribolo era largamente usato ad efeso, soprattutto dagli stranieri, e siccome il santuario di Artemide era famosissimo, tutti vi si recavano in pellegrinaggio, chiedendo guarigioni e grazie varie.

Non essendo moralisti, i Greci non trovavano discordante il tempio con il postribolo, per cui accanto al santuario fiorirono i negozi di souvenir, un po' come chi va a San Pietro, trovando nei dintorni molti negozi di articoli sacri ed immagini varie della Dea miracolosa, misti a prodotti più frivoli.
Essendo molti i visitatori del monumento sacro molti erano anche gli avventori del postribolo, ma c'era la legge che proibiva ai troppo giovani di usufruire di quel servizio.

Però all'epoca non c'era la carta di identità, per cui la cosa era stata risolta attraverso questo piede modello scolpito nel marmo.

Si faceva poggiare al giovine il piede sull'impronta, se il piede era più piccolo dell'impronta questi non veniva ammesso ai piaceri della carne.
Semplice e ingegnoso.

Nel postribolo c'è un affresco rappresentante una dama discinta e ammiccante, una statuetta di Priapo nel pieno delle sue esuberanze ripescata nel pozzo della magione.



LA BASILICA

E' la basilica di Maria Madre di Dio detta anche basilica del Concilio di Efeso, proprio perchè qui avvenne il famoso concilio del 431 d.c. dove si affermò il ruolo e l'importanza della Vergine Maria, come Madre di Dio.

Secondo alcune fonti, l'apostolo Giovanni soggiornò ad Efeso; secondo altre fonti con lui avrebbe dovuto esserci anche Maria; tale ipotesi, non accertata, è negata da altri. Comunque sul sito a Efeso, considerato sede del sepolcro di Giovanni, fu costruita una basilica nel VI secolo, sotto l'imperatore Giustiniano, della quale oggi rimangono solo tracce. 

Ad alcuni km a sud di Efeso si trova una piccola cappella conosciuta come casa della Madre Maria. Preceduta da un vestibolo risalente all'VII sec., la piccola costruzione risale al secolo IV. Sono state trovate tracce di fondamenta risalenti probabilmente al I sec. d.c..

LA BASILICA

Il Concilio di Efeso

"Venne convocato a causa di Nestorio, che rifiutava a Maria... l’appellativo di Theotokos, Madre di Dio". Nella lettera ufficiale inviata dal Concilio alla città di Costantinopoli, dove Nestorio era vescovo, manca il verbo riferibile a Giovanni e a Maria.

Vi si legge infatti: “Nestorio, il rinnovatore dell’eresia empia [l’arianesimo], dopo essere giunto nella terra degli Efesini, là dove il teologo Giovanni e la Theotokos Vergine, la Santa Maria..., dopo una terza convocazione..., è stato condannato”.

Per molto tempo ci si è arrovellati sul significato di questa proposizione subordinata senza verbo. Ma pensiamo di aver mostrato che il verbo è sottinteso, ed è lo stesso che i vescovi del Concilio avevano riferito a Nestorio.

La frase va dunque così intesa: “Nestorio, il rinnovatore dell’eresia empia, dopo essere giunto nella terra degli Efesini, là dove erano giunti il teologo Giovanni e la Theotokos Vergine, la Santa Maria..., dopo una terza convocazione..., è stato condannato”.

La Basilica, situata nella parte settentrionale della città, fra il porto e la collina del tempio arcaico, sorse su un edificio antoniniano, di forma rettangolare allungata (m 265 × 30), orientato est ovest, diviso internamente da due file di colonne e terminato alle estremità da due sale absidate coperte a cupola: lo si è chiamato mousèion, ma a quale uso esso fosse destinato, se a mercato o a sede di scuole, è incerto. Distrutto verosimilmente dai Goti nel 263, fu parzialmente adattato al culto cristiano in epoca costantiniana o subito dopo.

INGRESSO ALLA BASILICA DI S. GIOVANNI


I MAUSOLEI

I sepolcri erano di varia forma: entro grotte naturali, a sarcofago, a mausoleo. Il cimitero in generale si sviluppò sopra e intorno ad una specie di catacomba di dieci stanze allineate sui fianchi di un corridoio senza traccia di sepolture. Probabilmente i cadaveri erano esposti imbalsamati. Quando più tardi sepolcri in muratura furono costruiti sopra il piano e contro le pareti delle stanze, una di esse, ornata di pitture, rimase come cappella.


L'OTTAGONO

Tra i monumenti che che si affacciavano sull'embolos che immetteva nell'Agorà c'erano due particolari edifici di particolare interesse: uno a pianta ottagonale, l’altro esagonale, ambedue monumenti funerari.

Il primo costituisce l'esempio orientale dei monumenti funerari a edicola che si attesteranno anche in Italia nella tarda repubblica e nella prima età imperiale. E' detto l’Ottagono, perchè su uno zoccolo si elevava un corpo centrale costituito da un porticato con otto colonne corinzie disposte attorno a un nucleo centrale pure ottagonale, sormontato, come elemento terminale da una cuspide piramidale.

Il monumento funerario, non a caso eretto accanto all'heroon dell’ecista (ecista = condottiero scelto da un gruppo di cittadini per guidarli alla colonizzazione di una terra), ha una datazione che va dal 50 al 20 circa a.c.


MAUSOLEO DI ABRADAS

Intorno alla metà del sec. V si formò in superficie il primo nucleo del cimitero, un edificio parte costruito e parte scavato nella roccia.
Esso comprendeva una sala quadrangolare al centro, e due ambienti più piccoli ai lati, uno dei quali destinato al culto; un altro ambiente verso occidente faceva da atrio. Il resto erano tombe: a cassa, a nicchia, in costruzione, o sotto il pavimento o entro le pareti. Il cimitero si estese poi sulle terrazze adiacenti; celebre il Mausoleo di Abradas, dal nome di questo personaggio inciso su un architrave, parte in muratura e parte scavato nella roccia.


MAUSOLEO DI BELEVI

Notevole il mausoleo del villaggio di Belevi (a nord est di Selçuk), ad alcuni km dalla città, che ripeteva molto da vicino il mausoleo di Alicarnasso. Uno zoccolo in grossi conci, che rivestiva un nucleo interno tagliato nella roccia, era coronato da un fregio dorico e sosteneva una cella contornata da un portico di otto colonne corinzie per lato.
Sopra la cornice del portico nel lato di fronte una serie di leoni affrontati posti ai lati di vasi; agli angoli, come acroteri, erano coppie di cavalli. Rilievi con scene di centauromachia e di giochi agonistici ornavano i lacunari del portico; manca totalmente la volta.

La camera sepolcrale, ricavata nella roccia, era preceduta da un vestibolo con una decorazione  a colonne e architravi ad aggetto o rientranti, con la rappresentazione, in pittura o a rilievo, della caduta di Fetonte, come dall'iscrizione di un frammento con la menzione delle Eliadi. Il sarcofago è del tipo a klìne, con un fregio di sirene e le figure dei defunti recumbenti.

L'edificio e il sarcofago non furono mai finiti. Poiché la data del monumento sembra del IV sec. a.c., si pensa abbia potuto appartenere a Mentore di Rodi, comandante dei mercenari greci di Artaserse III, e fratello di Memnone, lo sconfitto di Alessandro alla battaglia del Granico. Oppure Antioco II di Siria, morto ad Efeso nel 246 a.c.











MARCO CLAUDIO MARCELLO ( 222 - 208 a.c.)

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MARCELLO GIOVANE

Nome: Marcus Claudius Marcellus
Nascita: 268 a.c.
Morte: 208 a.c., Venosa
Professione: Politico e Generale


Marco Claudio Marcello, ovvero Marcus Claudius Marcellus, nacque dal ramo dei gloriosi Marcelli della famosa gens claudia. Quest'ultima ebbe rami sia patrizi che plebei, ma per quel che riguarda Marco e la sua familia di sicuro doveva essere patrizia per le ambiziose carriere svolte.

Fu un grande generale romano che combattè durante la II Guerra Punica e che conquistò Siracusa. La sua vita e i suoi trionfi furono narrati con piena ammirazione da Tito Livio, che lo definì "la spada di Roma", e non esagerò.

Marco Claudio Marcello. ovvero Marcus Claudius Marcellus; (268 circa – Venosa, 208 a.c.) è stato un politico ma soprattutto un grande generale romano, console per ben cinque volte, vincitore dei Galli insubri, combattè durante la II guerra punica e sopravvisse alla disfatta di Canne. Fu il conquistatore di Siracusa e della Sicilia. Venne eletto console negli anni 222 a.c, 215 a.c., 214 a.c., 210 a.c. e 208 a.c.

Fu nipote di Marco Claudio Marcello, console nel 292 a.c., e pronipote di Marco Claudio Marcello, console nel 331 a.c., nonchè padre di Marco Claudio Marcello, console nel 196 a.c. e nonno di Marco Claudio Marcello, console nel 166 a.c. La familia di Marco fu dunque prestigiosa per valore e gloria e conseguentemente di ceto senatoriale e consolare. Di lui esiste un ritratto reale, impresso su una moneta coniata da un suo discendente nel 42 a.c., ma pure un suo ritratto da giovane pontefice.

Nelle "Vite Parallele", anche Plutarco descrive Marcello come "uomo esperto nelle cose di guerra, esperto nelle armi, forte nella persona, pronto di mano, e per natura, amico della guerra. Nel combattere corpo a corpo, fu in certo modo, superiore a sé stesso, perché non rifiutò mai disfide e sempre quanti lo provocavano, uccise. Soleva dire Annibale che Fabio Massimo temeva come di maestro, e Marcello, come avversario, perché dall'uno gli si era impedito di far male ad altri, e dall'altro era danneggiato pur egli."



GUERRA CONTRO GLI INSUBRI

Marco era il nipote dell'omonimo e glorioso Console del 287 a.c., e fu molto apprezzato per il suo coraggio e la sua abilità, tanto che fu nominato Edile Curule, Pretore ed infine Console per la prima volta nel 222, tutto nello stesso anno.

Condusse con il suo collega Gneo Cornelio Scipione Calvo, zio dell'Africano, la guerra contro gli Insubri e i Gesati, guidati da Virdumaro, che fu ucciso dallo stesso Marcello mentre combattevano per la conquista di Clastidium (Casteggio).

Il suo collega Gneo Cornelio Scipione Calvo combatté nella II guerra punica in Iberia (Spagna) dal 217 al 211, e venne ucciso nella battaglia della Betica Superiore nel 211 a.c. poco dopo la morte di suo fratello minore. Triste destino per i due fratelli: entrambi comandanti capaci, entrambi eletti consoli ed entrambi uccisi in Spagna dopo che i loro eserciti si erano separati.

Comunque Marco li vendicò e vendicò pure Gaio Flaminio Nepote che era stato sconfitto dagli Insubri che uscivano da Acerra attaccando e ritirandosi (226 circa). Per quanto Gaio Flamnio li avesse poi sconfitti in battaglia, il nome di Roma era stato oltraggiato. Nessun popolo poteva vantarsi impunemente di aver inflitto a Roma una sconfitta. Poteva essere un precedente pericoloso per altri tentativi del genere.

Già tre anni prima Marco Claudio Marcello aveva combattuto gli Insubri, che avevano condotto una pericolosissima offensiva contro gli stessi Romani, fermata a Talamone con una delle battaglie che, per le forze in campo, fu considerata tra le maggiori dell'antichità. I Romani, respinte le proposte di pace degli Insubri, assediavano Acerrae, località tra il Po e le Alpi presso Pizzighettone, tra Cremona e Lodi.

Così Marco assediò il fortino insubre di Acerrae (presso Pizzighettone) per stanare gli insubri dalle loro fortezze e altrettanto fece a  Clastidium (Casteggio) dove addirittura trionfò ottenendo le spoliae opimae: il massimo onore per un generale romano, conseguito per la terza ed ultima volta nella storia romana con l'uccisione durante un corpo a corpo con Viridomaro (o Virdumaro).

I Romani riconobbero solo tre casi in cui vennero elargite le spolia opima. In realtà furono due, perchè nel primo caso Romolo se le elargì da solo, quando vinse Acrone, re dei Ceninensi.

All'epoca ancora usava che i combattimenti si risolvessero talvolta con la sfida tra i capi o tra i campioni, come ad esempio tra Orazi e Curiazi. Per cui un capo doveva essere forte, bravo nelle armi e disposto a morire. Con l'allargamento dell'esercito poi i Romani privilegiarono i comandanti che sapessero fare strategie militari.



LA SPOLIA OPIMA

Plutarco:
« Romolo tagliò all'interno dell'accampamento romano una quercia molto grande, dandole la forma di un trofeo e vi appese le armi di Acrone... egli personalmente, indossata una veste, mise sulla testa dai lunghi capelli, una corona di alloro. Sollevando il trofeo, che teneva appoggiato sulla spalla destra, camminò intonando i canti della vittoria, seguito dall'esercito e accolto dai cittadini con gioia e stupore. Questa processione costituì un modello a cui ispirarsi per quelle future da celebrare. Il trofeo fu dedicato a Giove Feretrio. »
(Plutarco, Vita di Romolo.)

CONIO CELEBRATIVO PER MARCELLO, IN RICORDO
DELLA CONQUISTA DELLA SICILIA
Il secondo fu Aulo Cornelio Cosso (Console nel 428 a.c.) che nella battaglia di Fidene uccise il re di Veio Tolumnio, re di Veio nel 437 a.c, e il terzo fu Marco Claudio Marcello che uccise Viridomaro, re degli Insubri della Gallia cisalpina. E sembra che Cosso e Marcello abbiano sfilato su una quadriga, trasportando personalmente i trofei.

Così Marco Claudio Marcello sconfisse gli Insubri e i loro alleati Comensi, uccidendo ben 40.000 nemici. Sono 28 i centri limitrofi (castella), dipendenti dalla città fortificata di Como (Comun Oppidum), che si arresero ai Romani.

Con un successivo scontro con Insubri e Boi (191) si chiuse per lungo tempo la lotta tra Romani e Galli.
La guerra finì poco dopo con la vittoria dei Romani e l'occupazione da parte dei due Consoli di Mediolanum (Milano).

L'onore del trionfo di Marco viene così ricordato nei Fasti triumphales capitolini:

M. CLAUDIUS M. F. M. N. MARCELLUS AN. DXXXI
COS. DE GALLEIS INSUBRIBUS ET GERMAN
K. MART. ISQUE SPOLIA OPIMA RETTULIT
REGE HOSTIUM VIRDUMARO AD CLASTIDIUM
INTERFECTO



BATTAGLIA DI TALAMONE

Per l'occasione venne formata la più grande coalizione celtica mai realizzata contro i romani; gli emiliani Boi, i lombardi Insubri ed i piemontesi Taurini oltre a molti mercenari, chiamati Gesati, che combattevano completamente nudi con il solo torque al collo..

Il confine settentrionale dell'impero romano non era affatto sicuro. I Galli Boi favevano scorrerie sul territorio romano. I Romani, per contro, avevano sconfitto i Liguri nel 233 a.c. Inoltre il Senato, approvando una legge voluta dal tribuno Gaio Flaminio Nepote, stabiliva di dividere i territori sottratti ai Galli tra la plebe. Per i Galli fu una provocazione; e radunarono un'armata composta dalle varie popolazioni ostili a Roma.

Polibio narra che nella battaglia si riunirono 50.000 fanti e 25.000 cavalieri. L'esercito alleato era comunque inferiore di numero a quello romano. L'alleanza ebbe anche l'appoggio dei Liguri; gli Etruschi consentirono l'avanzata verso sud dei celti in armi, e i Gesati si ricongiungono con le truppe dei celti cisalpini sul Po. I comandanti dell'esercito celtico, i re Concolitano ed Aneroesto, diedero l'ordine di marciare verso Roma passando per il territorio etrusco.

I Romani disponevano di quattro legioni di Gaio Atilio Regolo e Lucio Emilio Papo e di due corpi d'armata alleati: uno sabino-etrusco e l'altro veneto-cenomane.
L'esercito celtico si diresse verso l'Argentario, forse in vista di uno sbarco di Cartaginesi alleati; ma vennero attaccati prima dalle legioni romane presso Talamone.


Polibio - Storie:

« I Celti si erano preparati proteggendo le retroguardie, da cui si aspettavano un attacco di Emilio, provenendo i Gesati dalle Alpi e dietro di loro gli Insubri; di fronte a loro in direzione opposta, pronti a respingere l'attacco delle legioni di Gaio, misero i Taurisci ed i Boi sulla riva destra del Po. 

I loro carri stazionavano all'estremità di una delle ali, mentre adunarono il bottino su una delle colline circostanti con soldati a protezione. 
Gli Insubri ed i Boi indossavano pantaloni e lucenti mantelli, mentre i Gesati avevano evitato gli indumenti per orgoglio, tanto da rimanere nudi, con indosso solo le armi, pensando che il terreno era coperto di rovi dove potevano impigliarsi i vestiti e impedire l'uso delle armi. 
Dapprima la battaglia fu limitata alla sola zona collinare, dove tutti gli eserciti si erano rivolti. Tanto grande era il numero di cavalieri da ogni parte che la lotta risultò confusa. In questa azione il console Caio cadde, combattendo con estremo coraggio, e la sua testa fu portata al capo dei Celti, ma la cavalleria romana, dopo una lotta senza sosta, alla fine prevalse sul nemico e riuscì a occupare la collina.

La battaglia si sviluppò tra tre eserciti. I Celti, con il nemico che avanzava su di loro da entrambi i lati, erano in posizione pericolosa ma avevano anche uno schieramento più efficace, in quanto combattevano contro i loro nemici, e proteggevano entrambi le retrovie; vero che non avevano alcuna possibilità di ritirata o fuga in caso di sconfitta, a causa della formazione su due fronti.

I Romani erano stati da un lato incoraggiati, avendo stretto il nemico tra i due eserciti, ma dall'altra erano terrorizzati per la fine del loro comandante, oltreché dal terribile frastuono dei Celti, che avevano numerosi suonatori di corno e trombettieri, e tutto l'esercito alzava il grido di guerra. Molto terrificanti erano anche l'aspetto e i gesti dei guerrieri celti, nudi davanti ai Romani, tutti di grande vigore fisico coi loro capi riccamente ornati con torques e bracciali d'oro. 
Al tempo stesso la prospettiva di ottenere questi oggetti come bottino, rese i romani due volte più forti nella lotta. Quando gli hastati avanzarono, dai ranghi delle legioni romane cominciarono a lanciare i giavellotti, i Celti delle retroguardie risultavano ben protetti dai loro pantaloni e mantelli, ma le prime file, dove erano i guerrieri nudi si trovavano in situazione difficile.
E poiché gli scudi dei Galli non proteggevano l'intero corpo, ciò si trasformò in uno svantaggio, e più erano grossi e più rischiavano di essere colpiti. Alla fine, incapaci di evitare la pioggia di giavellotti a causa della distanza ravvicinata, alcuni di loro, nella rabbia impotente, si lanciarono selvaggiamente sul nemico, sacrificando le loro vite, mentre altri, ritirandosi verso le file dei loro compagni, provocarono un grande disordine per la loro codardia. 


Allora furonoi Gesati ad avanzare verso gli hastati romani, ma il corpo principale degli Insubri, Boi e Taurisci, una volta che gli hastati si erano ritirati nei ranghi (dietro i principes), furono attaccati dai manipoli romani, in un terribile "corpo a corpo". Infatti, pur essendo stati fatti quasi a pezzi, riuscivano a mantenere la posizione contro il nemico, grazie ad una forza pari al loro coraggio, inferiore solo nel combattimento individuale per le loro armi. Gli scudi romani erano molto più utili per la difesa e le loro spade per l'attacco, mentre la spada gallica va bene solo di taglio, non di punta. Alla fine, attaccati da una vicina collina sul loro fianco dalla cavalleria romana, guidata alla carica in modo vigoroso, la fanteria celtica fu fatta a pezzi, mentre la cavalleria fu messa in fuga.»

I FASTI CAPITOLINI (frammento)
Circa 40.000 Celti furono uccisi ed almeno 10.000 fatti prigionieri, tra i quali il loro re Concolitano. L'altro re, Aneroesto, riuscì a fuggire e si suicidò con i suoi compagni.  Anche il console Gaio Atilio Regolo fu ucciso.
Il console Emilio Papo, raccolto il bottino, lo inviò a Roma, restituendo il bottino dei Galli ai legittimi proprietari. Con le sue legioni, attraversata la Liguria, invase il territorio dei Boi, e dopo aver permesso il loro saccheggio ai suoi uomini, tornò a Roma. Inviò, quale trofeo sul Campidoglio, le collane d'oro dei Galli, mentre il resto del bottino e dei prigionieri fu usato per il suo ingresso in Roma e ad ornare il suo trionfo.

Così furono distrutti i Celti, che con la loro invasione avevano minacciato i popoli italici ed i Romani. Questo successo incoraggiò i Romani, tanto da credere possibile espellere completamente i Celti dalla pianura del Po. 
Entrambi i consoli dell'anno successivo, Quinto Fulvio e Tito Manlio, furono quindi inviati contro di loro con una grossa forza di spedizione, costringendo i Boi a chiedere la pace a Roma, sebbene il resto della campagna non ebbe ulteriori successi, a causa delle piogge incessanti e di una violenta epidemia.

Per soccorrere Acerrae circondata dai Romani, gli Insubri, rafforzati da circa trentamila mercenari della valle del Rodano, i gesati, tentarono una diversione su Clastidium, importante località dei liguri che,  per timore degli Insubri, già l'anno prima avevano accettato l'alleanza con Roma.



BATTAGLIA DI CLASTIDIUM

Saputa la notizia i Romani, non abbandonando gli Insubri e l'assedio di Acerrae, inviarono la cavalleria con parte dei fanti a soccorrere gli alleati. 

Gli Insubri, lasciata Clastidium, avanzarono contro il nemico, ma furono attaccati violentemente dalla cavalleria romana. 
Dopo una certa resistenza, attaccati anche alle spalle e alle ali dai Romani, dovettero ritirarsi disordinatamente, e furono spinti verso un fiume, dove in gran numero trovarono la morte. 

Gli altri furono invece uccisi dai Romani. Lo stesso console Marcello, riconosciuto il re nemico Virdumaro dalle ricche vesti, lo attaccò uccidendolo di persona.
Allora i Romani raggiunsero Mediolanum (Milano), capitale nemica, e la conquistarono dopo breve assedio. 

Così Marcello, che consacrò le spolia opima (ricche vesti) di Virdumaro a Giove Feretrio, divenne protagonista di una delle più antiche opere della letteratura latina, la fabula praetexta di Nevio, intitolata appunto Clastidium.

L'avvenimento fu registrato nei Fasti Capitolini e raccontato da Tito Livio e Plutarco.

« M. CLAUDIUS M. F. M. N. MARCELLUS AN. DXXXI
COS. DE GALLEIS INSUBRIBUS ET GERMAN
K. MART. ISQUE SPOLIA OPIMA RETTULIT
REGE HOSTIUM VIRDUMARO AD CLASTIDIUM
INTERFECTO »
(Inscriptiones Italiae, XIII, I, Ib)

Marcello ebbe l'onore del trionfo, ricordato nei Fasti triumphales capitolini con le seguenti parole:
"Insieme al collega Scipione Calvo prese infine Milano, capitale insubre, ponendo fine alla guerra".

La Battaglia di Clastidium  ebbe luogo nel 222 a.c., probabilmente il 1º marzo, e venne descritta nei particolari da Polibio e, in modo un po' più romanzato, da Plutarco (Marcellus), ma venne ricordata pure da Cicerone (Tusculanae), Tito Livio, Valerio Massimo (Memorabilia), e vi allusero gli epitomatori (autori di compendi) Floro ed Eutropio.

Anche Virgilio nell'Eneide ricorda l'impresa di Marcello:
« Aspice, ut insignis spoliis Marcellus opimis
ingreditur uictorque uiros supereminet omnis.
Hic rem Romanam magno turbante tumultu
sistet eques, sternet Poenos Gallumque rebellem,
tertiaque arma patri suspendet capta Quirino.
» 

"Osserva come Marcello, insigne per le spoglie opime, 
avanza e da vincitore supera tutti gli eroi. 
Costui, da cavaliere, per primo sistemerà lo stato romano, 
sconvolto da un grande tumulto, 
per secondo vincerà i Puni ed il Gallo ribelle, 
e per terzo appenderà al padre Quirino le armi catturate."

SPOLIA OPIMA DI MARCO


IN SICILIA

Durante la I guerra punica Marco si era battuto contro il generale cartaginese Amilcare Barca (270 – 226 a.c.in Sicilia. Nel 216 a.c., durante la II guerra punica, dopo la disastrosa sconfitta a Canne, prese il comando di ciò che rimaneva dell'esercito romano a Canusium (Canosa). Non salvò Capua, ma protesse Nola e la Campania meridionale.

Nel 215 fu nominato console suffectus. Nel 214 andò in Sicilia come console, mentre l'altro console era Quinto Fabio Massimo Verrucoso, detto il Temporeggiatore, durante la sommossa dei Siracusani. Attaccò Leontini ed assediò Siracusa, ma l'abilità del matematico Archimede respinse tutti i suoi attacchi contro la città.

Dopo un assedio di due anni l'esercito romano riuscì a conquistare la città nel 212 a.c. nonostante l'arrivo di rinforzi cartaginesi. Plutarco ci descrive Marcello come un amante della lingua e della cultura greca e riferisce il suo dispiacere nel lasciare che i propri soldati saccheggiassero Siracusa.

Marcello, da uomo generoso qual'era, risparmiò le vite di gran parte degli abitanti ordinando ai suoi soldati di non ucciderli. Nonostante ciò, Archimede morì per errore.  Marcello condusse i tesori d'arte a Roma, ottenendo un'ovazione.



ARCHIMEDE

Plutarco narra che dopo l'uccisione del grande matematico siracusano, Marcello  "distolse lo sguardo dall'uccisore di Archimede come da un sacrilego", in seguito il soldato venne ucciso per squartamento.

Marcello portò i tesori d'arte a Roma, ma nulla tenne per sè consegnando le spoglie nei templi di Honor e Virtus.Tra questi tesori vi era anche il famoso planetario di Archimede di cui si persero poi le tracce.

Un ingranaggio probabilmente appartenuto al planetario di Archimede è stato rinvenuto nel luglio del 2006 a Olbia. Secondo una ricostruzione il planetario, che sarebbe stato tramandato ai discendenti del conquistatore di Marcello, potrebbe essere andato perso nel sottosuolo cittadino di Olbia (probabile scalo del viaggio) prima del naufragio della nave che trasportava Marco Claudio Marcello (console 166 a.c.) in Numidia.



LA II GUERRA PUNICA

ANNIBALE CHE RITROVA IL CORPO ESANIME DI MARCELLO
le battaglie:
(219 a.c.) Sagunto
(218) Cissa – Ticino – Trebbia
(217) Ebro - Lago Trasimeno
(216) Canne – Selva Litana - I Nola
(215) II Nola
(214) III Nola
(212) I Capua – Silaro – I Herdonia – Siracusa
(211) Baetis superiore – II Capua
(210) II Herdonia – Numistro
(209 a.C.) Ascoli – Cartagena
(208 a.C.) Baecula
(207.) Grumento – Metauro
(206) Ilipa
(204.) Crotone
(203) Campi Magni
(202 a.c.) Zama

Claudio Marcello dedicò due templi alle divinità di Honos (Onore) e di Virtus (Virtù militare), poi fu nominato nuovamente Console nel 210, stavolta insieme a Marco Valerio Levino, e conquistò Salapia in Apulia, che si era rivoltata a favore di Annibale. Catturò la città con l'aiuto della fazione romana là presente e annientò la guarnigione numida.

Di nuovo console nel 210, Claudio Marcello riprese Salapia in Apulia, che si era rivoltata a favore di Annibale.
Proconsole nel 209, attaccò Annibale nelle campagne di Strapellum (Rapolla) vicino a Venusia e a quanto narra Plutarco, dopo la sconfitta subita, Marcello arringò i soldati, spronandoli a combattere, insegnando ai soldati a vergognarsi se si salvavano a prezzo della sconfitta.
Comunque dopo una battaglia disperata si ritirò nella città. Fu per questo accusato di comando carente e dovette lasciare l'esercito per difendersi dall'accusa a Roma. Ma evidentemente si difese benissimo, perchè Marco fu sempre un romano coraggiosissimo e un saggio generale. Infatti non solo fu assolto ma in riconoscimento del suo valore gli venne conferito il consolato per l'anno successivo.

 A quanto narra Plutarco, dopo la sconfitta subita, Marcello arringò i soldati, spronandoli a combattere, insegnando ai soldati a vergognarsi se si salvavano a prezzo della sconfitta. Fu comunque accusato di comando carente dai soliti invidiosi che speravano il comando al suo posto, e dovette lasciare l'esercito per difendersi a Roma. Fu scagionato e riconosciuto nella sua abilità e bravura tanto è vero che riottenne il consolato nel 208 a.c.



LA MORTE

Nel suo ultimo consolato (208), mentre Marco era in ricognizione con il suo collega Tito Quinzio Crispino e alcuni cavalieri per ispezionare una collina posta tra i due accampamenti, che pensava di occupare, nei pressi di Venusia, furono entrambi attaccati di sorpresa dai nemici e Marcello rimase ucciso colpito da una lancia.

Alcune fonti ritengono che Marcello morì a Petelia, la città lucana, i cui resti si trovano su un ampio terrazzo a Strongoli. Si ritiene che la sua tomba sia nei pressi di Strongoli in località Battaglia, dove sono stati ritrovati in una tomba resti di uno scheletro con l’elsa di una spada, un anello e due vasi crematoi. Molte altre fonti invece fanno morire Marcello a Venosa, in provincia di Potenza, dove si trova un antico tumulo romano, chiamato appunto, "Tomba di Marcello".

Nel Seminario Vescovile di Nola, si conserva ancora una lapide di gratitudine che il Senato Nolano fece scolpire in onore di Marcello, il vincitore di Annibale. In essa è scritto: "M.CL. MARCELLO ROMANORUM ENSI - FUGATO HANNIBALE DIREPSIT SYRACUSIS/V CONS./S P Q NOLANUS".

Annibale, che era un uomo d'onore e rispettava i grandi combattenti, fece cremare il suo corpo all'uso romano, depose le ceneri in un'urna d'argento e le restituì al figlio. Egli era stato, come lo chiamò Tito Livio, "la spada di Roma".

ATRIUM MINERVAE

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MINERVA CHALCIDICA

L'Atrium Minervae, posto nella piazza del Foro Romano, ospitava una colossale statua di Minerva, fatta copiare poi da Domiziano per ornare la grande fontana posta dinanzi al tempio Divorum. La statua è famosa per essere stata replicata sulle monete di congiario da Nerone fino ad Adriano.

Il "congiarium" era la regalia statale in monete che sostituì le precedenti regalie in grano e olio per aiutare i cittadini poveri. Roma funzionava così, esisteva un censimento dei cittadini e dei beni e chi non possedeva beni aveva diritto a un reddito di sopravvivenza.

Nel gruppo ritrovato negli scavi del Comizio, della Curia, e del Calcidico venne rinvenuto il piedistallo del "simulacrum Minerbae abolendo incendio tumultus civilis igni tecto cadente confractum" CIL. VI, 52.3; di cui il testo integrale è:

Simulacrum Minerbae
abolendo incendio
tumultus civilis igni
tecto cadente confractum
Anicius Acilius Aginatius
Faustus v(ir) c(larissimus) et inl(ustris) praef(ectus) urbi
vic(e) sac(ra) iud(icans) in melius
integro proviso pro
beatitudine temporis restituit.

Cioè: "La statua di Minerva, rotta nel crollo del tetto che fu distrutto dal fuoco durante un conflitto covile, fu restaurata al meglio delle sue condizioni e della sua interezza da by Anicio Acilio Aginazio Fausto, di chiarissimo ed illustre rango, prefetto urbano e giudice al posto dell'imperatore, per la felicità dei nostri tempi."


E' descritto da Ligorio come ' stile decadente ' pertinente pertanto al tempo di Diocleziano (Lanciani, p. 213).  L'iscrizione si riferisce alla distruzione dell'atrio Minervae e la sua statua da un incendio durante un conflitto civile. I riferimenti alle catastrofi e incidenti non erano comuni nei primi mesi dell'epigrafia imperiale, ma divenne frequente nel tardo impero (Alföldy 2001). 






L'ATHENAION

Pirro Ligorio ricordò la sua scoperta durante gli scavi sotto la chiesa di  S. Adriano nel Foro Romano, l'antica Curia, nel 1550-1 (Lanciani 1990, 213). Anche se il ricordo di Ligorio su questi scavi contiene alcuni errori, la statua era certamente quella di Minerva che dava il nome all'Atrium Minervae. Questa struttura, detta pure chalcidicum (o athenaion), venne dedicata da Augustus al tempo della ricostruzione del senato come una struttura aggiunta di fronte al portico.
Anicio Acilio Aginazio Fausto (Anicius Acilius Aginatius Faustus) discendeva per parte di madre dalla potente gens degli Anicii. Un frammento di marmo posto sul Colosseo ricorda il suo nome come '[A]nicius Acilius Acinat[ius Faustus]', il cui padre dovette essere il console del 444, Cecina Decio Acinazio Fausto (Caecina Decius Acinatius Faustus). Fausto figlio  fu invece console nel 483, ma la data della sua prefettura urbana non è registrata da nessuna parte. Dal momento che il suo consolato non è menzionato in questa iscrizione del "terminus ante quem" dovrebbe essere del 482.

Il "terminus post quem" significa "la data dopo la quale" per indicare la datazione approssimata di un evento, e l'unico conflitto civile di Roma che si adatta con la carriera di Faustus, e che si concilia con la data, è quello tra le truppe di Augusto d'Occidente, Antemio e Ricimero, nel 472. Subito dopo il conflitto l'atrio Minervae venne distrutto con la statua della Dea.

NERVA TRA MINERVA E ROMA
Il restauro della statua di Minerva e il suo atrio dimostrano la cura per le strutture dell'Urbe, specialmente quelle connesse all'aristocrazia senatoriale. Faustus era cristiano, ma la restaurazione di Minerva era importantissima per i senatori, molto attaccati alle antiche tradizioni dell'ordine senatorio.

Vissuta fino alla fine del mondo antico, la costruzione di Ottaviano consisteva in un portico adiacente alla Curia, e conteneva questa statua di Minerva, che aveva un rilievo particolare nella restaurazione augustea del clima sociale, politico, morale e religioso romano. 

Infatti volle ripristinare il simulacro della Dea su colonna andata distrutta nel corso dei rifacimenti sillani e cesariani di Curia e Comizio, che sappiamo venne riprodotta da una moneta dell'82 di L. Marcius Censorius con il Marsia e da identificare con la colonna Maenia.

La Columna Maenia che si trovava nella zona del Comizio, poco distante dal Carcere Mamertino, dove oggi passa la via che fiancheggia l'arco di Settimio Severo venne citata da Cicerone come luogo "presso la quale i debitori erano perseguiti dai creditori", si trovava davanti al tribunale del pretore ed ai Rostra dove si affiggevano le proscriptiones.

La statua andò probabilmente distrutta con la creazione del Foro di Cesare. Ne è stata ritrovata una parte del basamento a ovest della Curia Hostilia, davanti alle Scalae Gemoniae, ma non vi è certezza si tratti della statua della Minerva Chalcidica.
Comunque le due statue, quella di Marsia, sfuggita alle distruzioni della fine della repubblica, e conservata religiosamente in epoca imperiale, e quella di Minerva, erano state dedicate presso il Comizio se non nel Comizio stesso, tra il 318 e il 295 a.c., per le celebrazioni sacre, l'una dei Liberalia del 17 marzo, e l'altra delle Quinquatrus del 19 marzo.

Le due feste non si svolgevano in santuari preposti, ma venivano celebrate in successione nell'ambito del Foro, aventi tra l'altro la funzione di presentare dei nuovi cittadini alla comunità.
La concessione dei congiaria che celebravano i "tirocinii" dei nuovi cittadini, nonchè l'apertura dei testamenti, i documenti che comprovavano la continuità dell'aristocrazia, si svolgevano lì nel Foro proprio perchè lì era stata formata in antico la prima società civile romana.

Tutto ciò dimostra quanto antica fosse questa istituzione che tendeva a formare e a unire una comunità primitiva, provvedendo al suo sostentamento, nonchè ad integrare i nuovi arrivati in quanto più si era e meglio ci si difendeva dai confinanti, perchè all'epoca funzionava così, o si invadeva o si era invasi "Si vis pacem para bellum" (Se vuoi la pace prepara la guerra).
Inoltre poneva le basi per la comunità. I nuovi cittadini venivano presentati al pubblico coi loro nomi, famiglie, provenienza e mestieri. Era il primo tentativo di integrazione.

Il ripristino di Ottaviano fu appunto in questa direzione, lui volle ripristinare i valori e le usanze antiche per rafforzare la coesione nel suo impero. Volle così riunificare la Curia, strumento aristocratico, con l'Atrium Minervae, strumento del popolo, in quanto luogo di elargizioni ovvero delle congiaria, che insieme significavano la ritrovata libertà "Restitutio Libertatis" dopo i tempi bui delle guerre civili. 


CURIA IULIA E COMITIUM



IL CHALCIDICUM

Il portico trae nome dalla città du Chalcis (Festus, s.v.), perchè qui vi vennero impiegati per la prima volta, oppure furono impiegati in grande quantità.

Essi vennero aggiunti a singoli edifici, in genere pubblici, non come un ornamento della facciata, ma come rifugio delle persone in attesa che arrivi il loro turno per essere ammessi all'interno.

Insomma riparava dal sole e dalla pioggia, e in più era luogo di incontro e di affari.
Vennero adoperati anche per i palazzi dei re e dei grandi personaggi, per basiliche, tribunali, luoghi di commercio, per ospitare il cibo in vendita nell'attesa; per la curia, e per gli schiavi che stavano aspettando i loro padroni.

Servivano come asilo anche alla folla attratta da questi luoghi sia per curiosità che per lavoro.

Augusto non solo restaurò la Curia Julia, ma vi aggiunse il Chalcidicum sul lato destro.
Bartoli ritiene che qui vi fossero gli uffici e gli archivi per la scrittura e la conservazione dei Decreti del Senato comprese le registrazioni del licenziamento con onore dei legionari, anche se è difficile stabilirne l'uso più antico.

Domiziano restaurò le curia nel 94 d.c., parzialmente danneggiata dall'incendio di Nerone nel 66 d.c. per l'occasione Domiziano dedicò il Chalcidicum alla sua Dea protettrice Minerva, dal cui nome si fregia l'Atrium Minervae circondato da un colonnato. L'atrio era ancora visibile nel XVI sec. fino a Sisto V (1585-1590).

Fino alla 230 d.c, Dio. cita il Chalcidicum e la Curia Julia insieme, ma non parla del Secretarium Senatus. Ciò suggerisce che i primi due edifici erano legati insieme ma il secretarium non era stato ancora costruito.



MINERVA CHALCIDICA

Completava il tutto il Chalcidicum, cioè un portico aperto su una piazza dove troneggiava una statua issata su una colonna, dedicato alla Minerva Chalcidica. Un edificio unito alla Curia con un colonnato, sotto cui si aprivano uffici e botteghe, in parte conservato, aperto sul Foro, ma probabilmente aperto anche sul Foro di Cesare. Il Chalcidicum Augusti, visto che Augusto se l'era intestato, doveva essere il luogo delle Liberalitates.

Il culto di Minerva nella religione romana ebbe un carattere molto sociale, come inventrice delle arti e dei mestieri, ma anche protettrice dell'ingegno umano. Mentre Marte era il Dio dei soldati, Minerva era la Dea dei generali dell'esercito, che guidavano i soldati non con la foga ma con la strategia e l'intelligenza.

CURIA IULIA
Questa intelligenza la fece patrona delle arti e degli artigiani, per questo le venne riservata una festa il quinto giorno dopo le idi di marzo, detto perciò Quinquatrus, che acquistò maggiore importanza con la durata di cinque giorni per lo sviluppo crescente dell'artigianato nonchè delle professioni, come l'avvocatura, la medicina e l'insegnamento scolastico.

Il tempio dell'Aventino costituiva infatti la sede del Collegium scribarum histrionumque fin dal 207 a.c. (Festo, 333). Il giorno della dedicazione era il 19 marzo, corrispondente alla festa dei Collegia artificum, i Quinquatrus.

In quanto all'aspetto della statua il Castagnoli ritiene che la rappresentazione di Minerva che si vede in uno dei rilievi della Cancelleria, pure di età domizianea, in base al confronto con una moneta di Domiziano potrebbe essere del tipo della M.Chalcidica.


 
MINERVAL MUNUS

In questo giorno anche le scuole facevano festa e gli scolari offrivano ai maestri un dono detto Minerval o Minervale munus. Era infatti anche una festa dei maestri, e gli scolari offrivano un dono che non aveva a che fare col pagamento della loro professione, ma piuttosto un riconoscimento della loro qualità. 

Da Munus, il sostantivo, e Munere, il verbo si distinguono due significati in italiano che però in latino era il medesimo, cioè il dono e il dovere. Munus era infatti la conclusione del dovere ottemperato, cioè il dono conseguente. Remunerare significa il realtà pagare di nuovo, però nel linguaggio corrente è un solo pagamento, che riguarda un corrispettivo di lavoro. 

Come dire che il dovere o il lavoro giustamente compiuto è compenso a se stessi e pure da parte degli altri. Ma c'era in questo un significato più profondo, e cioè che  viene riconosciuto e pagato chi compie il proprio lavoro in modo minervale, cioè con l'intelligenza.

L'ingegno era l'arte minervale per eccellenza. Senza arte minervale, soprattutto i generali, non potevano difendere l'impero romano e l'imperatore non poteva guidarlo. Per questo gli imperatori erano molto devoti a Minerva.

Un altro giorno di festa si aggiunse col nome di Quinquatrus minusculae il 13 giugno, nel quale i tibicines, i flautisti addetti al culto pubblico, celebravano con un banchetto nel tempio di Giove Capitolino la festa della loro associazione, con una mascherata per le vie della città, e con una riunione nel tempio di Minerva sull'Aventino, il cui dies natalis era commemorato il 19 giugno.

LE DATE DI ROMA

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VIII - SECOLO A.C.

771Nascita di Romolo
753 (21 Aprile) - Fondazione di Roma
753-509 - Monarchia
752/751 - Romolo trionfò sul popolo dei Ceninensi (Caeniensi), calende di marzo,
752/751 - Romolo  trionfò per la seconda volta sugli abitanti di Antemnae (Antemnates)
752/751 - Romolo trionfò sul popolo dei Crustumini
750 - Salita al trono di Tito Tazio
748/746 - Romolo vince Fidene e ottiene il trionfo
748 - Morte di Tito Tazio
737/736 - Romolo vince Cameria e ottiene il trionfo
722 - Romolo uccide 6.000 abitanti di Cameria e la distrugge facendone una colonia romana
716- Morte di Romolo - Sale al trono Numa Pompilio


VII - SECOLO A.C.

675/ 616(tra) - Anco Marzio ottiene il trionfo per aver sconfitto Sabini e Veienti
641 - Caduta di Albalonga da parte di Tullio Ostilio
673 - Morte di Numa Pompilio
673 - Sale al trono Tullo Ostilio
641 - Muore Tullio Ostilio - Sale al trono Tarquinio Prisco
616/588 (tra) Tarquinio Prisco sconfigge i Latini e ottiene il trionfo


VI - SECOLO A.C.

588/587 - Tarquinio Prisco trionfa per la seconda volta sugli Etruschi
585/584 - Tarquinio Prisco trionfa per la terza volta su i Sabini
579 - Muore Tarquinio Prisco - Sale al trono Servio Tullio
571/570 - Servio Tullio trionfa sopra gli Etruschi
567/566 - Servio Tullio trionfa per la seconda volta sugli Etruschi
539 - Servio Tullio trionfa per la terza volta sugli Etruschi
539 - Muore Servio Tullio - Sale al trono Tarquinio il Superbo
535/509 (tra) - Tarquinio il Superbo trionfa contro i Volsci
535/509 (tra) - Tarquinio il Superbo trionfa contro i Sabini
509 - Battaglia della Selva Arsia vinta dai romani sugli etruschi
509 - Nascita della Repubblica
508/504 - assedio di Roma ad opera di Porsenna
508 - Orazio Coclite caccia gli Etruschi che vogliono invedere Roma
506 - Battaglia di Ariccia contro gli Etruschi vinta dai Romani
504 - Attius Clausus lascia la Sabina per stabilirsi a Roma, con tutti i suoi oltre 5.000 clientes
504 - Publio Valerio Publicola ottenne il trionfo per aver sconfitto i Sabini e i Veienti


V - SECOLO A.C.

494 - Battaglia del lago Regillo tra Romani e Latini
494 - Manio Valerio Voluso Massimo sconfigge i Sabini e ottenne il trionfo
494 - Secessione della plebe
487 - Battaglia di Preneste, i Romani sconfiggono gli Ernici
487 - Battaglia di Velletri, i Romani sconfiggono i Volsci
484 - I Romani conquistano il territorio degli Equi, ma non è definitivo
484 - Battaglia di Anzio, i Romani vengono sconfitti dai Volsci
484 - Battaglia di Longula, i Romani sconfiggono i Volsci
480 - Battaglia di Veio, i Romani con gli alleati Latini ed Ernici, sconfiggono gli Etruschi
477 - Battaglia del Cremera, sconfitta e strage della gens romana Fabia contro Veio
476- Battaglia del Gianicolo, i Romani sconfiggono i Veienti che abbandonano il Gianicolo.
475 - Publio Valerio Publicola sconfigge Veio
468 - Quinto Servilio Prisco sconfigge e saccheggia il territorio sabino
458 - Cincinnato dictator sconfigge gli Equi nella battaglia del Monte Algido
450 - Secessione della plebe e leggi delle XII tavole
449 - Al console Marco Orazio Barbato viene decretato il trionfo per aver vinto sui sabini
449-448 - Guerra contro Equi, Volsci e Sabini
446 - Battaglia di Corbione, Tito Quinzio Capitolino Barbato guida i Romani e vince su Equi e Volsci
445 - Consacrazione del Lacus Curtius
437 - Aulo Cornelio Cosso nella battaglia di Fidene uccide il re di Veio e conquista la spolia opima.


IV SECOLO A.C.

396Conquista di Veio con i romani guidati da Cincinnato
396 - Battaglia del fiume Allia, dove i Galli sconfiggono i Romani sull'Allia, presso Roma
390 - Sacco di Roma
367 - Nasce il Console romano e le Leges Liciniae Sextiae
360 - Battaglia dell'Aniene, Tito Manlio Torquato Imperioso, sconfigge i Galli
348 - Trattato Roma-Cartagine: ai romani sono preclusi i commerci nel mediterraneo occidentale
343-341 - I Guerra Sannitica, conclusa con una pace di compromesso
343 - Battaglia del Monte Gauro, il console romano Marco Valerio Corvo sconfigge i Sanniti
341 - Battaglia di Suessula, Marco Valerio Corvo sconfigge nuovamente i Sanniti. fine I guerra sannitica
340-338 - Guerra latina e scioglimento della Lega latina
340 - Battaglia del Vesuvio, Publio Decio Mure sconfigge i ribelli Latini ma cade in battaglia
339 - Battaglia di Trifano, Tito Manlio Torquato sconfigge definitivamente i Latini
338 - Fondazione della colonia di Ostia
338 - I romani conquistano Pedum, città della Lega Latina
329 - Fondazione della colonia di Terracina
326-304 - II Guerra Sannitica
321 - Capitolazione dell'esercito romano alle Forche Caudine, pace umiliante per i Romani
316 - Battaglia di Lautulae, i Romani sconfiggono i Sanniti presso Terracina nella II guerra sannitica
310 - Battaglia del lago Vadimone, i Romani sconfiggono gli Etruschi
306 - Trattato Romano-Cartaginese. L'italia è attribuita a Roma, la Sicilia a Cartagine
305 - Battaglia di Boviano Marco Fulvio e Lucio Postumio sconfiggono i Sanniti; fine II guerra sannitica
304 - nasce la colonia latina di Alba Fucens
303 - Trattato tra Roma e Taranto; impegno romano a non navigare nello Ionio


III SECOLO A.C.

298-290 - III Guerra Sannitica; Roma affronta la coalizione di Sanniti, Galli, Lucani, Etruschi, Umbri
298- Battaglia di Camerino, Sanniti sconfiggono Lucio Cornelio Scipione nella III guerra sannitica
298 - Nasce la colonia latina di Carsoli
297 - Battaglia di Tiferno, Q. Fabio Massimo e L. Cornelio Scipione Barbato sconfiggono i Sanniti
295 - Battaglia di Sentino, Q. Fabio Massimo Rulliano e P. Decio Mure vincono Sanniti, Etruschi e Senoni
293 - Battaglia di Aquilonia.I Romani sconfiggono definitivamente i Sanniti
291 - Fondazione della colonia di Venosa
290 - Pace con i Sanniti; il territorio di Roma si estende nel centro italia
290 - Manio Curio Dentato sconfigge ripetutamente e definitivamente i sabini
287 - Secessione della plebe e istituzione del plebiscito
285 282 - I Romani sconfiggono i Galli Senoni
285 - Battaglia di Arezzo, l'esercito romano sotto il comando di Lucio Cecilio è distrutto dai Galli
283 - Fondazione della colonia di Senigallia
283 - Battaglia del lago Vadimone, Publio Cornelio Dolabella sconfigge Etruschi e Galli
282 - Battaglia di Populonia gli Etruschi definitivamente sconfitti
282-272 - Guerra Tarantina
282/281 - Gaio Fabricio Luscino trionfa su Sanniti, Lucani e Bruzi
280 - Battaglia di Heraclea Romani sconfitti dai Greci, ma Pirro ha un costo eccessivo
279 - Battaglia di Ascoli di Puglia, Pirro batte ancora i Romani
275 - Battaglia di Maleventum Manio Curio Dentato sconfigge i Tarantini alleati con Pirro
270 - i Romani vincono i Bruzi e annettono la Magna Grecia
268 - Fondazione delle colonie di Rimini e Benevento
268 - Ai sabini fu concessa la cittadinanza romana in due nuove tribù, la Quirina e la Velina
268-267 - i consoli Publio Sempronio Sofo e Appio Claudio Russo trionfano sui Piceni
264-241- I Guerra Punica
264 - Battaglia di Messina, I Romani occupano Messina contro le forze di Cartagine e Siracusa
262 - Battaglia di Agrigento, i cartaginesi sotto Annibale Giscone e Annone sconfitte dai Romani
260 - Battaglia delle Isole Lipari, una forza navale romana è sconfitta dai Cartaginesi
260 - A Milazzo vittoria della flotta romana di Caio Duilio
259 - Battaglia di Sulci Vittoria romana in uno scontro minore con la flotta cartaginese in Sardegna
257 - Viene nominato console Gaio Attilio Regolo
257 - Battaglia di Tindari Scontro navale minore fra Roma e Cartagine nelle acque di Sicilia
256 - Vittoria flotta romana di M. Attilio Regolo al promontorio di Ecnomo contro Amilcare
256 - Battaglia di Adys Marco Atilio Regolo sconfigge i Cartaginesi nel Nord Africa
255 - Battaglia di Tunisi, i Cartaginesi sconfiggono i Romani alla guida di Regolo, che è catturato
250-249 - Vittoria romana nella battaglia di Panormo, vittoria Cartaginese nella battaglia di Drepano
255 - In africa Attilio Regolo è sconfitto, ma la flotta romana vince a Capo Ermeo
254 - Battaglia di Palermo, conquistata dai Gneo Cornelio Scipione Asina e Aulo Atilio Calatino
251 - II battaglia di Palermo i cartaginesi di Asdrubale sono sconfitti da Lucio Cecilio Metello Denter
250 - Assedio di Lilibeo con battaglie navali e terrestri; durerà fino alla fine della I guerra Punica 
249 - Battaglia di Trapani, i Cartaginesi sotto sconfiggono la flotta di Publio Claudio Pulcro
248 - Battaglie di Monte Erice, guerriglia di Amilcare fra Palermo e Trapani
241 - Lutazio Catulo vince alle Egadi; pace con Cartagine che lascia la Sicilia. Fine I Guerra Punica
241-227 - Istituzione delle prime province di Sicilia, Sardegna e Corsica
237 - Spedizione di amilcare Barca in Spagna
237 - Conquista della Sicilia
227 - Creazione delle prime due province: Sicilia e Sardegna-Corsica
226 - Trattato dell'Ebro tra Roma e Cartagine
225 - Battaglia di Fiesole i Romani sono sconfitti dai Galli del Nord Italia
225 - Battaglia di Talamone, Emilio Papo e Gaio Atilio Regolo sconfiggono un'alleanza di celti
225-222 - Sottomissione dei Galli Boi e Insubri; battaglia di Talamone e Casteggio
222- Battaglia di Clastidio Marco Claudio Marcello sconfigge i Galli
222 - Marco Claudio Marcello sconfigge a duello il re dei Galli insubri Viridomaro ottenendo la spolia opima
219 - Assedio di Sagunto I Saguntini, alleati dei Romani, si arrendono all'assedio di Annibale
218 - Battaglia di LilibeoI scontro navale tra Roma e Cartagine nella II Guerra Punica
218 - Battaglia di Cissa Gneo Cornelio Scipione Calvo sconfigge l'esercito cartaginese in Spagna
218 - Battaglia del Ticino, Annibale sconfigge Publio Cornelio Scipione
218 - Battaglia della Trebbia Annibale sconfigge Tiberio Sempronio Longo che l'aveva attaccato
218 - Lucio Emilio Paolo e Marco Livio Salinatore, sottomettono l'Illiria di Demetrio di Faro
218-201 - II Guerra Punica
218 - Fondazione delle colonie di Piacenza e Cremona;  Annibale varca le Alpi
217 - Battaglia del Trasimeno, Annibale vince Flaminio che è ucciso
217 - in Spagna Scipione vince e cattura la flotta Cartaginese alle foci dell'Ebro
217 - Battaglia dell'Agro Falerno, Annibale riesce a sfuggire alla trappola tesagli da Fabio
216 - Capua, Sanniti, Lucani e Bruzii si alleano con Annibale
216 - Battaglia di Canne, Annibale distrugge l'esercito di L. Emilio Paolo e G. Terenzio Varrone
216 - I battaglia di Nola Marco Claudio Marcello scampa da un attacco di Annibale
216 - Battaglia della Selva Litana Galli Boi distruggono 25.000 romani e socii sotto L. Postumio Albino
215 - II battaglia di Nola Marcello di nuovo respinge un attacco di Annibale
215-205 - I Guerra Macedonica
215 - In Spagna gli Scipioni prendono Sagunto: Annibale stipula un alleanza con Filippo V di Macedonia
214 - III Battaglia di Nola Marcello combatte una battaglia non decisiva con Annibale
213-211 - Annibale prende Taranto
212-205 - I romani si alleano con Etoli, Spartani e Messeni impegnando Filippo in Grecia
212 - I Battaglia di Capua. Annibale sconfigge Q. Fulvio Flacco e A. Claudio, ma l'esercito si salva
212 - Battaglia del Silaro, Annibale sconfigge l'esercito di Marco Centenio Penula
212 - Battaglia di Erdonia, Annibale sconfigge l'esercito di Gneo Fulvio Centumalo
212 - Roma prende Capua e Siracusa
211 - Battaglia Baetis sup., P. e G. Cornelio Scipione uccisi in battaglia dai Cartaginesi di Asdrubale
211 - II battaglia di Capua, Annibale non è in grado di rompere l'assedio romano della città
210-206 - Successi di Scipione l'Africano in Spagna contro Asdrubale
210 - II battaglia di Erdonia Annibale distrugge l'esercito di Gneo Fulvio Centumalo, che è ucciso
210 - Battaglia di Numistro Battaglia dall'esito infruttuoso tra Annibale e Marcello
209 - Battaglia di Ascoli. Annibale sconfigge Marcello in una battaglia non decisiva
209 - Battaglia di Lamia vinta da Filippo V di Macedonia contro la lega etolica, alleata dei Romani
208 - Battaglia di Baecula in Spagna Publio Cornelio Scipione (poi Africano) sconfigge Asdrubale
207 - Battaglia di Grumento, G. Claudio Nerone combatte contro Annibale senza grandi risultati
207 - Battaglia di Carmona, Publio Cornelio Scipione assedia Carmona, sottraendola ad Asdrubale
207 - Battaglia del Metauro, Asdrubale, di rinforzo per Annibale, è sconfitto e ucciso da Nerone
206 - Battaglia di Ilipa, Scipione (poi Africano) annienta i cartaginesi in Spagna
206 - Battaglia del Guadalquivir, Gaio Lucio Marcio Settimio sconfigge i Cartaginesi di Annone
206 - Battaglia di Carteia Gaio Lelio sconfisse la flotta cartaginese di Aderbale
205 - Pace di Fenice: fine della guerra Macedonica vinta da Filippo il Macedone
204 - Scipione si allea Con Massinissa, Re di Numidia spodestato dai Cartaginesi
204 - Battaglia di Crotone Annibale contro il generale romano Sempronio nel Sud Italia
203 - Scipione vince ai Campi Magni Asdrubale e Annibale è richiamato in Africa
202 - Battaglia di Zama, Scipione con Massinissa sconfigge Annibale, fine II Guerra Punica
201 - Pace tra Roma e Cartagine
200 - Battaglia di Cremona Forze romane sconfiggono i Galli della Gallia Cisalpina


II SECOLO A.C.

200-196 - II Guerra Macedonica
198 - Battaglia dell'Aous, Tito Quinzio Flaminino sconfigge i Macedoni di Filippo V
197 - Battaglia di Cynoscephalae T. Quinzio Flaminino sconfigge definitivamente Filippo in Tessaglia
194 - Battaglia di Piacenza La battaglia venne combattuta e vinta dai Romani contro i Galli Boii
194 - Battaglia di Gythium, con l'assistenza romana, la Lega achea sconfigge gli Spartani
193 - Battaglia di Mutina Vittoria romana sui Galli presso Modena (Mutina)
192-189 - Guerra Siriaca
191 - Battaglia delle Termopili, Marco Acilio Glabrio sconfigge Antioco III il Grande
191 - Battaglia di Corico, tra Gaio Livio Salinatore e Antioco III
190 - Battaglia Eurimedonte, Lucio Emilio Regillo sconfigge flotta seleucide comandata da Annibale
190 - Battaglia di Myonessus, un'altra flotta seleucide è sconfitta dai Romani
190 - Battaglia di Magnesia, L. Cornelio Scipione e Scipione Africano magg. sconfiggono Antioco III
189 - Fondazione della colonia di Bologna
189 - Battaglia Monte Olimpo, Geno Manlio Vulsone, alleato con Pergamo, batte i Celti della Galatia
189 - Battaglia di Ancyra, Geno Manlio Vulsone, batte per la II volta i Celti della Galatia
188 - Pace di Apamea: Roma impone ad Antioco di lasciare i possessi in asia minore
183 - Fondazione delle colonie di Parma e Modena
181 - Fondazione della colonia di Aquileia
177 - Fondazione della colonia di Luni
172-167 - III Guerra Macedonica
171 - Battaglia di Callicinus. Perseo di Macedonia sconfigge Publio Licinio Crasso
168 - Battaglia di Pidna, Lucio Emilio Paolo Macedonico sconfigge Perseo, fine III Guerra Macedonica
149-146 - III Guerra Punica: distruzione di Cartagine e nascita della provincia romana "Africa"
148 - Battaglia di Pidna, Andrisco sconfitto da Quinto Cecilio Metello nella IV Guerra Macedonica
148 - La Macedonia è provincia romana
147 - Battaglia di Neferis, Scipione Emiliano vince contro i Cartaginesi nella III Guerra Punica
146 - Battaglia di Cartagine, Scipione Emiliano distrugge Cartagine, fine III Guerra Punica
146 - Battaglia di Corinto, Lucio Mummio sconfigge la lega achea di Critolao, che è ucciso.
146 - Corinto è distrutta e la Grecia entra sotto il diretto controllo romano
146 - data simbolica dell'espansione romana nel Mediterraneo
133 e 123-121 - I Gracchi tentano la riforma agraria
120 - Conquista della Gallia Narbonese che diviene provincia romana
113 - Battaglia di Noreia i Germani battono i Romani accorsi alla capitale del Regno del Norico, Noreia
111-105 - Guerra contro Giugurta di Numidia per opera di Cecilio Metello e successivamente Mario
109 - Battaglia del Rodano, Marco Giunio Silano viene sconfitto da un esercito di celti Elvezi
108 - Battaglia del Muthul, Cecilio Metello sconfigge Giugurta di Numidia
107 - Battaglia di Agen, Lucio Cassio Longino annientato da Cimbri, Teutoni, e Tigurini
107 - Mario riforma l'esercito
105 - Ad Arausio i Romani sono sconfitti dai Cimbri
105 - Battaglia di Arausio, i Cimbri sconfiggono Manlio Massimo
104-100 - Seconda rivolta degli schiavi in Sicilia; Mario estende il reclutamento militare ai proletari
102 - Battaglia di Aquae Sextiae Gaio Mario spazza via i Teutoni
102 - Mario sconfigge i Teutoni e l'anno successivo i Cimbri ad Aquae Sextiae
101 - Battaglia dei Campi Raudii Gaio Mario sconfigge e distrugge i Cimbri


I SECOLO A.C.

91-89 - Guerra sociale: gli Italici si sollevano, Roma concede loro la cittadinaza
90-89 - Concessione della cittadinanza romana ai Latini e agli alleati rimasti fedeli
89 - Battaglia del lago del Fucino, Lucio Porcio Catone sconfitto dai ribelli italici nella Guerra Sociale
89 - Battaglia di Asculum, Gneo Pompeo Strabone sconfigge i ribelli nella Guerra sociale
89 - Battaglia del fiume Amnia, sconfitto Nicomede IV alleato dei Romani da Mitridate VI del Ponto
89 - battaglia di Protophachium, sconfitti Manio Aquilio e Nicomede IV da Mitridate VI del Ponto
88-84 - I Guerra Mitridatica tra Roma e Mitridate VI re del Ponto
88 - Vespri asiatici massacrati 80.000 Italici in tutta la provincia d'Asia
88 - Assedio di Rodi città alleata dei Romani, da parte di Mitridate VI
87 - A Roma prende il potere Mario
87 - I Battaglia di Cheronea, Quinto Bruzzio Sura governatore Macedonia contro Mitridate VI
87 - Assedio di Atene, Lucio Cornelio Silla, contro gli Ateniesi ribelli
86 -  II Battaglia di Cheronea, Lucio Cornelio Silla sconfigge il Ponto di Archelao nella I guerra mitridatica
86 - Morte di Mario; a Roma governo di Cinna;
85 - Battaglia di Orchomenus Silla sconfigge ancora Archelao fine I guerra mitridatica
83-82 - Guerra civile; battaglia di Porta Collina; Silla sconfigge i partigiani di Mario
83 - Battaglia del monte Tifata Silla sconfigge Gaio Norbano nella I guerra civile romana
82 - Battaglia del fiume Asio, Quinto Cecilio Metello Pio sconfigge i Populares nella Guerra Civile
82 - Battaglia di Sacriporto,  Optimates di Lucio Cornelio Silla vincono Populares Gaio Mario j
82 - Prima battaglia di Clusium. vittoria Optimates di Silla, contro Populares di Gneo Papirio Carbone.
82 - Battaglia di Faventia, Optim. di Q. Cecilio Metello Pio battono Popul. di G. Norbano Balbo
82 - Battaglia di Fidentia, Optim. di M. Terenzio Varrone Lucullo battono Popul. di L. Quinzio
82 - II battaglia di Clusium, G. Pompeo Magno vince Popul. di G. Carrina e G. Marcio Censorino.
82 - Battaglia di Porta Collina, Silla sconfigge Sanniti alleati coi popul., fine della guerra civile
81-80 - Dittatura di Silla: riforme oligarchiche e proscrizioni anti mariane
80-72 - Rivolta di Sertorio in Spagna; nel 71 Pompeo riporta la Spagna sotto il dominio di Roma
80 -  Battaglia del fiume Baetis, il ribelle Quinto Sertorio sconfigge Lucio Fulfidia in Spagna
74-63 - II Guerra Mitridatica
74 - Battaglia di Calcedonia Romani sconfitti da Mitridate VI
74 - Battaglia del fiume Rindaco, Lucio Licinio Lucullo batte la cavalleria mitridatica
73-71 - Rivolta di Spartaco
73 - Battaglia di Cizico, Lucio Licinio Lucullo sconfigge Mitridate VI del Ponto
73 - Battaglia del Vesuvio, Spartaco distrugge armata di Gaio Claudio Glabro
72 - Battaglia di Cabira, Lucullo sconfigge ancora Mitridate e conquista il Ponto
71 - Battaglia del fiume Sele, Marco Licinio Crasso batte Spartaco presso il fiume Sele
70 - Assedio di Amiso, durò quasi tre anni da parte di Lucullo
70 - Consolato di Pompeo e Crasso: abolizione della costituzione Sillana
69 - Battaglia di Tigranocerta Lucullo sconfigge Tigrane II, che appoggiava il suocero Mitridate VI del Ponto
68 - Battaglia di Artaxata Lucullo sconfigge ancora Tigrane
68 - Assedio di Nisibis Da parte delle truppe di Lucullo
68 - Battaglia di Comana Pontica Tra Triario e Mitriadate
67 - Battaglia di Zela Mitridate VI sconfigge un legatus di Lucullo, un certo Triario
66 - Battaglia di Nicopoli al Lico Pompeo trionfa su Mitridate, re del Ponto
66 - Lex Mamilia: si affida a Pompeo il comando della guerra contro Mitridate
66-63 - Pompeo sconfigge Mitridate; presa di Gerusalemme
63 - Congiura di Catilina, repressa dal console Tullio Cicerone
62 - Battaglia di Pistoia, Catilina sconfitto da Gaio Antonio
60 - Primo triunvirato di Cesare, Pompeo e Crasso
59 - Consolato di Cesare
58-51 - Cesare conquista la Gallia che diventa provincia romana
58 - Battaglia di Genava, Gaio Giulio Cesare sbarra il passaggio a 368.000 Elvezi.
58 - Battaglia del fiume Arar, Gaio Giulio Cesare si difende dalla migrazione degli Elvezi
58 - Battaglia di Bibracte, Giulio Cesare di nuovo ferma gli Elvezi
58 - Battaglia in Alsazia,  Giulio Cesare ferma l'esercito germanico agli ordini di Ariovisto
57 - Battaglia del fiume Axona, Giulio Cesare inizia la sua campagna contro i Belgi
57 - Battaglia del Sabis, Giulio Cesare sconfigge i Nervi
57 - Battaglia di Namur, Giulio Cesare chiude la sua campagna contro i Belgi
53 - Battaglia di Carre contro i Parti e morte di Crasso
52 - Battaglia di Avarico, Cesare assedia la città di Avarico sterminando i Galli
52 - Battaglia di Gergovia, Cesare subisce una sconfitta non decisiva da Vercingetorige
52 - Battaglia di Alesia, Cesare sconfigge Vercingetorige conquistando la Gallia transalpina
49 - Cesare passa il Rubicone e marcia su Roma; Pompeo raggiunge l'oriente
49 - Assedio di Marsiglia, Giulio Cesare cinge la città costringendola alla resa
49 - Battaglia di Marsiglia, Battaglia navale dove Decimo Bruto sconfigge la flotta di Marsiglia
49 - Battaglia di Tauroento, D. Bruto sconfigge Marsiglia e la flotta del pompeiano Lucio Nasidio
49 - Battaglia del fiume Bagradas, G. Curio cesariano, sconfitto in Nord Africa dai pompeiani e si suicida
48 - Dittatura di Cesare, battaglia di Farsalo
48-47 - Guerra Alessandrina; Cesare pone Cleopatra sul trono d'Egitto
48 - Battaglia di Durazzo, Cesare evita a stento una pesante sconfitta contro Pompeo in Macedonia
48 - Battaglia di Farsalo, Cesare sconfigge definitivamente Pompeo, che fugge in Egitto
47 - Battaglia del Nilo, Cesare sconfigge le forze del re egizio Tolomeo XIII
47 - Battaglia di Zela, Cesare sconfigge il re Farnace II del Ponto (Veni, vidi, vici)
46 - Battaglia di Ruspina, Cesare batte le forze del suo ex-legatus di Gallia, Tito Labieno
46 - Battaglia di Tapso Cesare sconfigge il pompeiano Metello Scipione in Nord Africa
46 - Suicidio di Catone l'Uticense per la battaglia perduta a Tapso
45 - Battaglia di Munda Cesare sconfigge Tito Labieno e Gneo Pompeo il giovane in Spagna
45 - Morte di Labieno in battaglia e Morte di Gn. Pompeo, giustiziato
44 - Morte di Cesare alle idi di marzo
43 - Battaglia di Modena; Secondo Triunvirato di Ottaviano, Antonio e Lepido; Guerra di Modena
43 - Battaglia di Forum Gallorum Antonio assedia l'assassino di Cesare, Decimo Bruto, a Modena
43 - Battaglia di Modena (Mutina) Antonio ancora sconfitto da Irzio, che è ucciso da Decimo Bruto
42 - I battaglia di Filippi I triumviri Marco Antonio e Ottaviano combattono Bruto e Cassio
42 - Bruto sconfigge Ottaviano, ma Antonio sconfigge Cassio, che si suicida
42 - II battaglia di Filippi, Bruto definitivamente sconfitto da Antonio e Ottaviano, si suicida
41-40 - Battaglia di Perugia: accordo di Brindisi tra Ottaviano e Antonio
41 - Battaglia di Perugia, Lucio Antonio e sua moglie Fulvia, sono sconfitti da Ottaviano
39 - Accordo del Miseno: i triunviri riconoscono Sesto Pompeo che governa Corsica, Sardegna e Sicilia
39 - Battaglia del monte Tauro, Publio Ventidio Basso sconfigge i Parti e Quinto Labieno che muore
38 - Battaglia Monte Gindaro, Publio Ventidio Basso trionfa sull'esercito Partico di Pacoro I
37 - Rinnovo del Triunvirato
36 - Battaglia di Naulochus. la flotta di Ottaviano, con Marco Vipsanio Agrippa, sconfigge Sesto Pompeo
32 - Rottura tra Ottaviano e Antonio
31 - Battaglia di Azio Ottaviano e Agrippa sconfiggono definitivamente Antonio e Cleopatra
27 - Ottaviano riceve il titolo di Augusto
25 - Battaglia di Vellica, Augusto vince i Cantabri
25 - Assedio di Aracillum, Gaio Antistio Vetere vince sui Cantabri
16 - Clades Lolliana, Marco Lollio Paolino sconfitto dai Germani in Gallia
16-15 - Norico e Renzia diventano province
11 - Battaglia del fiume Lupia, Druso maggiore vince in Germania Magna


I SECOLO D.C.

9 - Battaglia Foresta di Teutoburgo, Arminio annienta le tre legioni di Publio Quintilio Varo
14 - Morte di Augusto
14-37 - Tiberio è imperatore
15 - Battaglia Pontes longi, del legato Aulo Cecina Severo contro Arminio
16 - Battaglia di Idistaviso Germanico vendica Teutoburgo sconfiggendo i Germani di Arminio
37-41 - Caligola è imperatore
41-54 - Claudio è imperatore
43 - Battaglia di Medway Claudio e Aulo Plauzio sconfiggono una confederazione di Britanni
50 - Battaglia Caer Caradock capo britannico Carataco sconfitto e catturato dai Romani di Ostorio Scapola
54-68 - Nerone è imperatore
58 - Sacco di Artaxata di Gneo Domizio Corbulone durante la guerra in Armenia
60 - Battaglia di Camulodunum Boudicca contro i Romani saccheggiando Camulodunum
61 - Battaglia della strada Watling Boudicca sconfitta da Svetonio Paolino
62 - Battaglia di Rhandeia Lucio Cesennio Peto sconfitto da Parti e Armeni
66 - Battaglia Beth Horon Giudei battono Cestio Gallo. I guerra giudaica
66 - Assedio di Ascalona I Romani respingono un esercito assediante di Giudei
67 - Assedio di Iotapata Vespasiano occupa la città giudea contro Giuseppe Flavio
67 - Assedio di Iafa Il, il legatus legionis Traiano occupa la città galilea di Iafa
67 - Battaglia del monte Garizim, il legatus legionis Sesto Vettuleno Ceriale sconfigge i Samaritani
67Battaglia di Ioppe, Vespasiano occupa la città giudea di Ioppe (Giaffa)
67 - Assedio di Tarichee Vespasiano assedia con successo la città ribelle di Tarichee
67 - Assedio di Gamala Vespasiano assedia la città ribelle di Gamala
67 - Battaglia Monte Tabor egato di Vespasiano, Giulio Placido batte Giudei
68 - Battaglia del Giordano Le forze romane di Vespasiano trucidarono 15.000 giudei
68 - Galba è imperatore
69 - Nello stesso anno sono proclamati imperatori Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano
69 - Battaglia di Forum Iulii, gli Otoniani sconfiggono i Vitelliani in Gallia Narbonensis
69 - Assedio di Piacenza, i Vitelliani attaccano Piacenza, ma poi si ritirano.
69 - Battaglia di locus Castorum, i Vitelliani sconfitti dagli Otoniani presso Cremona
69 - I battaglia di Bedriaco, Vitellio sconfigge l'imperatore Otone e sale al trono
69 - Assedio del Campidoglio, I Flaviani assediati e sconfitti sul Campidoglio dai Vitelliani
69 - II battaglia di Bedriaco, Marco Antonio Primo, leale a Vespasiano, sconfigge Vitellio
69 - Assedio di Cremona, i Flaviani assediano i Vitelliani a Cremona, che alla fine si arrendono
69 - Battaglia di Roma, i Flaviani di Antonio Primo sconfiggono i Vitelliani, morte di Vitellio.
69-79 - Vespasiano è imperatore
70 - Assedio di Gerusalemme, Tito espugna la città, distruzione dell'antico Tempio di Salomone
71 - Assedio Macheronte, legatus Augusti pro praetore Sesto Lucilio Basso occupa Macheronte
73 - Assedio di Masada - legatus Augusti pro praetore Lucio Flavio Silva occupa Masada
79 - Eruzione del Vesuvio e distruzione di Pompei
79-81 - Tito è imperatore
81-96 - Domiziano è imperatore
84 - Battaglia monte Graupio, Gneo Giulio Agricola sconfigge i Caledoni
86 - Battaglia di Tapae Gaio Oppio Sabino è sconfitto dai Daci di Decebalo
88 - Battaglia di Tapae Tettio Giuliano sconfigge i Daci di Decebalo
90 - Istituzione delle province di Germania Inferior e Germania Superior
96-98 - Nerva è imperatore
98-117- Traiano è imperatore
117 - Con la conquista della Dacia l'impero conquista la massima espansione


II SECOLO D.C.

101 - Battaglia di Tapae, Traiano sconfigge i Daci di Decebalo
102 - Battaglia di Adamclisi, Traiano distrugge Daci e sarmati Roxolani
106 - Battaglia di Sarmizegetusa Regia, Traiano conquista e distrugge la capitale dei Daci, Sarmizegetusa
106 - La Dacia diventa provincia romana
115 - Assedio di Hatra, Traiano, nel corso delle campagne partiche non riesce ad occuppare Hatra
115 - Assedio di Dura Europos, Traiano, nelle sue campagne partiche assedia ed occupa Dura Europos
116 - Assedio di Ctesifonte, Traiano occupa la capitale dei Parti
117-138 - Adriano è imperatore
138-192 - Dinastia degli Antonini
165 - Assedio di Dura Europos, Lucio Vero, nelle sue campagne partiche assedia ed occupa Dura Europos
165 - Assedio di Ctesifonte Lucio Vero occupa la capitale dei Parti
170 - Battaglia di Carnuntum governatore romano Pannonia sconfitto da un'orda di barbari
170 - Assedio di Aquileia Guerre marcomanniche, I barbari penetrati in Italia, assediano Aquileia
178/179 - Battaglia in Marcomannia Tarutieno Paterno vince Quadi e Marcomanni
193 - Battaglia di Cizico Settimio Severo sconfigge il suo rivale della parte orientale Pescennio Nigro
193 - Battaglia di Nicea Severo sconfigge nuovamente Nigro
192-193 - Pertinace è imperatore
193 - Didio Giuliano è imperatore
193-235 - Dinastia dei severi
194 - Battaglia di Isso Severo sconfigge definitivamente Nigro
197 - Battaglia di Lugdunum, Settimio Severo sconfigge ed uccide il rivale Clodio Albino e regna
197 - Assedio di Nisibis Inizio delle campagne militari dell'Imperatore Settimio Severo
197 - Assedio di Dura Europos Settimio Severo occupa la città di Dura Europos
197 - Assedio di Ctesifonte Settimio Severo occupa la capitale dei Parti
197-198 - Assedio di Hatra S. Severo, nelle campagne partiche non riesce ad occupparla 


III SECOLO D.C.

217 - Battaglia di Nisibis, vittoria dei Parti su Caracalla
218 - Battaglia di Antiochia, Vario Avito sconfigge Macrino e regna come Eliogabalo
229 - Assedio di Hatra La città alleata e/o occupata dai Romani, viene assediata dai Sasanidi
235-284 - Anarchia militare; sono eletti diversi imperatori
238 - Battaglia di Cartagine, Truppe leali a Massimino Trace uccidono l'imperatore Gordiano II
238 - Assedio di Aquileia, Massimino il Trace  ucciso dai suoi soldati della legio II Parthica.
239 - Assedio di Dura Europos, Ardashir I tenta invano di distrugge la roccaforte romana
240 - Assedio di Hatra La città alleata e/o occupata dai Romani, viene assediata e poi distrutta dai Sasanidi
243 - Battaglia di Resena Le forze romane di Gordiano III sconfiggono i Sasanidi di Sapore I
244 - Battaglia di Mesiche, esercito sasanide di Sapore I sconfigge quello romano di Gordiano III
250 - Battaglia di Philippopolis, Re Cuiva dei Goti sconfigge un esercito romano
251 - Battaglia di Abrittus, i Goti sconfiggono e uccidono l'imperatore romano Traiano Decio
252/253 - Assedio di Nisibis, occupazione di Nisibis da parte delle truppe sasanidi di Sapore I
252/253 - Battaglia di Barbalissos, Sapore I sconfigge i Romani
252/253 - Assedio di Antiochia, i Sasanidi di Sapore I ottengono la resa della città
256 - Assedio di Dura Europos, Sapore I distrugge la roccaforte romana dopo una tenace resistenza
260 - Battaglia di Edessa, Sapore I sconfigge e cattura il l'imperatore Valeriano
260 - Assedio di Antiochia, I Sasanidi di Sapore I ottengono la resa della città
260 - Assedio di Cesarea in Cappadocia, I Sasanidi di Sapore I ottengono la resa della città
260 - Battaglia di Milano, Gallieno batte gli Alemanni
268 - Battaglia del fiume Nestos, Gallieno respingei Goti
268 - Battaglia del lago Benaco, i Romani sotto Claudio II sconfiggono gli Alemanni
269 - Battaglia di Naissus, Claudio, sotto l'imperatore Gallieno, sconfigge definitivamente i Goti
271 - Battaglia di Piacenza, l'imperatore Aureliano è sconfitto dagli alemanni che invadono la penisola italiana
271 - Battaglia di Fano, Aureliano sconfigge gli Alemanni, che iniziano a ritirarsi dall'Italia
271 - Battaglia di Pavia, Aureliano distrugge l'esercito alemanno in ritirata
272 - Battaglia di Immae, Aureliano sconfigge l'esercito di Zenobia di Palmyra
272 - Battaglia di Emesa, Aureliano sconfigge definitivamente Zenobia
272 - Assedio di Palmira, Aureliano assedia ed occupa Palmyra
274 - Battaglia di Chalons Aureliano sconfigge l'imperatore gallico Tetrico e controlla  tutto l'Impero
283 - Assedio di Ctesifonte, Marco Aurelio Caro riuscì ad occupare la capitale dei Sasanidi
284-305 - Diocleziano è imperatore
285 - Battaglia del fiume Margus, l'usurpatore Diocleziano sconfigge Carino, che è ucciso
293-305 - Prima tetrarchia (Diocleziano, Galerio Massimiano, Costanzo Cloro)
296 - Battaglia di Callinicum, i Romani sotto il Cesare Galerio sono sconfitti dai Persiani di Narsete
297 Assedio di Ctesifonte, i Romani sotto il Cesare Galerio assediano ed occupano la capitale dei Sasanidi
298 Battaglia di Lingones. il Cesare Costanzo Cloro sconfigge gli Alemanni
298 Battaglia di Vindonissa, Costanzo sconfigge nuovamente gli Alemanni


IV SECOLO D.C.

305-306 - II tetrarchia (Galerio, Flavio Severo, Costanzo Cloro)
306-307 - III tetrarchia (Galerio, Flavio Severo, Costantino)
306-337 - Costantino è imperatore
308-311 - IV tetrarchia
312 - Battaglia di Torino, Costantino sconfigge le forze leali di Massenzio
312 - Battaglia di Verona Costantino sconfigge il più forte generale di Massenzio
312 - Assedio di Aquileia, la città cade nelle mani di Costantino I, durante la guerra civile con Massenzio
312 - Battaglia di Ponte Milvio, Costantino sconfigge Massenzio e si prende l'Impero di occidente
313 - Editto di Tolleranza
313 - Battaglia di Tzirallum, Licinio sconfigge Massimino Daia, e si prende la parte orientale dell'impero
316 - Battaglia di Cibalae, Costantino sconfigge Licinio
317 - Battaglia di Mardia, Costantino sconfigge nuovamente Licinio, che gli cede l'Illirico
324 - Battaglia di Adrianopoli Costantino sconfigge Licinio, che fugge a Bisanzio
324 - Battaglia dell'Ellesponto Crispo, figlio di Costantino, sconfigge le forze navali di Licinio
324 - Assedio di Bisanzio, le forze di Costantino assediano quelle di Licinio prima dello scontro finale
324 - Battaglia di Crisopoli, Costantino vice Licinio e si prende tutto l'impero
326 - Assedio di Nisibis, dal figlio del re sasanide Sapore II, Narsete, contro l'Impero romano
336 - Assedio di Amida da parte di Narsete, figlio di Sapore II
336 - Battaglia di Narasara,  vinta dai Romani contro Narsete, figlio o fratello di Sapore II
337/338 - Assedio di Nisibis da parte di Sapore II
337 - L'impero è diviso tra Costante (337-350) Costanzo II (337-361) e Costantino II (337-340)
344 o 348 - Battaglia di Singara, Costanzo II sconfitto dal re persiano Sapore II
351 - Battaglia di Mursa Maggiore, Costanzo II sconfigge l'usurpatore Magnenzio
353 - Battaglia di Mons Seleucus Sconfitta finale di Magnenzio da parte di Costanzo II
356 - Battaglia di Reims, il cesare Giuliano è sconfitto dagli Alemanni
357 - Battaglia di Strasburgo Giuliano espelle gli Alemanni dalla Valle del Reno
359 - Battaglia di Amida, i Sasanidi catturano Amida dai Romani
360-363 - Giuliano l'apostata è imperatore
363 - Battaglia di Ctesifonte, l'imperatore Giuliano sconfigge Sapore II
361 - Assedio di Aquileia, Flavio Claudio Giuliano assedia la città, anche dopo la morte di Costanzo II
363-364 - Gioviano è imperatore
363 - Battaglia di Maranga, l'imperatore Giuliano è ucciso nella battaglia contro i Persiani
364-392 - Dinastia Valentiniana
366 - Battaglia di Thyatira, l'imperatore Valente sconfigge Procopio
368 - Battaglia di Solicinium, i Romani di Valentiniano I sconfiggono un'altra incursione alemanna
377 - Battaglia dei Salici, romani combattono una inconcludente battaglia contro i Visigoti di Fritigerno
378 - Battaglia di Argentovaria, l'imperatore d'Occidente Graziano è vittorioso sugli Alemanni
378 - Battaglia di Adrianopoli, i Visigoti di Fritigerno sconfiggono e uccidono l'imperatore d'Oriente Valente
379-395 - Teodosio I è imperatore
380 - Battaglia di Tessalonica, i Goti sconfiggono di nuovo i Romani, comandati da Teodosio
388 - Assedio di Aquileia, Teodosio I vi assediò e sconfisse Magno Massimo
388 - Battaglia della Sava, Teodosio I sconfigge l'usurpatore Magno Massimo
394 - Battaglia del Frigidus Teodosio I sconfigge e uccide l'usurpatore Flavio Eugenio
395 - Morte di Teodosio e divisione dell'impero romano


V SECOLO D.C.

401 - Assedio di Aquileia Aquileia venne assediata e occupata dalle armate di Alarico.
402 - Battaglia di Pollenzo Stilicone riporta una vittoria importante sui Visigoti di Alarico
403 - Battaglia di Verona Stilicone sconfigge nuovamente Alarico, che si ritira dall'Italia
406 - Battaglia di Fiesole Stilicone annienta i Goti di Radagaiso
406 - Battaglia di Magonza Franchi foed. Impero rom. d'Occ. e coalizione Vandali Suebi Alani
408-450 - Teodosio II è imperatore d'oriente
410 - I Goti di Alarico saccheggiano Roma
419 - Battaglia Monti Nervasos Romani e Suebi vincono Vandali ed Alani, giunti nella penisola iberica
425 - Battaglia di Arles Il generale romano Ezio sconfigge i Visigoti di Teodorico I
432 - Battaglia di Ravenna Il generale romano Ezio sconfigge il suo rivale Bonifacio, che è ucciso
436 - Battaglia di Narbona Ezio sconfigge nuovamente i Visigoti di Teodorico I
447 - Battaglia dell'Utus Attila l'Unno è sconfitto dalle truppe dell'Impero romano d'Oriente
451 - Battaglia dei Campi Catalaunici, il re visigoto Teodorico I e i Romani di Ezio respingono Attila l'Unno
452 - Papa Leone Magno arresta la marcia di Attila su Roma
453 - Assedio di Aquileia La città di Aquileia fu assediata e distrutta dalle orde degli Unni di Attila
455 - I Vandali di Genserico saccheggiano Roma
463 - Battaglia di Orleans, Gallo-Romani e Franchi Salii di Egidio vincono i Visigoti
476 - Battaglia di Piacenza Odoacre sconfigge il magister militum Oreste, Ravenna si arrende
476 -  Il 4 settembre Odoacre depone Romolo Augusto, fine dell'Impero Romano d'Occidente

LEGIO IV SCYTHICA

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MARCO ANTONIO

La Legio IIII Scythica fu una legione romana arruolata da Marco Antonio nel 42 a.c. circa, per le sue campagne contro l'Impero dei Parti, anche noto come Impero arsacide, una delle maggiori potenze politiche e culturali dell'antica Persia, da cui deriva l'altro cognomen della legione, Parthica. La legione era ancora in servizio in Siria agli inizi del V sec., e Il simbolo della legione era un capricorno.

Non si sa dove fosse dislocata di preciso la IIII Scythica nei suoi primi anni, Il cognomen indica che sia stata largamente impiegata e pure con successo contro la popolazione indoeuropea degli Sciti, le tribù nomadi che vivevano ai confini della città romana di Olbia, ma occasionalmente scendevano a sud tentando di attraversare il Danubio. Sappiamo che la IV scitica e la V legione riportarono una vittoria su di essi; ma non conosciamo la data di questa vittoria.



AUGUSTO

Dopo la battaglia di Azio ed il suicidio di Antonio, Ottaviano la trasferì nella provincia danubiana della Mesia. La legione ebbe così compiti civili, come la costruzione ed il mantenimento delle strade. Durante la sua giovinezza, il futuro imperatore Vespasiano prestò servizio nella legione.

Da allora la legione fu a servizio in Mesia, la regione del basso Danubio. Sembra che il cognomen Scythica si attesti sotto il regno di Augusto, in cui combatterono pesantemente nel 29-27. 

Il comandante romano Marco Licinio Crasso divenne famoso per aver ucciso in combattimenti il capo dei suoi nemici. Probabilmente la legione stanziò a Viminacium in Serbia.

Tra l'anno 6 e il 9, la IIII Scythica partecipò alle guerre del giovane Tiberio contro gli Illiri e i Pannoni sul Medio Danubio. Ma non solo combatterono. Molte iscrizioni in pietra provano la costruzione in pietra di strade e di altri lavori di ingegneria nell'area del Danubio per lo sviluppo della nuova area conquistata.
Di solito la IIII Scythica si univa con la V Macedonica.

Sembra che la IIII Legio Scythica stazionasse a Viminacium durante la I metà del regno di Augusto e infatti l'area apparve pacificata negli anni 12/11. Dovette stanziare qui ma per breve tempo anche la Legio IV Flavia Felix, che prese poi parte alla guerra di Domiziano contro i Daci dopo l'86. 




NERONE

In oriente, il re Vologese I, re dei Parti, aveva invaso nel 58 l'Armenia, un regno eurasiatico del Caucaso meridionale dove regnava Tigrane II, alleato di Roma, e vi aveva messo il partico Tiridate al suo posto.

A Lucio Cesennio Peto, nuovo legato della Cappadocia, fu ordinato di attaccare i Parti con le legioni IIII Scythica e XII Fulminata, oltre a vessillazioni della V Macedonica. 

Peto mosse nel 62 verso l'Armenia, ma Vologase si mosse contro Peto e lo respinse fino a Rhandeia. L'esercito di Peto vennero bersagliati dagli arcieri nemici, e l'esercito partico accampato fuori gli impediva le sortite.

VESSILLO DELLA LEGIONE
Chiese allora una tregua a Vologase, promettendo in cambio di abbandonare l'Armenia e di far riconoscere Tiridate da Nerone. Pessima mossa che Vologase accettò volentieri, essendo in procinto di ritirarsi a sua volta per mancanza di rifornimenti. Come vincitore, Vologase fece costruire ai soldati romani un ponte, e si allontanò.

Peto fu destituito e le legioni, disonorate, furono allontanate e inviate a Zeugma, che sarebbe rimasta il campo base della IIII Scythica per il secolo successivo. Nerone ordinò quindi a Gneo Domizio Corbulo, da poco legato della Cappadocia, di occuparsi della questione. Corbulo richiamò la IIII Scythica dalla Mesia, ed insieme alla III Gallica e alla VI Ferrata sconfisse i Parti e riportò Tigrane II sul trono d'Armenia.

Durante la guerra civile dell'anno 69, dopo il suicidio di Nerone, la legione IV Scita si schierò con il suo ex ufficiale Vespasiano, che però non agì in questa guerra, perché le sue doti di combattimento non erano apprezzate dagli alti comandi romani. La legione era praticamente disonorata perchè tre anni prima, i soldati di IIII Scythica e VI Ferrata erano stati sconfitti, insieme con la forza principale della XII Fulminata, nel tentativo di reprimere la rivolta ebraica. Tuttavia, nel 70, la legione venne usata per sopprimere un pogrom in Antiochia.

Tra gli ufficiali coinvolti sembra ci fosse il famoso e coltissimo Celso della IIII Scythica: Tiberio Giulio Celso Polemaeanus, a cui venne dedicata la splendida biblioteca di Efeso. La legione stessa venne poi impiegata per costruire un canale a Seleucia.



VESPASIANO

Nel 69, durante l'anno dei quattro imperatori, la legione, insieme alle altre legioni orientali, sostenne Vespasiano sin dall'inizio. Ma nonostante la fedeltà dimostrata, la IIII Scythica non fu mai impiegata nei combattimenti perché non era considerata una legione di alta qualità. 

Questa fu una conseguenza di un'altra sconfitta subita anni prima durante la rivolta degli ebrei.

Nel II sec. la legione contribuì a soffocare un'altra rivolta degli ebrei, stavolta con successo e questo in parte la riabilitò.

INSEGNE DELLA IIII SCYTHICA
Poiché Zeugma era al confine tra l'impero romano e l'impero dei Parti, sicuramente la IIII legio partecipò a tutte le guerre tra i due stati: per esempio, quella di Traiano nel 114-117 e quella di Lucio Veto tra il 161 e 166, che culminò nel sacco della capitale partica Ctesifonte (Ctesiphon).

Tra il 181 e il 183, il comandante della IIII Scythica era il futuro imperatore Lucio Settimio Severo (193-211), che usò la IIII legione durante la campagna contro i Parti nel 194. Nel 197-198, la legione scita partecipò alla II Guerra Partica di Severo. Ancora una volta, i soldati della IIII saccheggiarono Ctesifonte. Questa volta, l'impero dei Parti non si riprese dal colpo. Nell'arco di una generazione, esso venne rimpiazzato dal potente regno dei Sasanidi persiani.

Tra il 132 e il 136, subunità di questa legione combatterono contro gli ebrei quando si ribellarono sotto Simon ben Kosiba (un Messia riconosciuto dagli ebrei al pari di Cristo) (132 - 135).



SETTIMIO SEVERO

Tra il 181 ed il 183, il comandante delle legioni orientali fu Settimio Severo, che divenne imperatore proprio confidando nel potere delle sue legioni.



CARACALLA

Probabilmente, IIII Scythica venne in qualche modo coinvolta nella campagna orientale di Caracalla, morto a Harran (nel 217) e deve aver attraversato Zeugma.



ELIOGABALO

La legione scompare dalle fonti dopo il 219, quando il comandante, Gellio Massimo, si ribellò a Eliogabalo. Gellio era un membro del Senato romano e aveva servito come ufficiale nella Legio IIII Scythica in Siria. 

In occasione di alcune sommosse durante l'impero di Eliogabalo, Gelio si proclamò imperatore, ma fu rapidamente sconfitto e giustiziato. 



ALESSANDRO SEVERO

Una storia non comprovata suggerisce che la legione abbia preso parte alla guerra condotta da Alessandro Severo contro i Sasanidi. Questi avevano invaso l'impero romano nel 230 e aveva installato un imperatore in Emessa, ma Alessandro fu in grado di ristabilire l'ordine e invadere la Mesopotamia. 



FILIPPO L'ARABO

Nel 244 i Romani invasero di nuovo l'Iraq, ma il loro imperatore Gordiano III morì e gli succedette da Philippus arabi, che doveva il suo trono al re sasanide Shapur I. 



VALERIANO

SU UN LATO OTACILIA MOGLIE DI FILIPPO
L'ARABO, SULL'ALTRA UN TEMPIO A ZEUGMA
COL CAPRICORNO DELLA IIII SCYTHICA
Ancora peggio doveva ancora venire. In 256 Shapur catturato Satala (la fortezza della XV Apollinare), e due anni dopo saccheggiò Trapezus.

Quando l'imperatore romano Valeriano cercò di ristabilire l'ordine e invase la Mesopotamia, fu sconfitto e catturato. Ai soldati romani in cattività fu ordinato di costruire un ponte sul moderno Shushtar. Queste sconfitte romane sono commemorate su diversi monumenti sasanidi.

 

DIOCLEZIANO

Tuttavia, sotto l'imperatori Odenato di Palmyra (261-267) e Diocleziano (284-305), i Romani restaurarono le loro fortune e nel 298, un trattato di pace è stato concluso in cui i Persiani dovettero abbandonare i territori nel nord della Mesopotamia. 

La IV legione scita deve aver giocato un ruolo in queste campagne, anche se non abbiamo quasi nessuna informazione su esse.

Nei primi del V sec., secondo la Notitia Dignitatum, la IIII Scythica si trovava ancora in Siria, accampata a Sura. In quel momento, la IIII legione scita era ancora parte dell'esercito di Siria, anche se non era più a Zeugma. 

Il trasferimento ad un altro (ancora non identificata) base è di solito attribuita all'imperatore Diocleziano.


SALONICCO - TESSALONICA (Grecia)

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MURA DI TESSALONICA

LA STORIA

Tessalonica (o Thessaloniki in lingua locale antica, o Salonicco nella denominazione moderna) venne fondata nel 315 a.c. da Cassandro I (350 – 297 a.c), Re dei Macedoni, nelle vicinanze o sul luogo dove sorgeva l'antica città di Therma (VII sec.a.c.) e diversi altri villaggi. Therma a sua volta era una città greca fondata dagli Eretriani o dai Corinti alla fine del VII sec. a.c.

Pur essendo una cittadina paludosa e malsana, a quel tempo il porto della precedente capitale macedone, Pella, aveva cominciato a insabbiarsi, quindi Cassandro approfittò delle acque profonde del porto a nord-ovest di Therma per espandere il villaggio.

Cassandro, assassino della moglie e dei figli di Alessandro Magno, le diede il nome di sua moglie Tessalonica, che era anche sorellastra di Alessandro Magno. Ella era stata così chiamata dal padre, Filippo II di Macedonia, per commemorare la sua nascita nel giorno in cui egli ottenne una vittoria sui Tessali.

BAGNI NELL'AGORA'
La regione di Migdonia, di cui prima Therma, poi Tessalonica, facevano parte, era già stata conquistata in precedenza da Filippo II di Macedonia, padre di Alessandro Magno, ed era separata amministrativamente dal Regno di Macedonia. 

Sembra che in realtà la fondazione della città avvenisse gradualmente attraverso l'unione di ben 26 villaggi di differente status: si trattava delle città greche di Enea, Dikaia, quelle dell'entroterra del golfo Termaico, Kalindoia ad est, oltre a Rhamioi, Paraipioi, Eugeis Kisseitai, Osbaioi, Prasilioi, forse Ardrolioi, Therma, Ole, Altos Perdylos, Gareskos, Nibas, quelle occidentali del golfo come Sindos Chalastra. Questi villaggi rurali entrarono così a far parte della metropoli.


Quinto Cecilio Metello

Al termine della guerra condotta da Roma contro Antioco III, re dell'Impero seleucide, il console Quinto Cecilio Metello (250 - 175) fu inviato in Macedonia come ambasciatore, nella città di Tessalonica nel 189 a.c.

L'anno successivo, dopo che Cecilio e gli altri ambasciatori romani avevano lasciato la Grecia e avevano riferito al Senato cosa avevano concluso in Macedonia e nel Peloponneso, gli ambasciatori macedoni raggiunsero Roma per riferire degli accordi presi. 

Erano i legati di Filippo V di Macedonia ed Eumene II di Pergamo, oltre agli esuli di Aenus e Maronia. Il Senato, ascoltato i due re, inviò nuovi ambasciatori a Filippo per verificare che avesse mantenuto i patti, cioè l'evacuazione delle città della Tessaglia e della Perrebia, con tutte le guarnigioni macedoni da Aenus e Maronea, e tutti i presidi lungo la costa del mare di Tracia.

AGORA' CRIPTOPORTICO

Lucio Emilio Paolo Macedonico

Nel 168 a.c. il console romano Lucio Emilio Paolo Macedonico (229 - 160), succeduto a Cecilio in Grecia, sconfisse le armate macedoni di Perseo di Macedonia a Pydna al termine della III guerra macedonica.

Nel 148, Andrisco, spacciandosi per figlio di Perseo, aveva fatto insorgere la Macedonia e Lucio Emilio lo sconfisse, poi, dopo aver inutilmente tentato di placare la lega achea, nel 146 mosse contro lo stratego Critolao e lo sconfisse; ricuperò tutta la Grecia centrale ed entrò anche in Megara. Rientrato a Roma nel 146 ottenne il trionfo.

Perseo fu così costretto a ritirarsi verso est, ordinando l'incendio della flotta macedone per evitare che fosse catturata da parte dei Romani. Questa flotta si trovava nel porto di Tessalonica, dove era presente anche un arsenale ed una guarnigione di 2.000 armati di fanteria leggera.

Due giorni dopo, le truppe romane entrarono a Tessalonica e saccheggiarono la città per diversi giorni. Perseo frattanto si era rifugiato a Samotracia. Dopo la caduta del regno di Macedonia, nel 146 a.c., Tessalonica entrò così a far parte dell'Impero romano. Divenne un importante centro commerciale sulla Via Egnatia, una strada romana che collegava Bisanzio  con Durrachium (Durazzo, in Albania).

Nel 145 a.c. il territorio macedone fu diviso in quattro contee completamente autonome, con Tessalonica capitale del secondo distretto, con una sua autonomia, ma sotto tutela romana, e venne governata da un pretore.

Qui fu inoltre aperta una zecca. Le prime monete vennero coniate a partire dalla fine della III guerra macedonica vinta dai romani, vale a dire dal 167-8 a.c..

ALESSANDRO MAGNO

LA PROVINCIA ROMANA

SAN LEONE
 Tutti e quattro i distretti andarono poi a costituire una sorta di protettorato romano, fino a quando nel 146 a.c., Roma non decise di annettere i loro territori, creando la provincia romana di Macedonia.

Tessalonica entrò a far parte del mondo romano come importante centro commerciale lungo la Via Ignazia,  una via di comunicazione costruita nel 146 a.c. su ordine di Gaio Ignazio, Proconsole di Macedonia, da cui prese il nome.

Con tale opera gli antichi romani realizzarono, a partire dalla II metà del II sec. a.c., un'arteria di comunicazione est-ovest tra il basso Adriatico e l'Egeo settentrionale, una specie di autostrada.

Tessalonica divenne rapidamente un importante centro commerciale, con una posizione migliore rispetto alla capitale macedone Pella.
Secondo quanto ci racconta Strabone, Tessalonica divenne la città più popolosa della Macedonia, .


Ottaviano

Nel 42 a.c., per essersi schierata a fianco di Ottaviano e Marco Antonio contro Cassio e Bruto, fu dai primi dichiarata 'città libera', col suo dèmos, la sua bulè e con magistrati propri (i politarchi), in cambio di una ulteriore completa fedeltà.

STATUA DI OTTAVIANO (museo di Tessalonica)
Salonicco ottenne un santo patrono, san Demetrio di Tessalonica, nel 306. Secondo alcuni era un diacono, per altri  un proconsole romano di Grecia sotto l'imperatore Massimiano, e venne martirizzato a Sirmium, in Serbia.

In realtà si hanno molti dubbi sulla sua reale esistenza, anche perchè venne trafitto dalle lance sui fianchi, ma una fine così poco decorosa non si infliggeva a un cittadino romano.

Specie ad uno come lui, romano e di alto lignaggio, si offriva la possibilità del suicidio. In caso si fosse rifiutato sarebbe poi stato strangolato, ma non ci si sarebbe macchiati del suo sangue.

Quando l'Impero romano venne diviso in orientale e occidentale, governate rispettivamente da Bisanzio/Costantinopoli e Roma, Salonicco fece parte dell'Impero bizantino, e la sua importanza fu seconda solo a Costantinopoli.

Nel 390, dopo una rivolta contro l'imperatore Teodosio I, tra i 7.000 e i 15.000 cittadini di Salonicco vennero uccisi per vendetta
nell'ippodromo. Un atto per cui Teodosio si guadagnò una scomunica, ma solo temporanea.



I RESTI

Poco rimane dei monumenti della città ellenistica: gli scavi in piazza Diikitiriou hanno portato alla luce un grande edificio del III secolo a.c.che sembra essere un edificio pubblico, forse una residenza reale macedone. Sembra infatti che spesso la corte macedone frequentasse la città.

VIA EGNATIA
All'altro capo della città moderna (in zona sud-est, presso via S.Gregorio Palamas, vicino a Piazza Navarino), è stata scoperta una grande stoa ellenistica, collegata con il porto, mentre l'agorà doveva essere al centro della città.

Gli scavi del palazzo imperiale di Galerio hanno rivelato una occupazione precedente in età ellenistica, mentre un distretto artigianale era forse collegato al primo porto della città.

Tra i monumenti di derivazione ellenistica sono da annoverare tutti i templi di cultura egizia. Il culto di Osiris e delle principali divinità egizie di Serapide, Iside e Anubis, furono introdotte probabilmente a Tessalonica attraverso i commerci con l'Oriente, provenienti dal porto macedone di Alessandria d'Egitto a partire dalla fine del IV sec. a.c., come testimonia l'iscrizione di Sarapeion.
L'AGORA'
Fuori dall'abitato sono state localizzate alcune tombe monumentali macedoni soprattutto nel distretto di Neapolis, nella zona periferica dell'attuale Salonicco, in località Charilaou Phinikia. La più grande area sepolcrale di quel periodo, utilizzata anche durante tutta la storia successiva della città, si trovava lungo le mura orientali, nei pressi dell'attuale Fiera Internazionale. 
Tutte queste necropoli hanno fornito un ricchissimo materiale di epigrafia funeraria macedone. Altri monumenti della città ellenistica sono noti solo attraverso le fonti letterarie, senza però che l'archeologia moderna abbia finora contribuito a individuarne o confermarne l'esistenza.

Tito Livio, ad esempio riferisce dei cantieri navali dell'ultimo re macedone, Perseo, a Tessalonica, prima di cadere nelle mani dei romani; oppure Diodoro Siculo allude ad un grande cortile con i portici nel suo racconto della rivolta di Andrisco.

ARCO DI GALERIO

ARCO DI GALERIO

Il magnifico arco venne costruito dopo il 297 per celebrarne il trionfo di Galerio contro il re persiano Narsete, l'imperatore sasanide, per celebrare le campagne vittoriose in Persia, Mesopotamia e Armenia. L'arco è oltremodo monumentale e appesantito da una miriade di scene che illustrano ed esaltano il viaggio e l'avventura dell'imperatore romano fino al suo trionfo. 
Perchè per l'appunto si tratta di un arco di trionfo che, ispirandosi alla colonna traiana vuole far conoscere come in una storia tutte le vicende della guerra vinta da Galerio, ma senza l'eleganza della famosa colonna romana.
Purtuttavia l'arco è un'opera colossale e spettacolare, con scene tratte dalla guerra di Galerio contro i Persiani, con fregi animali e vegetali che separano le scene scolpite sull'arco. Come Diocleziano, anche Galerio si servì di maestranze orientali.


  1. fallito assedio dei romani
  2. cattura dell'Harem persiano
  3. osservatori persiani lungo il Tigri
  4. pannello levigato
  5. battaglia tra romani e persiani
  6. prigionieri persiani
  7. accoglienza dell'imperatore
  8. pannello levigato
  9. avanzata romana della cavalleria
  10. sottomissione dei prigionieri all'imperatore
  11. personificazione della città
  12. pannello levigato
  13. dromedarii
  14. pannello levigato
  15. adlocutio
  16. ambasciatori alleati dei Persiani da Galerio
  17. lustratio di Diocleziano/Galerio
  18. ambasciatori persiani con doni per i romani
  19. Adventus Augusti (ingresso cerimoniale in città, che comportava riti e magari la costruzione di un arco)
  20. vittoria trionfale
  21. tetrarchi (rappresentati identici come metafora della concordia e la "fratellanza" tra i 4 )
  22. la Dea Vittoria
  23. Galerio in Armenia su quadriga trainata da elefanti
  24. battaglia
  25. prigionieri persiani in Antiochia
  26. Roma e Vittoria
  27. Marte, Virtus e trofei
  28. pannello levigato 

COLONNA SUD

Arrivo di Galerio in una delle città orientali
Galerio visita Eriza, presso il tempio della dea Anahit (a destra presso un cipresso). A sinistra le porte della città, con l'entrata su un carro a due ruote trainato da cavalli, con le guardie del corpo che tengono lance e bandiere. I cittadini con striscioni e fiori salutano l'Imperatore.

L'onore del conquistatore d'Oriente
A Galerio è indicata la giusta strada, seduto su una pietra cilindrica, con uno scettro. La dea Vittoria gli tiene la corona. Torna verso la porta su un carro trainato da quattro elefanti, dietro i suoi doni. Una guerriera sul carro con lancia e scudo simboleggia la gloria militare, e gli elefanti la vittoria in Oriente.

Galerio riceve l'ambasciata persiana
Il re persiano Narsete, sconfitto da Galerio, invia un'ambasciata, guidato dal suo amico Afarvan. A destra Galerio è circondato da soldati, tra cui un oplita, con Ercole sullo scudo. Al centro cinque persiani in ginocchio, che tendono le mani in supplica. Poi due Amazzoni, e i membri della famiglia del re persiano (quattro donne con mantelle sulla testa e un bambino).


Sacrificio
I due tetrarchi, Galerio e Diocleziano, in piedi ai lati della dell'altare con le offerte. Ai due lati dell'altare i bassorilievi di Zeus e Ercole. Poi gli abitanti della città e le immagini allegoriche dell'Armenia e Mesopotamia, come due donne conquistate.


COLONNA NORD

Battaglia sul fiume 
La battaglia di Galerio sul fiume rappresentato da una figura a toso nudo. Galerio a cavallo con alcuni cavalieri daci, colpisce il nemico con una lancia. In mezzo ai soldati i futuri Cesari, Costantino I e Licinio. A terra i nemici morti e feriti su entrambi i lati, poi le dee Vittoria e Artemide. A destra un carro con quattro elefanti.

Uscita dei prigionieri dalla città
La città sasanide con due torri ed una porta. A sinistra tre anziani uomini barbuti, pronti ad obbedire all'imperatore. Al centro dello sfondo, oltre un cancello, donne catturate con i loro cammelli.

Galerio accolto con benevolenza dai nemici
L'imperatore è al centro, in toga, seduto sul carro trainato da quattro cavalli, accompagnato da cavalieri in tunica e elmo. Di fronte alla processione, due figli di schiavi. Viene dato all'imperatore il benvenuto da alcune donne.

Misericordia dell'Imperatore
Gli Augusti seduti, circondati dai Cesari. A sinistra un gruppo di prigionieri, due dei quali hanno il culto dell'imperatore. E' la compassione ed il perdono da parte del vincitore romano al sasanide sconfitto.

Prigioniere sasanidi
Un gruppo di prigionieri, donne con tuniche. Uno di loro tiene un fiore, un altro un lungo scettro. Il resto è andato perduto.



IL PALAZZO IMPERIALE
La storia

Il palazzo imperiale romano venne costruito al tempo del Cesare Galerio (250 - 311) ma terminato verso il 298, quando fece di Tessalonica la seconda capitale dell'Illirico insieme a Sirmium.

Con l'instaurazione del governo tetrarchico voluto da Diocleziano, a partire dal 298/299 circa, il Cesare per l'Oriente, Galerio, che aveva inizialmente scelto come sua capitale Sirmium, decise di utilizzare anche Tessalonica quale sua seconda sede, vista la sua favorevole posizione sul mare Egeo.

Altrettanto aveva fatto in Occidente Massimiano, scegliendo sia Mediolanum, sia Aquileia sul mare come capitali. Galerio decise così di abbellire la città con vari monumenti a partire dall'arco trionfale, fatto costruire nel 299, in seguito ai successi ottenuti contro i Sasanidi degli anni 293-298. Egli aggiunse infine alla città una nuova zecca imperiale.

Galerio vi stabilì così la sua residenza imperiale a partire dal 299, prima come Cesare poi come Augusto dal 308/309. fino alla sua morte nel 311.

Descrizione

Il palazzo imperiale, da quel che si presume sia dagli scavi che dalle fonti, risiedeva nella parte sud-est dell'antica città, adiacente al circus (ad est), all'arco di Galerio (a nord) ed alla tomba di Galerio (sempre a nord dell'area archeologica del palazzo). Infatti le sue potenti mura sono state rinvenute nei pressi della Piazza Navarinou.

ISIDE
La pianta del palazzo venne recuperata tra costruzioni residenziali moderne. E' stata riconosciuta una struttura ottagonale al centro di una struttura quadrangolare con ambienti comunicanti alla prima.

In ogni lato dell'ottagono vi era una nicchia, sicuramente con statue all'origine, salvo in quella, più stretta delle altre, dove era presente la porta d'ingresso alla struttura, ai cui lati vi erano poi due scale per accedere al piano superiore.

A copertura della struttura vi era una cupola, oggi crollata.

Il pavimento, inizialmente a mosaico, fu poi ricoperto da opus sectile in marmo. Le pareti erano anch'esse di marmo con capitelli scolpiti a forma di divinità pagane.

La sala ottagonale si collegava, a sud, con un vestibolo a due absidi, una a est e una a ovest, dove si rinvenne un frammento di arco con due ritratti clipeati di Galerio e di Tiche, la Dea Fortuna dell'Imperatore.

A nord della sala vi era invece un ampio cortile porticato, ornato di fontane e ninfei, su cui accedevano tre gruppi di ambienti appartenenti all'abitazione vera e propria dell'Imperatore.

Ad est della struttura vi era un lungo edificio con lesene interne, quattro vani e cisterne sotto il livello della base. 
Ancora più ad est, vi era una basilica a tre navate ed un'abside che comunicava con l'adiacente circo, dove l'imperatore poteva uscire indisturbato dal suo palazzo per recarsi al circo senza dover incontrare la folla.
Più a nord, il palazzo imperiale si collegava all'arco trionfale di Galerio ed al mausoleo, oggi chiesa di San Giorgio.

TOMBA DI GALERIO

TOMBA DI GALERIO

La tomba di Galerio è un mausoleo romano di forma circolare, trasformato in chiesa (la "rotonda di San Giorgio") sotto Teodosio I, forse in quanto imperatore pagano e avverso ai cristiani.

Costruita nel 300 da Galerio, essa nacque con una funzione su cui non tutti sono concordi, secondo alcuni come aula di rappresentanza e più precisamente come sala del trono, oppure come mausoleo di Galerio, seppure poi sepolto a Romuliana in Serbia, oppure di un tempio dedicato a Zeus.

Facendo parte del complesso delle strutture imperiali verrebbe da attribuire al mausoleo dell'imperatore, come spesso si usava all'epoca, un po' come la Villa di Massenzio a Roma.

La scelta di una pianta centrale è molto innovativa per l’architettura greca del tempo, ed è ispirata al Pantheon romano, eretto da Agrippa nel 27 d.c. e trasformato, agli inizi del VII secolo, in una chiesa cristiana.

Come nel Pantheon, l’ingresso della rotonda di Thessaloniki era preceduto da un protiro e il vano centrale era coperto da una cupola di 24 m di diametro, alla cui sommità era un oculo, esattamente come nel Pantheon.
INTERNO DELLA TOMBA
In occasione della realizzazione dei mosaici l’oculo venne poi occultato dalla costruzione di una volta a cupola togliendo non poco fascino e luce all'edificio.

Il paramento è a mattoni con filari alternati di pietre e cotto, secondo una tecnica che un secolo più tardi sarebbe stata utilizzata per le mura di Costantinopoli. L’interno comprendeva un alto registro con finestre centinate e otto vani rettangolari voltati a botte, con colonne architravate alternate a pilastri alleggeriti da nicchie frontonate contenenti statue.

Verso la fine del IV secolo, con Teodosio I, si procedette alla trasformazione della rotonda in cappella palatina. Intorno al 400 – 450, in occasione di tale trasformazione, fu aggiunta un’abside, fu accentuato il protiro e furono inserite delle tombe monumentali.

Gli otto vani, originariamente chiusi, furono aperti al fine di ottenere una sorta di deambulatorio circolare, costruito in calcestruzzo e rivestito di mattoni. Intorno al VII secolo la rotonda, in principio consacrata alla Potenza divina o agli Angeli, fu dedicata a san Giorgio.

L'edificio appartiene ad un nucleo che comprende il palazzo e l'ippodromo, come era accaduto a Spalato, Costantinopoli e Nicomedia. Come nel caso della colonna di Traiano, che accoglieva nel basamento le ceneri di Traiano, la tomba imperiale fu collocata eccezionalmente all'interno delle mura cittadine.

Ma se anche fu un mausoleo, non fu mai utilizzato perchè il corpo di Galerio, decomposto rapidamente a causa di una cancrena, fu interrato in Dacia.

INTERNO DELLA TOMBA
Con la conversione a chiesa l'interno a calotta centrale venne decorato con mosaici raffiguranti teste di Cristo e angeli, mentre il tamburo allude alla Gerusalemme celeste.

Alcune edicole sono parti absidali di altre chiese, con raffigurazioni di simboli e dogmi in discussione nei dibattiti teologici dell'epoca, tra cui una colomba coronata (Trinità, Dio e Impero), alcune pecore (i fedeli) e l'agnello sacrificato (Cristo).

La decorazione dell’interno era composta di rivestimenti marmorei e mosaici, solo in parte conservato. Il mosaico che adorna la cupola ha una datazione discussa tra la fine del IV, il V secolo e gli inizi del VI sec. 

MOSAICO DELLA TOMBA
Il mosaico della cupola era organizzato in tre fasce, alla cui sommità spiccava una Visione celestiale con fedeli acclamanti. A un primo medaglione con Cristo sorretto da quattro angeli alati, risponde una seconda banda, quasi del tutto perduta, della quale rimangono resti di un terreno erboso, tracce di vesti candide e di piedi posti in varie posizioni.

I frammenti riguardano un coro di circa ventiquattro figure. Si tratta di un corteo simile a quello degli apostoli del Battistero Neoniano di Ravenna, costruito nel V sec..

Il registro inferiore, quasi del tutto integro, conserva elementi geometrici zoomorfi e vegetali su un fondo aureo.

La fascia  misura circa 8 m ed è suddivisa in otto pannelli larghi 6 m.

Ognuno dei 7 pannelli rimasti è di qualità altissima e comprende due livelli di edicole coperte da cupolette o sormontate da frontoni con dei grandi fondali.

All’interno figure di santi oranti, avvolti in sontuosi manti. 
Le architetture erano popolate da tendaggi, da pavoni e da volatili cari al simbolismo cristiano.

Le figure di oranti, individuate da iscrizioni, inconsistenti e ieratiche, raffigurano martiri militari, privi di attributi di santità.

Alcuni volti sembrano ispirarsi ai ritratti antichi piuttosto aderenti all'originale, altri alla geometrizzazione bizantina spersonalizzata.

Sulla cupola, il mosaico di San Giorgio ha come tema la venuta di Cristo il quale, con chiara allusione alla Gerusalemme celeste, è accolto e acclamato dalle figure delle sottostanti fasce.
E. Kitzinger la datò alla metà del V sec., quando fu convertita in chiesa cristiana, per l’illusionismo spaziale di matrice ellenistica, molto simile alla decorazione del Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna.

MOSAICO DELLA TOMBA
Sembrerebbe in effetti ellenistica la decorazione del soffitto a cupola a cerchi concentrici o bande, come pure la banda più esterna e bassa con una sorta di zoccolo o dado, con fregi e cornici fittizie.

Le ventiquattro figure del secondo registro, in diverse pose, alcune anche di spalle, erano in contatto con il Cristo trionfante del medaglione, sorretto da Angeli monumentali con tre elaborate cornici.

Sembra che la diversa natura dei tre registri sia studiata in senso simbolico.

Nella fascia illusionistica, la percezione dello sfondamento della parete era contraddetta dall’oro su oro degli edifici, diafani e immateriali, e dalle figure bidimensionali dei martiri oranti, gli atleti di Cristo immersi nei loro “palazzi celesti”.

Il terzo registro si presenta invece come muro chiuso e la superficie piana della parete era dominata dalle frontali figure di santi.

Il tutto in contrasto con la dinamicità e la spontaneità della banda immediatamente superiore, con lo sfondo verde chiaro e dalle e le varie pose dei ventiquattro Seniores.

In alto, nel medaglione, la figura di Cristo sorretto dagli angeli dava l’idea di uno spazio aperto, dettato dalla visione celestiale.

Secondo Kitzinger, il disegno globale della decorazione di San Giorgio “aveva radici nella tradizione del primo secolo a.c., dove la parte superiore del muro era elaborata in modo tale da suggerire l’idea di uno spazio aperto al di sopra di una zona chiusa con uno zoccolo fittizio”.



IL CIRCO

Il circo romano di Tessalonica venne collegato alla vicina residenza imperiale, facendo parte, anche col vicino mausoleo, dello stesso complesso architettonico, in pratica la corte. Spesso gli imperatori romani avevano un circo vicino alla loro reggia con un percorso privato riservato a lui e alla corte.

Il Circo venne posizionato nell'angolo sud-est della città di Tessalonica, ed era adiacente al palazzo imperiale dal lato dei suoi carceres.
Sembra che Galerio ne ordinasse la costruzione sulla base di un progetto tetrarchico del 299.

La struttura potrebbe pertanto essere stata iniziata nel 308/309, quando Galerio fece di Tessalonica la sua residenza imperiale negli ultimi anni ma venne completata soltanto da Costantino I, attorno al 322, quando Licinio dovette cedere a Costantino l'Illirico, prima che quest'ultimo diventasse l'unico padrone incontrastato dell'impero romano.

Il circo cominciò così ad essere utilizzato per tutto il IV e V sec., fino alla sua possibile "chiusura", avvenuta probabilmente attorno al 610 in seguito agli ennesimi disordini interni alla città. Si racconta infatti che l'Imperatore Teodosio, fece trucidare nel circo, tra i 7.000 ed i 15.000 cittadini, in seguito al quale, Teodosio I subì la scomunica da Ambrogio di Milano, il vescovo santo, da cui però fu in breve perdonato.

MUSEO DI TESSALONICA
Descrizione

L'arena misurava 400 m di lunghezza circa, poiché i carceres non sono stati ancora indagati, e 73-74 m di larghezza nella parte finale, semicircolare. La larghezza media delle gradinate della cavea è di 12 m. La capienza complessiva dell'intera struttura fu nell'ordine di alcune decine di migliaia di spettatori, regolandosi sugli altri circhi analoghi dell'epoca altri circhi di quell'epoca.

La prima campagna di scavi operò dal 1935 al 1939, alla profondità di 3-4 m, mentre alcune parti di gradinate del lato occidentale, sono poi state inglobate in moderne abitazioni.. Vi era poi un podio, presumiamo imperiale, la cui base fu indagata dal 1962 al 1968, alla profondità di 3 m.

La datazione della maggior parte delle costruzioni secondo le indagini archeologiche risalirebbe agli inizi del IV secolo. Del circo romano di Tessalonica si conservano sufficienti rilievi archeologici, sebbene non tutto il perimetro della costruzione sia stato ancora indagato.



IL TEATRO

Situato presso la Chiesa di San Demetrio il teatri di Tessalonica è costituito da una cavea a sei gradoni quasi totalmente conservata mentre manca totalmente la scena.

Il teatro non era scavato all'uso greco, nè si avvaleva di una naturale depressione del terreno, sempre all'uso greco, bensì si sopraelevava sul suolo circostante.

Dalla sommità della cavea si discendeva infatti nei corridoi degli androni per una quindicina di gradini.

Il teatro è edificato in paramenti in laterizi ricolmi di malta e ciottoli con l'usuale muro a sacco, Questo, insieme ai rivestimenti marmorei, ne fanno un teatro sicuramente romano, anche se probabilmente fu riedificato su un teatro greco più antico.

MONS QUIRINALIS - QUIRINALE

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I SETTE COLLI

Roma fu costruita sopra sette colli, la cui identificazione più antica riporta il Palatino, il Germalo. la propaggine del Palatino verso il Tevere, la Velia (verso l'Esquilino), il Fagutale, l'Oppio ed il Cispio (oggi tutti compresi nell'Esquilino) e la Subura (in direzione del Quirinale).

Con l'espansione di Roma l'urbanistica mutò ed ecco i sette colli riportati da Cicerone e Plutarco:
Aventino Campidoglio Celio Esquilino Palatino Quirinale Viminale.
Un'altra sella montuosa collegava le pendici del Campidoglio con quelle del Quirinale e venne asportata nel II sec. per edificare il complesso del Foro di Traiano: il mons che compare nell'iscrizione della Colonna di Traiano e di cui questa mostrerebbe l'altezza originaria, sembra riferito a questa altura. Invece ai tempi di Costantino i sette colli comprendevano il Vaticano ed il Gianicolo, ma non il Quirinale ed il Viminale.



MONS QUIRINALIS

Anticamente il Quirinale aveva contorni molto precisi, con pareti quasi a picco sulle valli intorno, unito solo a nord con il pianoro da cui si staccavano il Viminale e il Pincio.

Il Quirinale era un vero e proprio «colle» perchè i Romani, con tale termine indicavano non i rilievi isolati, che chiamavano "Montes", ma i gruppi di colline unite tra loro.

Il colle, molto diverso dall'attuale, era formato da quattro alture. Le vallate delle 4 alture avevano altezza diversa da oggi, Roma si estendeva a oltre 11 m  aldisotto di piazza Barberini, a 17 m aldisotto di via Nazionale e a 25 m sotto a via Quattro Fontane.

Ed ecco i quattro colli del Mons Quirinalis:


COLLIS LATIARIS

Si estendeva nella zona dell’attuale Villa Aldobrandini e dei Mercati di Traiano, posto a sud, vicino ai Fori Imperiali


COLLIS MUCIALIS o SANQUALIS

Era l’area compresa tra il Palazzo del Quirinale e la Villa Colonna.


COLLIS SALUTARIS o VIMINALIS

Era l'area dove sorge la chiesa di S. Andrea.


COLLIS QUIRINALIS o AGONENSIS

Era l'area dove sorge il Ministero delle Finanze.


SEPOLCRO DI L.PETO

un mausoleo circolare


HORTI SALLUSTIANI

i giardini e la villa di Sallustio


TERME DI DIOCLEZIANO

Ne resta la chiesa di S. Bernardino alle Terme, ricavata da una delle due sale circolari poste ai lati del recinto esterno delle "Terme di Diocleziano", mentre l'angolo occidentale delle Terme era costituito da una grande sala ottagonale tuttora conosciuta come il Planetario. Sul lato nord-est della piazza, sono ancora visibili i resti di una delle absidi che si aprivano nelle pareti del "caldarium", ora in gran parte scomparso. Un'altra di esse costituisce ora l'ingresso della chiesa di S.Maria degli Angeli, che occupa l'area centrale delle terme. L'esedra centrale, che serviva da cavea per assistere alle esercitazioni ginnastiche, è ripetuta nelle sue linee monumentali dal colonnato ricurvo dei palazzi situati ai lati di piazza Risorgimento.


CASA E TEMPIO DELLA GENS FLAVIA

tempio costruito da Domiziano


MITREO DI PALAZZO BARBERINI

uno dei mitrei meglio conservati di Roma


TEMPIO DI QUIRINO


TEMPIO DI VENERE ERYCINA


SEPOLCRO DEGLI SCIPIONI


STATUE DEI DIOSCURI

- Terme di Costantino
- Ara dell'incendio neroniano
- Palazzo Massimo alle Terme

VILLA ALDOBRANDINI

IL NOME

Il nome Quirinale deriva dagli originali abitanti del colle, i Sabini, detti Quiriti. Secondo alcuni però entrambi i termini derivano dalla parola sabina quiris, che significa “astato” (lanciere). Quirites o Curites furono i nomi alternativi usati in politica e in letteratura dagli stessi romani. Se tuttavia la parola Quirito può effettivamente derivare da "quiris", la parola Collis Quirinale deriva dagli abitanti Quiriti e non dalle lance.



I CONFINI

Il confine settentrionale della città di Roma in età repubblicana era sulle Mura Serviane, lungo la parte superiore delle pendici occidentali e settentrionali del Quirinale. La parte del Quirinale delle mura si estendevano dalla Porta Sanqualis al Campo Marzio e alla Porta Collina all'angolo nord-orientale delle mura.

Le Mura Aureliane estesero i confini del distretto più a est fino alle Porte Nomentana e la Salaria. L'accesso al colle Quirinale era dalla Porta Quirinalis, dalla Porta Salutaris e dalla Porta Sanqualis. La Porta Quirinalis era la più settentrionale, situata nei dintorni dell'odierna piazza Barberini, verso l'incrocio tra via delle Quattro Fontane e via dei Giardini. Il nome della porta deriva dal tempio del Dio Quirino che stava nei pressi.



QUIRINALE IN ERA MONARCHICA

Le tombe rinvenute in zona sono databili tra l’età del Ferro e il VII secolo a.c., indicano che qui ci furono insediamenti anteriori all'Urbe.

Al tempo di Romulo una tribù di sabini guidati da Tito Tazio occupò la sommità del Quirinale. Dopo il ratto delle sabine e la fine della guerra i due popoli si riunirono sotto i due re Romulo e Tito Tazio che governarono insieme.

VILLA COLONNA
Da qui in poi il Quirinale fece parte di Roma e l'intera sommità giacque tra il tradizionale pomerio e la città.

Il Quirinale venne compreso nella IV «tribù» urbana (Collina) nella divisione amministrativa di Servio Tullio (VI secolo a.c.)

Il reticolo viario della zona era costituito da una serie di strade comprese tra gli assi principali dell’Alta Semita, il cui percorso corrisponde alle attuali via del Quirinale e via XX Settembre, e del Vicus Longus, corrispondente in parte a via Nazionale.



QUIRINALE IN ERA IMPERIALE

Il Quirinale venne inserito nella VI  e pure nella VII Regione Augustea nel nuovo ordinamento augusteo nel 7 a.c.

All'epoca dell'impero romano il Quirinale era divenuto un quartiere popolato da case patrizie. Il colle vide la costruzione dell'ultimo dei grandi stabilimenti termali di Roma, le Terme di Costantino, fatte costruire da Massenzio ma poi ridenominate da Costantino nel 315 d.c.

Occupavano un'area irregolare piuttosto stretta ed allungata, oggi compresa tra la piazza del Quirinale e le vie XXIV Maggio, della Consulta e Nazionale, ottenuta con grandi lavori di sbancamento e di regolarizzazione del terreno in pendio. Danneggiate da un incendio, furono restaurate dal Prefetto Petronius Magnus Quadratianus nel 443, quando probabilmente vi furono collocati i gruppi equestri dei Dioscuri che oggi sono situati al centro di piazza del Quirinale.



LE DEMOLIZIONI

Durante il Medioevo sopra le antiche terme di Costantino fu eretto il Palazzo Rospigliosi Pallavicini, per cui oggi non resta traccia visibile delle Terme e gli ultimi resti furono demoliti al momento dell'apertura di via Nazionale.
Oltre ai Dioscuri, appartenevano alle Terme la statua di Costantino posta all'interno del portico della basilica di S.Giovanni in Laterano, nonchè le statue di Costantino e di suo figlio Costantino II poste sulla balaustra della Cordonata, e le due statue del Nilo e del Tevere che ornano la facciata di palazzo Senatorio.

Il colle venne abbandonato in epoca medioevale ma fu riscoperto nel Cinquecento, quando venne chiamato Monte Cavallo proprio per la presenza dei Dioscuri con i cavalli. Il punto più alto del colle è l'incrocio di via delle Quattro Fontane.

I DIOSCURI

I SANTUARI

Il Quirinale accoglieva diversi santuari, di cui alcuni antichissimi:


SANTUARIO DI SEMO SANCO

 (Semo Sancus Dius Fidius), divinità sabina, che presiedeva ai trattati e ai giuramenti. Il tempio, del V sec. a.c., si diceva fondato da Tito Tazio ed era situato presso la chiesa di S. Silvestro al Quirinale.


TEMPIO DI FLORA

Divinità osco-sabina, particolarmente venerata dalle prostitute.


TEMPIO DI DIANA PINCIANA 

Situato all'inizio del Vicus Longus ed edificato da Gneo Plancius circa nel 55 a.c.


SANTUARIO DELLA PUDICIZIA PLEBEA

Sempre sul Vicus Longus


SANTUARIO DELLA FORTUNA EUELPIS

Sempre sul Vicus Longus


SANTUARIO DI SPES

Sempre sul Vicus Longus


SANTUARIO DI FEBRIS

Sempre sul Vicus Longus


TRE TEMPLI DELLA DEA FORTUNA

Eretti vicino a Porta Collina.


TEMPIO DI VENERE ERYCINA

Posto oltre la porta Collina, dedicato nel 215 a.c.


TEMPIO DI ERCOLE

Posto oltre la porta Collina


TEMPIO DI MARTE

Posto oltre la porta Collina e fatto erigere da Augusto.


CAPITOLIUM VETUS

Vi era poi il «Capitolium Vetus» (presso il Ministero delle Finanze), considerato il più antico del santuario Capitolino, che si ergeva accanto accanto al Tempio Quirino. Il tempio era dedicato alla triade Giove, Giunone e Minerva, che fu adorata prima qui e solo successivamente sul colle Campidoglio. Il colle Quirinale raggiunge la sua altezza massima di 57 m nel quadrivio della via delle Quattro fontane.


TEMPIO QUIRINO

Presso la via delle Quattro Fontane sul collis Quirinalis nel 290 a..c. fu eretto dal console Lucio Papirio Cursore per celebrare la vittoria della III guerra sannitica, una divinità sabina, che diede il nome anche al colle, "Cures" era il nome della città dei Sabini, da qui Dio Quirinus, forse divinità unitaria delle Cures ovvero delle città sabine, fino ad arrivare al termine Quirinalis.
E' stato recentemente scoperto che il tempio giace invece sotto Palazzo Barberini.


TEMPIO SALUS

Nell’area del palazzo del Quirinale si trovava il tempio della Dea Salus, fine IV secolo a.c.


TEMPIO GENS FLAVIA

L'Imperatore Domiziano fece erigere nella sua residenza al Quirinale, presso la casa dove era nato, il Tempio della Gens Flavia, vicino alla chiesa di S. Susanna. Il tempio era formato da un mausoleo dove erano sepolti i membri della famiglia imperiale e da un tempio, circondati da un recinto sacro. La collocazione del tempio è incerta, anche perchè in zona non sono stati mai fatti scavi approfonditi.


TEMPIO DI SERAPIDE

Durante il regno di Caracalla, inizio III sec., sul versante occidentale del colle viene realizzato l’enorme tempio di Serapide, i cui resti si vedono ancora nei giardini di Villa Colonna. Il tempio più importante del colle Quirinale fu questo tempio fatto edificare da Caracalla, i cui resti sono visibili tra palazzo Colonna e l'Università Gregoriana, tra via della Pilotta e piazza del Quirinale.
Il tempio si sviluppava su un'area di 138 m x 98, purtroppo alla fine del IV sec. con la decadenza dei culti pagani, il colle Quirinale divenne una cava di marmi per i Papi, e così dopo i Barbari si continuò la distruzione dei reperti storici di Roma.
Il Serapeo era decorato da colonne con statue e obelischi, con le statue del Nilo e del Tevere che Michelangelo collocò nella piazza del Campidoglio.


IPOGEO DI VIA LIVENZA

Un ninfeo o un tempio misterico.



EDIFICI CIVILI


CASTRA PRETORIA


IPOGEO DI VIA LIVENZA
Tiberio, al di fuori delle mura serviane fece erigere i Castra Praetoria, che erano le caserme per i pretoriani, che erano il principale corpo della guardia imperiale, istituito da augusto tra il 29 e il 20 a.c.


LE DOMUS

Numerose le abitazioni, soprattutto ricche domus che già a partire dalla fine dell’età repubblicana occupano le  parti più elevate della regione. Tra le case di maggior prestigio possiamo indicare quelle di:
- Tito Pomponio Attico, amico ed editore di Cicerone,
- Flavio Sabino, fratello maggiore di Vespasiano,
- Cicerone, 
- Marziale, 
- Vespasiano. 

Le vie del colle Quirinale caratterizzate da varie pendenze, e saliscendi, erano il Vicus Patricius e il Vicus Longus che più o meno corrispondono alla attuale via Nazionale, l'Alta Semita e altre vie più piccole. 


TORRE DELLE MILIZIE

La Torre delle Milizie, si trova dietro la chiesa di Santa Caterina a Magnanapolis, vicino Largo Magnanapoli, probabilmente fu eretta dai Bizantini, dietro i Mercati Traianei, La Torre delle Milizie fu a lungo parte del convento delle monache di Santa Caterina a Magnanapolis, ma dal 1929 è stata annessa ai Mercati di Traiano.


MONUMENTO DEI DIOSCURI

Al Fontana si deve anche la sistemazione della piazza antistante al Palazzo del Quirinale, con il restauro delle statue dei Dioscuri, che fin dall'antichità erano situate sul Quirinale, ed erano tradizionalmente attribuite a Fidia e Prassitele, fin dall'erezione della prima fontana e per via del gruppo scultoreo derivò il toponimo del colle Quirinale anche come "Monte Cavallo", che ne designava la sua sommità.


TERME DI COSTANTINO

fatte costruire da Costantino nel 315 d.c. I resti in alzato delle terme furono distrutti nel '600 con la costruzione di Palazzo Rospigliosi, nel '700 per il Palazzo della Consulta, e nel 1877 con l'apertura di via Nazionale

ZEUGMA (Turchia)

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LA DEA DI ZEUGMA

Zeugma fu una città fondata intorno all'anno 300 a.c. da Seleuco Nicatore (358 - 281 a.c.), generale di Alessandro Magno, sulla riva destra dell'Eufrate, in una posizione che ora fa parte della provincia di Gaziantep, in Turchia.


Epoca seleucide

In virtù dell'importanza strategica e commerciale, nel corso della storia la città è passata di mano numerose volte. Venne prima conquistata dai Romani, poi dai Persiani, dai crociati e infine dagli arabi.

Come il nome stesso lascia intuire (zeugma in greco antico significa unione, legame) la città nacque per unire due insediamenti precedenti che si trovavano su rive opposte del fiume, Seleucia allo Zeugma e Apamea allo Zeugma. Per brevità a Seleucia rimase solo il nome di Zeugma.

Apamea è un'antica città ellenistica dell'Osroene, posta di fronte alla antica città di Zeugma. Le due città erano collegate da un ponte che attraversava il fiume Eufrate. Fu fondata da Seleuco I Nicatore verso il 300 a.c. in onore di Apama, la moglie persiana a cui il sovrano dedicò numerose città.

Le rovine della città, localizzate vicino al villaggio di Tilmusa, nella provincia turca di Şanlıurfa, sono ora sommerse dalle acque della diga di Birecik Dam.

Parte delle rovine dell'antica città di Zeugma sono già andate perdute nel 2000, in quell'anno la zona più vicina al fiume è stata allagata in seguito alla costruzione di una diga sull'Eufrate. Nei mesi precedenti all'allagamento, archeologi da tutto il mondo sono accorsi per collaborare al salvataggio di parte dei reperti.

MOSAICO ROMANO


EPOCA ROMANA

In epoca romana, la Legio IIII Scythica si stanziò proprio a Zeugna. Per circa due secoli, la città fu residenza di ufficiali e funzionari d'alto rango dell'Impero romano, che vi portarono le proprie influenze culturali e le agiatezze romane.

Soprattutto ebbe grande seguito la scultura funeraria: esemplari di elevata bellezza sono le steli, i rilievi sulle rocce, le statue e gli altari della città. Attraverso questa arte, il predominio artistico di Zeugma influenzò tutta l'area circostante.

Il giro d'affari legato alla presenza della legione romana e ai traffici con Roma fecero ingrandire e arricchire Zeugma. In epoca romana era presente un ponte di legno che, attraversando l'Eufrate, congiungeva Zeugma ad Apamea; segno del grande traffico commerciale che legava le due sponde del fiume.

OCEANO E TETI

SCAVI ARCHEOLOGICI

Una serie di scavi archeologici in località Iskele üstü hanno portato alla luce 65.000 sigilli di argilla (bullae), ritrovati in quello che si ritiene essere l'archivio delle merci dell'antica Zeugma.

Questi sigilli, utilizzati per vidimare papiri, pergamene, borse del denaro e contenitori per merci, sono un buon indicatore del volume commerciale e della densità dei trasporti e delle comunicazioni all'epoca esistenti nella regione.


Da: ZEUGMA, I TESORI SCOMPARSI NELLE ACQUE

In Turchia una gigantesca diga ha inghiottito i resti dell' antica metropoli, sacrificata ai bisogni energetici.

DAL NOSTRO INVIATO ZEUGMA (Turchia) - « Quel chiarore sul fondo? E' un mosaico. La malta idraulica lo proteggerà per secoli: è lo stesso materiale che usavano gli antichi romani per fissare i ponti ». 

Christian Schneider, tedesco, 32 anni di cui dieci passati in Italia, parla dalla riva della città sommersa: è il capo dei «conservazionisti», un restauratore. E' qui da da nove mesi. Ha visto il livello del lago salire, salire: anche dieci centimetri al giorno, fino al massimo dell' ottobre 2000. 

Mentre i contadini strappavano all' acqua gli ultimi alberi di pistacchio, gli archeologi cercavano di mettere in salvo l' ultimo tesoro scoperto dall' umanità. 

In questo angolo giallo di Turchia, nel giro di un anno erano venuti alla luce 700 metri quadri calpestabili di paradiso: mosaici romani intatti, un sito senza eguali nel mondo, figure straordinarie, comparabili per qualità a quelle del museo di Tunisi e a Pompei. 



Un tesoro affidato alle cure della squadra del Centro di Conservazione di Roma guidata sul campo da Schneider. Primo obiettivo: salvare il salvabile, prima che la diga gonfiandosi coprisse tutto. Sei mesi di lavoro, grazie ai fondi del governo turco e soprattutto ai 10 miliardi di lire sborsati dagli americani del Packard Institute: 

- una ventina di grandi mosaici figurativi recuperati insieme a migliaia di reperti. 
- Statue, 
- gioielli, 
- 65 mila bullae (il più grande quantitativo mai trovato), 
- i sigilli che venivano uniti alle merci o ai documenti, testimonianza di quanto fosse importante questa «dogana» ai confini del mondo. 

I mosaici geometrici, quelli meno preziosi, sono rimasti là sotto. Dai 4 ai 40 metri di profondità. Poseidone e Teti sconfitti dall'«idra idroelettrica». « Perduti? Non sono affatto perduti. L' acqua - assicura Schneider - è buona conservatrice. Resisteranno. Per le prossime generazioni». 

- Le primissime generazioni, invece, al posto di quella diga grigia che si vede 2 Km a valle, una delle 22 dighe grigie che strozzano il Tigri e l' Eufrate, avevano costruito 2000 anni fa un ponte verso l' altro mondo. Dal secondo piano delle loro ville sulla riva, i comandanti di Roma guardavano verso il deserto dei Parti. 

NASCITA DI VENERE

Al di là dell' Eufrate e oltre c' erano i barbari, le ricchezze dell' Oriente, l' ignoto. Al di qua, le fontane con i mosaici di Eros e Psyche, e la pax romana. Oggi, sotto questo lago appena nato, c'è quel che rimane della favolosa città di Zeugma, di cui scrissero Tacito e Cicerone e il cui nome significa ponte, punto di passaggio. 

Grande come tre volte Pompei, Zeugma aveva 70 mila abitanti, stretti intorno alla «forza di Difesa rapida» del tempo, i 5 mila soldati della Terza Legione Scitica. 

Duemila anni dopo, Zeugma è perduta. « Perduta? Ma se là sotto c'è solo un quinto della città », si scalda il professor Kemal Sertok. E il resto? 

«Sotto ai nostri piedi. Qui siamo nella zona del teatro: importante come quello di Mileto. Su quell' altura c'è l' acropoli, con il tempio alla dea Tyche, la Fortuna dei romani. Abbiamo la sua immagine sulle monete. Bisogna solo scavare e portarlo alla luce». 

E i mosaici? Il professore sospira. «Il lago ha inondato alcune ville. Ma i mosaici abbiamo fatto in tempo a salvarli: in pochi mesi abbiamo fatto quanto gli archeologi, in uno scavo classico, fanno in dieci anni». 

PERSEO

Per salvarli hanno lavorato anche di notte, con le fotoelettriche. Duecento archeologi di tutto il mondo e centinaia di operai hanno sudato con 50 gradi all' ombra, la paura degli scorpioni e l' acqua alle caviglie. 
E pensare che il tesoro era lì da secoli, a pochi metri sotto terra. Da alcuni anni gli archeologi erano al lavoro. Con pochi soldi, e nessuna notorietà. 

La diga di Birecik hanno cominciato a costruirla nel ' 92. Ma solo alla fine del ' 99 sono venuti alla luce i mosaici più belli. Cosa costava ai turchi privarsi di una delle 22 dighe del progetto Sud-Est? 

Sottovoce, l' archeologa francese Catherine Abadie-Reynal accusa: 
«Abbiamo chiesto almeno il rinvio dell' inondazione, ci hanno risposto di no». Cosa costava aspettare un anno? 

DOMUS ROMANA

L' ingegner Cansen Akkaya, responsabile ambiente delle Opere Idrauliche dello Stato, alza il sopracciglio e fa due calcoli. L' arte un tanto al kilowatt. In energia elettrica non prodotta, il danno sarebbe stato di «due miliardi e mezzo di dollari». 

Quale Paese si sarebbe privato di 5 mila miliardi di lire all' anno? Un quinto dell' energia mondiale è prodotta da centrali idroelettriche. In Occidente le dighe non sono più di moda: costano troppo, rovinano l' ambiente. Però ne abbiamo costruite tantissime: su 40 mila grandi dighe nel mondo, metà sono in Cina e 5.500 negli Usa. In Turchia? Un centinaio. E quelle in costruzione danno lavoro a centinaia di migliaia di persone. 


Una diga «vive» quarant' anni, meno di un albero di pistacchi. E meno di una moto. Nel piccolo museo di Gaziantep, la città più vicina a Zeugma, all' entrata c'è un rottame con la targhetta: «Moto di Lawrence d' Arabia». Due sale. Una ospita i primi tesori salvati a Zeugma. Oceano e Teti, Dioniso sul carro trainato da leopardi, Icaro, il volto enigmatico di una donna che qualcuno ha ribattezzato la Monna Lisa di Zeugma. 

Da tutto il mondo si sono levate proteste: le dighe hanno sommerso (e sommergeranno) decine di tesori d'arte e di centri abitati. L' ultimo allarme è per la città medievale di Hasankeyf, minacciata dalla diga Ilisu sul Tigri. -

(Farina Michele)





- Per oltre 30 anni la Turchia sta costruendo più di 100 dighe in Anatolia sud-est, sia per aiutare a risolvere la crisi energetica e per fornire l'acqua di irrigazione necessaria per lo sviluppo regionale. Una di queste dighe si sta costruendo sul fiume Eufrate. Chiamato la diga Birecik, dopo la vicina città di Birecik, ha causato l'inondazione di periferia di Zeugma, un antico borgo a 800 metri di distanza.

Archeologi turchi e stranieri hanno lavorato sugli scavi di salvataggio in questa città, che è famosa per i suoi mosaici, ma i contrabbandieri avevano già messo Zeugma sulla mappa molto prima che sia la diga o gli archeologi.

Il saccheggio di mosaici da Zeugma risale fino al XIX secolo. Uno dei più importanti di questi è un pannello raffigurante Poseidone circondato da personificazioni delle province romane all'interno di medaglioni. Questo mosaico è attualmente in mostra, in pezzi, in St Petersburg e Berlino.

Poi, per gli ultimi 13 anni, gli archeologi provenienti da Gaziantep Museum sono stati costretti a intraprendere scavi di emergenza sporadici in risposta a scavo illegale e il contrabbando.

Attribuzioni utilizzati in vari cataloghi museali per descrivere le origini di mosaici, come 'Mediterraneo orientale', 'nei pressi della Siria', 'ha detto di essere dalla Turchia orientale' probabile, infatti, fanno in realyà riferimento a Zeugma.
Ad esempio, vi è il mosaico del II sec. d.c., nel North Carolina Museum of Art, ha detto di essere 'probabilmente dalla Turchia orientale'.

Nel 1987, cinque statue a grandezza naturale fatte di pietra calcarea sono state trovate durante uno scavo di salvataggio di fronte a una tomba di famiglia scavata nella roccia dopo il museo era stato avvertito uno scavo illegale.


Tuttavia, le teste di quattro di loro erano stati già rimossi dai loro corpi, come se fossero stati ghigliottinato. 

I corpi sono ora esposti nel Museo di Gaziantep.

Il 2 luglio 1992, gli archeologi del museo sono stati avvertiti di un altro scavo illegale e arrivati ​​sulla scena trovarono un tunnel abbastanza grande per una persona. All'altra estremità del tunnel hanno raggiunto un edificio di epoca romana (fine del II sec. dc) e al piano trovarono un mosaico estremamente ben conservato. 

Questo mosaico, che misura 3,25 '1,45 m, raffigurato le nozze di Dioniso e Arianna - una scena di festa in cui Dei e Dee seminude bevono con accompagnamento musicale. 

L'artista che ha fatto questo mosaico ha usato per le facce circa 400 piccole tessere colorate, ma ha fatto solo con 225 tessere i vestiti e 144 per lo sfondo. Gli archeologi hanno deciso di preservare il mosaico in loco e si è rinchiusi. Sei anni passarono senza incidenti, fino a quando è apparso uno dei ladri notturni, tagliare i due terzi del mosaico e fatto fuori con esso. Interpol ha cercato per esso - senza successo - da allora.

Agendo su un'applicazione dal governo turco, nel 1993 gli agenti di furto d'arte del New York FBI è andato alla Galleria Fortuna sulla Madison Avenue a cogliere una statua di marmo di un giovane uomo e frammento di ghirlanda preso da Afrodisia, dopo di che hanno notato un bellissimo mosaico da Zeugma. I funzionari turchi FBI informate su questo mosaico, che raccontò la tragica storia di 'figlia di Eracle e' Dionysos moglie Deianira e uno dei centauri, Nesso.

Per coincidenza, una fotografia del mosaico alzato nella città di Nizip vicino Zeugma, tra le stampe a colori di un fotografo locale defunto. Selim Dere, proprietario della Galleria Fortuna, insieme a suo cugino Aziz Dere, aveva già, alcuni anni prima, ha giocato un ruolo importante nel contrabbando di Turchia un sarcofago di marmo che raffigura le dodici fatiche di Ercole.

PARTENOPE
Questo era stato trovato a Perge ed è stato arrestato per contrabbando.

Pochi anni dopo essere stato arrestato dalla polizia turco Selim Dere emigrarono a New York, dove aprì un negozio di antiquariato. 

Suo cugino si stabilì in Canada. La posizione attuale di questo mosaico è sconosciuta.

Nel settembre 1993, il professor David Kennedy della University of Western Australia, che ha lavorato per un'estate a Zeugma, ha trovato un altro tunnel lasciato dai saccheggiatori. 

Gli scavi hanno rivelato un mosaico quadrato 2,5 metro, dal centro della quale i capi delle due figure, un uomo e una donna, erano stati precedentemente tagliati e rimossi. 

Poi, nel 1998, canadese esperto di mosaico Sheila Campbell avvistato due mosaici degli amanti eterni, Parthenope e Metiochos, noto come il Romeo e Giulietta del mondo antico, la Menil Collection di Rice University di Houston, Texas. 

Ha stabilito che mancavano i pezzi del mosaico si trovano in scavi di Kennedy. La questione è stata messa nelle mani del governo turco e Bernard Davezac, Direttore della Menil Collection. Entrambi i mosaici sono stati restituiti al Museo di Gaziantep il 19 giugno 2000 in cui gli esperti sono ora ripristinarli prima mostra.

CHIETI - TEATE (Abruzzo)

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STATUA DELLE TERME

Teate, odierna Chieti, è un antico centro dei Marrucini, un popolo italico di lingua osco-umbra, sito in Abruzzo tra i fiumi Pescara ad ovest ed Alento ad est. Questa si sviluppò a partire dal II secolo a.c. ma poi si arricchì quando divenne municipio romano.

Dopo la guerra sociale fino alle guerre del periodo tardo-repubblicano ed imperiale la città venne chiamata dai romani Teate Marrucinorum ma dai Marrucini era chiamata Touta Marouca (in latino corrisponde alla Res Pubblica). Divenne poi uno dei principali centri nella Regio IV (Abruzzo e Sannio) della ripartizione territoriale italiana di Augusto, tra il I e il II secolo d.c.

Secondo alcuni studiosi la nascita di Teate risalirebbe all'11 maggio del 1181 a.c., quando fu fondata da emigranti di origine greca al seguito dell'eroe troiano Achille che l'avrebbe dedicata a sua madre Teti, la Dea del mare. Secondo altri però venne fondata dai Pelasgi in onore della Dea Teti.

In epoca romana la città era protetta da muri in opera reticolata dal lato del fiume Pescara. 
L'aspetto urbano era articolato su terrazzamenti a piani gradonati, era reso funzionale da strade e raccordi in parte coperti (viae tectae), e servito da sistemi idrici.

Dalle indagini archeologiche si è potuto ricostruire lo spazio urbano all'epoca romana, in cui si trovavano:il foro (corrispondente all'attuale corso Marrucino), da cui saliva una strada che portava all'acropoli, dove sorgeva l'anfiteatro (e in precedenza  i tre templi in stile greco); il teatro (con la scena affacciata verso il Gran Sasso); e le terme ( fuori dall'abitato), che costituivano ultimo edificio pubblico in ordine cronologico delle opere monumentali romane, risalente al I sec.d.c. Vi erano anche ambienti sotterranei, aventi funzioni commerciali.  

Tanta munificenza rivela un periodo di massimo splendore che, con ogni probabilità, deve riferirsi a quello dell' Imperatore Claudio, come risulta anche da alcuni frammenti lapidari e scultorei.

IL MUSEO

LA STORIA

I Marrucini combatterono contro Roma già nel 304 a.c. ma presto si concluse con un trattato di pace chiesto dai Marrucini e da altri alleati italici. Da quel momento i Marrucini divennero fedeli alleati dei Romani, combattendo a loro favore contro Pirro, contro i Galli Cisalpini, contro Perseo di Macedonia, contro Annibale ed Asdrubale. 

Nel periodo in cui vennero decorati i santuarî viene ricordata la partecipazione alla battaglia di Pidna (Liv., xliv, 40, 5) di una valorosa cohors Marrucina tra le file dell'esercito romano comandato da L. Emilio Paolo.

Però Teate partecipò alla Guerra sociale contro Roma ma solo per il riconoscimento della cittadinanza romana ormai reclamata da tutti gli italici.

Qui perse la vita, sconfitto da Gaio Mario, il condottiero marrucino Erio Asinio,  o Asinius Herius, praetor Marrucinorum, fra i più autorevoli capi dell'esercito italico confederato. Roma vinse la Guerra Sociale ma i Teatini ottennero la cittadinanza come tutti i popoli italici.  

Nel 91 a.c. Teate fu eretta a Municipio e pertanto le venne dato un nuovo assetto urbano, cioè quello romano, con cardo massimo e decumano massimo, con un foro, un teatro, un anfiteatro, un acquedotto con relative canalizzazioni anche sotterranee e le terme.



GLI SCAVI

Furono decisivi gli scavi archeologici degli anni sessanta che reperirono, ai piedi della collina della Civitella, delle terrecotte architettoniche, frammenti di statue, ornamenti in bronzo e di mosaici, nonchè alcuni depositi in una favissa, facenti parte di alcuni templi del II sec. a.c. ed ora esposti nel Museo archeologico della Civitella.

I templi dell'acropoli vennero demoliti nel III sec., ma attraverso i reperti in terracotta si è potuto risalire in qualche modo alla loro conformazione. Questi sorgevano su un podio fornito di scalinata frontale che conduceva nel pronao colonnato che immetteva nella cella. Il tempio era riccamente ornato frontalmente da statue e da placche di rivestimento.

In seguito vennero smantellati e le decorazioni furono portate più a valle poichè in età cesariana venne edificato un porticato con i vari templi al centro della città antica, inglobando poi l'area sacra del pozzo verso la I metà del I sec. d.c.
L'ANFITEATRO

L'ANFITEATRO

A breve distanza dal teatro, presso il lato meridionale delle mura urbane, si trova un grande anfiteatro di età sillana, con rifacimenti successivi. L'anfiteatro romano, sorto su un complesso templare di epoca precedente, era totalmente scomparso e solo nell'ottocento si era cominciato a riportare alla luce qualche antico reperto, poi tutto tacque. 

Solo gli scavi condotti per costruire un serbatoio idrico, evidenziarono nel 1982 la presenza dell'anfiteatro, che portarono progressivamente all'individuazione dell'ingresso meridionale, del podio e del palco imperiale, oltre a frammenti di oggettistica varia. 

L'anfiteatro,  del I sec. d.c., probabilmente realizzato immediatamente dopo la costruzione del teatro, venne costruito seguendo l'andamento naturale del terreno, lungo le pendici orientali dell'antica acropoli della Civitella. Era di medie dimensioni (60x40 metri), aveva forma ellittica ed era collegato a sud e a nord con i sistemi viari.  Si sa che era destinato ai giochi gladiatori.

Gli scavi hanno portato parte del muro che cinge l'arena e la tribuna d'onore con struttura ad opus reticolatum bicromatico con dei ricorsi in laterizio (come il teatro). Questo poteva contenere circa quattromila posti e tutt'ora, ampiamente restaurato, è utilizzabile. Non sono state rinvenute tracce della summa cavea che doveva essere, visti gli elementi strutturali, in legno.

La costruzione dell'anfiteatro è stata recentemente attribuita a Sextus Pedius Lusianus Hirrutus, personaggio illustre rientrato in patria dopo aver ricoperto importanti cariche alla metà del I sec. d.c. La struttura fu quasi integralmente spogliata prima del VII sec. d.c. quando, a seguito del crollo della struttura di accesso, venne destinata a cimitero cristiano.

IL TEATRO

IL TEATRO

Fuori del quartiere della Civitella e dirigendosi verso il centro di Chieti si possono notare, all'incrocio di Via di Porta Napoli e di Via Generale Pianell, i ruderi del teatro risalente al I sec. d.c. I palazzi che circondano il teatro hanno nascosto del tutto l'orchestra ed il proscenio. 

Attualmente è visibile il lato nord-orientale del muro della cavea in opus mixtum (opus reticulatum e opus lateritium). La cavea, che ha come sfondo il Gran Sasso d'Italia è posta in parte sulle pendici del colle della Civitella ed in parte è coperta da volte a botte.

Il teatro, di circa 80 m di diametro, e che poteva contenere circa 5000 spettatori, era composto da due livelli come dimostra parte del corridoio semicircolare che sbarrava il piano sovrastante. L'ingresso principale immetteva in una salita a gradoni sostituita dal Vico II Porta Reale, immettendosi in un corridoio che era posto sopra la cavea, sorretto come usava da svariati archi.

Venne ristrutturato in età imperiale per volere degli imperatori della dinastia severiana, quando furono realizzati gli ambulacri esterni alla cavea che fu ampliata inglobando i muri di età repubblicana.
Col divieto dei teatri dall'edificio vennero continuamente asportati materiali per costruire altri edifici.



LE TERME

GLI SCAVI DELLE TERME
Situate nella zona orientale della città, risalgono al II sec. d.c., con accesso mediante una scalinata che introduceva in un corridoio obliquo elegantemente mosaicato a crocette nere su sfondo bianco.

Il corridoio immetteva in un atrio colonnato con pavimentazione musiva raffigurante Nettuno. Da qui si potevano raggiungere tre sale rialzate mediante le suspensurae che costituivano il calidarium.

Di fronte all'atrio quadrato vi era il frigidarium, con vasche semicircolari ricoperte di marmo e, sul fondo, una più grande.

PAVIMENTAZIONE DELLE TERME
Poco discosta vi è una quarta vasca, di cui si è conservato solamente il fondo rivestito in opera signina (particolarmente adatta per rendere impermeabili ambienti quali vasche e cisterne) e una parte del nucleo delle quattro pareti.

La zona orientale è andata distrutta per l'instabilità del terreno. Le Terme si avvalevano dell'acquedotto e di una cisterna.

Le terme erano decorate con preziosi marmi, e mosaici in pasta vitrea, nonchè statue e fregi. I marmi erano preziosi, di provenienza Greca e dell'Asia Minore, il che denota la ricchezza della città. Con il decadimento dell'età imperiale il centro abitato si restrinse e il luogo decadde coperto da terra ed erbacce.

Dell'impianto termale restano colonnati, murature e pavimenti musivi, in parte coperti da ripari protettivi, il tutto purtroppo, e non si sa perchè, non visitabili.

LA CHIETI SOTTERRANEA CON CUNICOLI E CISTERNE

LA CISTERNA

L'acqua delle terme era fornita da una cisterna posta in un ambiente sotterraneo composto di nove vani comunicanti tra di loro addossati alla collina. I vani erano strutturati in maniera di sopportare la pressione dell'acqua e del terreno mediante nicchie posti intorno ai nove ambienti. La cisterna era di grande capacità e a tutt'oggi è ottimamente conservata.



I TEMPLI ROMANI

Pur essendo situati in piazza dei Templi romani, comunemente sono detti tempietti di San Paolo, ed essendo non solo pagani ma antichissimi. Sono stati individuati con certezza da Desiderio Scerna con gli scavi iniziati negli anni '20 del XX secolo. Nel 1997, durante lavori di restauro del complesso templare, fu portato alla luce un ulteriore ambiente ipogeo.

Trattasi del luogo di culto più antico di Chieti, il centro sacro del II sec.a.c. posto sull'acropoli della Civitella e constava di tre templi eretti su un alto podio, con gradinata centrale. 

Essi era dedicati alle divinità orientali come Artemide persiana, la Potnia Theron, ed Ercole seduto su una roccia, raffigurazione fino ad oggi attestata soltanto a Chieti. Inoltre, nei due templi di tipo greco si trovavano due frontoni e un frontoncino. 

Tuttavia le fondamenta rivelano un periodo anteriore, per la presenza di mura formate da grandi blocchi poligonali di tufo appartenuti indubbiamente a un grande tempio del IV o V sec. a.c.. La fronte dei tre templi è rivolta verso sud-est verso l'antico foro preromano. Nei vani e nelle cripte sono stati rinvenuti, frammenti scultorei, busti, pietre sepolcrali, iscrizioni e monete.

I TEMPLI GEMELLI

I Templi gemelli

I primi due templi sono costituiti da cella, pronao e cripta, mentre l'ultimo è composto solamente di cella e cripta. Le mura in calcestruzzo dei primi due templi e l'utilizzo dell'opus reticolatum denotano le costruzioni come romane.
Nel vano del II tempio vi è un pozzo di 38 metri che doveva anch'esso essere pertinente ad un santuario più antico. 

Dai ritrovamenti frammentari  relativi al primo frontone, sono stati dedotti undici personaggi: al centro  la triade capitolina con Giove, Giunone e Minerva; a destra di Giove Mercurio, che guida  tre giovani donne, (ninfe?). Alla sinistra di Giove c'e Venere o Diana, cui facevano seguito Marte armato,  Apollo mudo e il terzo ignoto.

SCORCIO DEI TEMPLI GEMELLI
Nel secondo frontone i due Dioscuri rappresentati al centro in costume orientale come Cabiri e accompagnati da alcune divinità tra cui Eracle, Ares, Artemide, Atena, Afrodite.

Nel terzo frontone si mostra Apollo, affiancato dalle Muse. Alle due estremità  la statua di Ercole, con clava e pelle di leone, e Mercurio, inventore della lira. 

Il frontoncino rinvenuto recava invece un corteo di personaggi armati, fra cui alcuni in abiti orientali; unica figura femminile era la Vittoria, nell'atto di incoronare il vincitore. 

I templi presentano la caratteristica dei tasselli (cubilia) di pietra e laterizi con ricorsi di spessi mattoni e fodere di lastre di marmo e pietra. Gli edifici furono livellati e le decorazioni depositate poco più a valle quando, in età cesariana, fu costruito un portico a sostruzione della collina.


Il Terzo Tempio

Il terzo tempio appare più tardo, nel III sec. quando a Teate fu istituita una colonia romana per cui venne edificato un Capitolium con la consueta triade divina: Giove, Giunone e Minerva.

Nell'area sono state trovate anche: lastre di decorazione architettonica in terracotta, sculture, una testa colossale e un bozzetto di lastre o statue di maggiori dimensioni, che ritrae un personaggio maschile seduto e, sotto, alcune lettere greche di incerta interpretazione.

Questo complesso cultuale gravitava attorno ad un pozzo sacro e i reperti vengono interpretati come offerte votive alle divinità venerate nei templi.

Sono state rinvenute anche molte monete, di periodi molto diversi (dal V sec.a.c.), risalenti a Velia (provenienza basso Tirreno), alla Magna Grecia (in particolare dalla zecca di Neapolis, IV-III sec.a.c.), coniate in bronzo; fino all'epoca romana più recente. Sulla stessa area vennero riedificati edifici che seppellirono i templi provocandone l'oblio.


Il Quarto Tempio

Anticamente vi era anche un quarto tempio ora sostituito dal palazzo della posta. Accanto al palazzo emergono comunque i ruderi del quarto tempio romano, nelle cui fondamenta appaiono pezzi d'opera in tufo e in pietra calcarea regolarmente squadrati, provenienti da costruzioni italiche. L'edificio era a pianta rettangolare del quale si può ammirare solamente parte della cella in opus mixtum con i resti del pavimento in lastrine di marmo.

Un'iscrizione attesta l'attività edilizia gestita da Marco Vezio Marcello e dalla moglie Elvidia Priscilla, due personaggi di grande prestigio e rilievo di Teate, che godevano dei favori di Nerone e che costruirono e/o restaurarono diverse opere di edilizia per evergetismo, cioè a loro spese.

PARTICOLARE DEL SEPOLCRO DI LUSIUS STORAX

SEPOLCRO DI LUSIUS STORAX

Lusius Storax, o Gaius Lusius Storax Romaniensis (Teate, ... – I secolo) fu un ricco liberto e uomo politico teatino. Gli venne conferito l'onore di seviro augustale e sacerdote, una carica su cui improntò la sua vita.

Il seviro augustale era una delle magistrature minori e a carattere prevalentemente onorario.

Nelle città municipali, infatti, la carica, concessa grazie alla riforma amministrativa di Augusto, veniva di solito rivestita dai liberti arricchitisi e consisteva prevalentemente nell'organizzare giochi e spettacoli.
Tra questi grande importanza avevano i combattimenti dei gladiatori per la cui organizzazione erano necessarie ingenti somme che spesso i liberti, grazie ai traffici di varia natura da loro gestiti, generalmente possedevano.

Il sevirato assunse dunque un forte valore simbolico per i liberti come mezzo di testimoniare non solo l'affrancamento dalla schiavitù, ma soprattutto la propria ascesa sociale.
Essere liberti ed essere ricchi li poneva su un piano sociale di un certo rispetto.

Questa carica riguardava soprattutto il culto dell'imperatore che, nelle provincie dell'impero, nei municipî e nelle colonie venne esercitato fin da quando egli era in vita. 

Inoltre venne associato, per desiderio dell'imperatore, al culto della Dea Roma. Per cui essere leali e fedeli verso l'imperatore era come esserlo verso Roma e la sua Dea. 

Così gli enti pubblici e i privati cittadini più ricchi, fecero a gara per erigere a loro spese nei loro municipi i templi e i sacelli dedicati a Roma e ad Augusto. 

Gli addetti al culto del fondatore dell'Impero nelle città municipali e nelle colonie si dissero pertanto Augustales, e l'investitura del loro ufficio si disse Augustalitas

SEPOLCRO DI LUSIUS (zommabile)
Essi formavano un collegio di sei membri attivi (seviri augustales), che duravano in carica un anno, mantenendo il titolo anche dopo lo scadere della loro carica ufficiale.

Un'iscrizione del 2 d.c., rinvenuta nella colonia di Narbo Martius (Narbonne), capoluogo della Gallia Narbonese (Corpus Inscr. Lat., XII, 4333), ricorda la fondazione e la dedicazione dell'ara Augusti, ed era prescritto che ogni anno sei cittadini plebei del luogo, cavalieri romani, facessero a loro spese un sacrificio in onore dell'imperatore, con distribuzione d'incenso e di vino a tutti gli abitanti.
Questi sei magistrati ad sacra si dissero seviri augustales, pertanto erano dei sacerdoti, come si evince dallo stesso sepolcro di Lusio, ma durante tutto il I e oltre la metà del II secolo dell'Impero i seviri augustales nei municipî furono una vera e propria magistratura, più che un sacerdozio.  

La durata della loro carica fu annuale, come tutte le cariche che comportavano spese obbligatorie, ma l'ufficio poteva anche essere affidato di nuovo, in un anno successivo, alla stessa persona (reiterum); in qualche caso la carica fu affidata anche per la terza volta (tertium).

Ogni anno si ammetteva un dato numero di nuovi augustales, i quali per quell'anno dovevano sostenere una serie di prestazioni (summa honoraria, ludi, spettacoli pubblici). Insomma era un onore ma pure un forte onere che tuttavia concedeva a chi se ne fregiasse, il privilegio di essere ammesso talvolta anche in case patrizie. Ma ogni privilegio ha il suo rovescio, perchè, come per tutte le cariche onerose, anche questa col tempo divenne forzata, tale cioè che non se ne poteva rifiutare l'investitura. 

Era un do ut des, venivano comminati delle opere o degli affari che arricchivano qualcuno e questi a sua volta riceveva un'investitura che lo obbligava in parte a ripagare il guadagno.

Lusius pertanto fu organizzatore di giochi e di eventi che in parte almeno pagava di tasca sua onde meritarsi il plauso dei suoi concittadini per quel particolare fenomeno dell'antica Roma per cui per farsi votare e ricordare bisognava non solo corrompere, ma anche elargire al popolo o ai propri concittadini dei beni visibili e tangibili.

Parliamo dell'evergetismo, fenomeno unico, visto che non è stato mai più applicato, almeno in termine di edifici. Così Lusius fece completare la costruzione di un anfiteatro ellittico nella sua Teate (attuale Chieti). Nella cerimonia di inaugurazione fece combattere i gladiatori. 

Nel suo monumento funebre a tempietto sono raffigurati un basso rilievo, la sua investitura e la battaglia dei gladiatori.




IL MONUMENTO SEPOLCRALE

Si tratta di un sepolcro a tempietto d'età imperiale, conservato nel Museo archeologico nazionale d'Abruzzo a Chieti, datato, per il tipo di epigrafia e per altri particolari, il tipo delle armature dei gladiatori, tra il 30 e il 50.

Il sepolcro è un interessante documento di quella corrente "plebea", in questo caso italica, ma in altri casi provinciale, che nel giro di tre secoli divenne arte di Stato. Questo tipo di arte, che non aveva pretese di classicismo greco, per necessità di risparmio, si permise soluzioni spesso ingenue ma pure innovative e talvolta geniali. 

Una di queste soluzioni erano la narrazione riassuntiva di più momenti, l'uso della prospettiva deformata, la proporzione ingrandita per il personaggio principale, i ludi a un piano inferiore, e così via. Venne spesso usata in quelle opere imperiali del IV sec., quando le finanze già cominciavano a scarseggiare, come l'Arco di Costantino o il Dado di Teodosio.

Il monumento consta di due rilievi, fregio e frontone. 
Sul fregio è raffigurato un ludo gladiatorio che Lusius doveva aver offerto per la sua elezione. Vi si notano gladiatori e incitatori in varie pose, dal saluto alla preparazione, alla lotta, alla vittoria o alla sconfitta, come si trattasse di una scena unica. 
Questo sistema di racconto in contemporanea tra azioni che si susseguivano caratterizzò anche la colonna Antonina. Il committente voleva mettere in risalto la sontuosità del ludus, il cui costo era proporzionale ai lottatori impegnati nonchè ai soldi impiegati per l'evento. 

TRIBUNAL
Questo rilievo è composto con calcolato equilibrio e un ritmato uso di pause e movimenti. Il fondo è neutro e i dettagli sono curati con cura, soprattutto i muscoli, i panneggi, ecc. Come se questo tipo di rilievo fosse in uso già da tempo a Roma, insomma uno stile sperimentato.

La scena del frontone rappresenta l'investitura di Lusius Storax e consta di due piani sovrapposti. Ai lati si trovano due gruppi di suonatori: cornicines (suonatori di corno) a destra e tubicines (suonatori di tuba, un tipo di tromba) a sinistra. In basso a sinistra, in primo piano, si trova un sedile con tre giovinetti, evidentemente tre camilli (assistenti dei sacerdoti nei sacrifici) che simboleggiano l'avvenuto sacrificio connesso con l'investitura. 

Il centro è occupato dal tribunal (un tribunale che stabiliva le cariche oltre le colpe), con al centro Storax e ai lati due bisellia (sedili onorari a due posti, senza spalliera nè braccioli), ove siedono i quattuorviri (una speciedi funzionari di polizia) di Teate (Chieti), affiancati da un littore (guardia personale del magistrato) in piedi.

A destra, accanto ai tre camilli, si trova un personaggio con bastone, che potrebbe essere un augure Sacerdoti che interpretavano i voli degli uccelli) o un lanista (commerciante di gladiatori).

Il secondo piano ha come sfondo un colonnato, probabilmente il foro di Teate, la sede del ludus illustrato nel fregio. Le figure in secondo piano sono undici personaggi togati (il collegio dei seviri augustali, con sei uscenti e cinque entranti in carica, ai quali va ovviamente aggiunto Storax) e un littore.


Tra i seviri, tutti sembrano intenti ad osservare i giochi, mentre uno è accostato all'orecchio di Storax e due a destra invece contano del denaro in uno scrigno, testimonianza dell'avvenuto pagamento da parte di Storax della summa honoraria (la somma pattuita): questa certificazione non avvenne certamente durante il ludus, ma era un episodio impotante dell'evento.

All'estrema sinistra, sempre in secondo piano, si svolge una concitata scena di zuffa con quattro personaggi (una donna a braccia spalancate, un uomo che tira un pugno sulla faccia di un altro), forse una documentazione di un piccolo tumulto popolare durante il ludus, come nel caso della zuffa fra Pompeiani e Nocerini ritrovata su una pittura "plebea" di Pompei.

La zuffa dei Nocerini fu tragica e funesta, tanto che fece chiudere il ludus gladiatoris, ma una zuffa contenuta faceva a suo modo spettacolo e pertanto non solo rientrava nel costume ma vivacizzava i giochi valorizzandoli.

ACCONCIATURE ROMANE

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LA CAPIGLIATURA FEMMINILE

Dei costumi e usanze romane nel mondo femminile ci sono diverse fonti, tra cui Ovidio, Plinio il Vecchio, Galeno, Valerio Massimo, Properzio, Marziale ed altri. Si sa per l'appunto che per la cura dei capelli erano consigliate varie misture come:
  • succo di mele e aceto.
  • tuorlo d'uovo, aceto e fiori di iris.
  • latte, aceto e tuorlo d'uovo.
  • miele, olio d'oliva, vaniglia, cannella, aceto.
Ovidio consigliava nell'Ars Amandi:
"Ogni donna scelga, davanti allo specchio, la pettinatura che maggiormente le dona. Un volto lungo vuole capelli divisi sulla fronte, con semplicità. Un viso tondo, capelli raccolti a nodo sopra il capo, con le orecchie scoperte, oppure sciolti sulle spalle.
Ci sarà poi chi preferisce i capelli inanellati; chi i capelli stretti alle tempie; chi acconciati finemente, con mille pettini; chi sciolti in grandi onde. Qualcuno amerà la testa falsamente trascurata, che in realtà richiede più cure di tutte. La canizie avanzate potrà essere mascherata con una tintura; né mancherà chi porterà sul capo i capelli di un'altra, vantandosene come fossero suoi.
"

Le fanciulle romane raccoglievano i capelli in massa senza scriminatura centrale, in un nodo legato dietro la testa con un nastro dal quale li facevano ricadere spioventi sul collo. Insomma una coda di cavallo. Solo con le nozze potevano cambiare la pettinatura da ragazzina in un’elegante acconciatura da matrona.

Ma la moda cambiò comunque secondo i tempi e le donne che contavano, come l'imperatrice, ma nell'antica Roma si ritenevano particolarmente eleganti le acconciature etrusche: annodati o intrecciati dietro le spalle, a boccoli sulle spalle, annodati a corona sul capo o raccolti in reticelle o cuffie.

In epoca flavia le donne si fecero acconciare i capelli in complicatissimi riccioli, ma poi cambiò di nuovo, con lunghe trecce disposte come torri sulla sommità della testa che Giovenale, che con le donne aveva un conto personale, irride non poco per l'acconciatura che fa sembrare più alte le matrone. Per tutto ciò comunque c'erano le "ornatrices", le schiave specializzate nelle pettinature. Diademi e coroncine, o spilloni di metallo prezioso completavano le preziose acconciature.

SPILLONI PER CAPELLI

LE TINTURE

Spesso gli Dei erano considerati biondi, forse perchè nel mondo mediterraneo erano rari i capelli chiari, ma anche per le donne essere bionde o rosse erano un fascino in più. Nel medioevo sparirono invece le tinte che erano diaboliche e diventarono diaboliche anche le donne coi capelli rossi, ree di farsi notare.

Per essere bionde le romane usavano posticci di chiome di barbari nordici, oppure spargevano sui capelli una porporina d'oro di grande effetto (e largo uso). Ma esisteva anche lo schiarimento con una mistura di limone ed acqua distillata di fiori di ligustro. In età imperiale si usò molto l'henné (cypros) che veniva dall'Egitto e divenne anche di gran moda tingersi di biondo.

In più c'erano saponi particolari, come le "Spumae Batavae", provenienti dall'attuale Olanda, o le palle di sapone prodotte vicino Wiesbaden (pilae Mattiacae, Marziale), usati per schiarire i capelli o tingerli di rosso o di nero corvino. Le tinture provenivano specialmente dal Nord Europa (Germane herbae, Ovidio - Ars Amatoria).

Plinio riferisce di una tintura rossa fatta di cenere e sego che veniva usata anche come sapone. I colori usati variarono sempre di più toccando il verde e l'azzurro, colori però usati soprattutto dalle etere (prostitute di lusso), ma anche le donne più libere le fecero uso.

ACCESSORI ROMANI PER CAPIGLIATURE


COPRIRE I CAPELLI

Anticamente le donne romane sposate si riconoscevano in strada perché indossavano un copricapo, anticamente chiamato "rica". A volte a coprire la testa poteva essere il lembo della palla, sistemato come un cappuccio. Sembra che Sulpicio Gallo, come racconta lo storico Valerio Massimo, avesse ripudiato sua moglie in epoca repubblicana perché si era mostrata in pubblico a capo scoperto. In età imperiale le cose cambiarono e le donne, sposate o meno, difficilmente andavano a capo coperto.

Le matrone romane pur coprendo i capelli non indossavano veri e propri cappelli, ma ponevano sul capo un lembo del mantello in nome della loro pudicizia e serietà.

Questo a causa dei castigati costumi che i romani avevano loro propinato in era monarchica e repubblicana, ma verso la fine della repubblica e soprattutto nell'impero, le donne tolsero il velo dal capo adornandosi le chiome in vari modi.

Quasi sempre ponevano nastri sui capelli a diverse altezze, su una pettinatura raccolta dietro a crocchia, ma a ricci sciolti sul davanti, prima solo rossi poi di diversi colori, i nastri erano di bisso, di seta e talvolta di velo, oppure dorati o tempestati di paste vitree o perle o gemme.

D'estate però le matrone portavano il cappello conico detto "tholia". In un affresco rinvenuto nella Casa dei Dioscuri a Pompei è rappresentata davanti a una capanna di canne una donna seduta con un cappello in testa dalla forma conica, appunto il ‘tholia’, che era a tutti gli effetti un cappello di paglia.
Usavano spesso pure una fascia piuttosto alta, il tutulus. che formava sui capelli un cono aperto in cima; spesso era di feltro ma rivestito di seta, o in damasco o con veli ritorti intrecciati a formare rombi. Oppure ponevano una retina sottile, fitta o a rombi, di seta a cordoncino o di metallo argentato o dorato, ma pure in argento e d'oro, o tutta d'oro.

La toletta delle romane, soprattutto in epoca imperiale, era di quanto più moderno e sofisticato si possa trovare fino ad oggi. A parte le vesti, i calzari e i gioielli, la parte del leone la fecero le acconciature. Per giunta anche le donne anziane che avessero subito la perdita dei capelli non dovevano temere: si provvedeva con posticci e parrucche, bionde o nere, come quelli di capelli veri fatti venire dall'India.

Ma i posticci non si usavano solo per la calvizie, perchè erano un vezzo, si mettevano finti chignon dietro la nuca avvolti poi con i propri capelli, in ogni caso i posticci servivano a rendere le capigliature più voluminose, fino a ricordare a volte certe monumentali parrucche francesi del '600.

Talvolta il posticcio era il cercine, le trecce annodate sul capo che usavano le antiche romane per porre i pesi sulla testa senza schiacciare troppo il capo, talvolta misto a stracci di stoffa. Ad esempio  Vibia Sabina, la moglie di Adriano, lo pose sulla fronte come ornamento lanciando una nuova moda.

Nelle acconciatura c'era tutto, dai capelli posticci alle parrucche, ai toupet, alle extensions, dalla messa in piega agli chignon, alle trecce, ai boccoli, ai ricci, dagli spilloni ai diademi, alle coroncine, ai veli, dalle forcine alle mollette, ai fiocchi, ai nastri, alle perle, alle sferette d'oro.

Per non parlare delle lacche per i capelli, dei profumi, delle colorazioni, dei decoloranti, delle permanenti, insomma non si fecero mancare nulla. Quel che è certo è che solo i ricchi potevano permettersi certe pettinature, perchè occorreva avere schiave ben addestrate e tanto tempo da perdere.

Naturalmente i pettini e le spazzole erano di ogni foggia, materiali e colori, lo stesso per gli spilloni, ornati, incisi, scolpiti, ma pure i fermagli tondi, a molla, piatti, e i pendagli d'oro e d'argento, oltre alle coroncine e i cerchietti.

La toletta di una matrona richiedeva minimo un'ora di lavoro e il risultato era una complicata scultura a onde, a ricci, a bande, a volute, a boccoli. Insomma un'opera d'arte che seguiva una moda ma che spesso lanciava una moda, con infinita fantasia e nello stesso tempo con precisione chirurgica, perchè nel capolavoro non doveva apparire una forcina o un pettine che sostenesse quell'aggrovigliata e pure composta e ordinata architettura.

FAUSTINA MINORE MOGLIE DI MARCO AURELIO


FAUSTINA MINORE  (125 - 175)

Faustina che indossa una leggera veste crespata con sopravveste morbida. porta una capigliatura ad onde che forma uno chignon di trecce sulla nuca, mentre sul davanti i capelli sembrano corti ma non lo sono.

Infatti scendono dalla sommità del capo in modo simmetrico con bande ondeggianti che disegnano un'onda che dopo aver sfiorato il volto della dama risalgono con geometria perfetta celandosi dietro l'onda successiva di capelli che circondano il volto passando dall'altro lato in modo perfettamente speculare.

Sopra la testa corrono delle trecce che circondano il capo a cerchi concentrici scivolando poi nello chignon in basso sulla nuca. E' evidente l'uso di capelli posticci, crema che tiene immobili i capelli e un'infinitò di forcine invisisbili.

LIVIA AUGUSTA MOGLIE DI OTTAVIANO AUGUSTO


LIVIA AUGUSTA (58 a.c. - 29 d.c.)

OTTAVIA SORELLA DI AUGUSTO
L'augusta si era concesso un grosso boccolo sulla fronte, all'indietro naturalmente, poche onde sui lati, e un coacervo di trecce raccolte dietro la nuca e in basso, che rieccheggiava lontanamente l'antica pettinatura greca.

Livia Augusta non ha mai brillato nè per raffinatezza nè per eccentricità, purtuttavia, essendo l'augusta, dettava la moda, tanto è vero che pure la sorella di Augusto si fece immortalare con la medesima pettinatura.


Niente di troppo riccio o troppo elaborato,
Come vediamo a lato, Ottavia Minore, sorella di Augusto, porta all'incirca la stessa pettinatura.

Ma siamo all'epoca di Augusto, l'imperatore che amava lo sfarzo nelle città ma non sulle persone.
Le donne dell'epoca si adeguarono ma alla sua morte si scatenarono.

DRUSILLA SORELLA DI CALIGOLA

GIULIA DRUSILLA (16 - 38)

La sua pettinatura è un capolavoro. Sembrerebbe semplice, perchè dietro ha una treccia che si allunga sul collo e torna su raccolta da un fermaglio. Intorno al viso i capelli sono tutti a onda, con una fascia di metallo che li orna e li tiene fermi.

Ma il capolavoro è negli anellini che spuntano dalla capigliatura sul viso, ornandolo con tanti anellini fin davanti alle orecchie.

Potrebbe trattarsi di ricciolini ricavati dalle ciocche pendenti ma non è così. le romane non tagliavano i capelli sul viso, ma dalla scriminatura portavano delle bande che incorniciavano il volto. Talvolta, come in questo caso, sotto l'ultima banda bilaterale di capelli veniva posta una retina leggera a cui venivano appesi ciondolini o cerchietti leggeri, di argento o d'oro.

AGRIPPINA MINORE MADRE DI NERONE


AGRIPPINA MINORE   (16 - 59)

Agrippina Minore è molto meno parca della passata augusta, e i suoi capelli sonoarrotolati a riccioli e fissati con forcine e fissatori sul davanti, mentre dietro prevedono boccoli sciolti e al centro boccoli raccolti e legati insieme sotto la nuca, che scendono sul collo come i boccoli ai lati.

DONNA ROMANA I SECOLO


DONNA ROMANA I SECOLO

In questa pettinatura c'è tutto, ma posto in elegante armonia.  C'è il morbido rotolo di trecce sul collo, una specie di copricapo, probabilmente di capelli posticci terminante con ampia treccia, le due bande morbide di capelli sulla fronte e i molteplici e fittissimi ricci accostati al viso.

La parrucchiera è un'artista (ma probabilmente sono più d'una).

POPPEA SABINA MOGLIE DI NERONE

POPPEA (30 - 65)

POPPEA SABINA

Da notare la differenza tra la giovane poppea e la poppea più matura, diverse non solo nell'espressione ma nell'acconciatura,

La giovinetta ha la pettinatura dell'epoca, che ricorda un po' Agrippina.

C'è una fioritura di riccioli con un cappellino in cima, probabilmente una coroncina di pietre e perle fissate ai capelli.

Sul collo invece scendono boccoli perfettamente inanellati fino alle spalle.

Ed ecco gli hairstyles di Poppea più adulta, che aveva le sue predilezioni. Ancora boccoli sulle spalle all'uso etrusco, ricci sulla fronte e/o boccoli, e/o nastri arrotolati e fissati, o, come qui, un prezioso diadema con nastri e ricci vari. Poppea non amava la semplicità.
MARCIANA SORELLA DI TRAIANO

ULPIA MARCIANA (48 - 112)

Siamo nel I sec. d.c., e l'amatissima sorella di Traiano dettò la moda così: capelli dietro tirati sulla nuca e avvoltolati a formare uno chignon, in realtà una specie di pizza. Ma è la moda dei diademi, le romane diventano esigenti e spendaccione, con grande scandalo degli anziani.

Davanti una specie di diadema, un sostegno raggiato verso l'alto, innestata su un cordulo che riporta ai lati due riccioli, il tutto in materiale leggero, forse corno, o avorio, o di osso, ma sembra più somigliante la prima ipotesi.

DONNA ROMANA PRIMO SECOLO

DONNA ROMANA I sec.

Ecco nello specifico i preziosi boccoli, bagnati prima e inanellati poi su appositi ferri caldi, notare la precisione dell'esecuzione, sia come capigliatura che come scultura.

DONNA ROMANA META' DEL I SECOLO

MATRONA ROMANA del I sec. d.c.

DONNA ROMANA META' I SEC. d.c..



Si ha questo esempio di donna romana con elaboratissima acconciatura a boccoli stretti e fitti.

Dietro la nuca è avvolta da trecce vicine che le fanno da copricapo, mentre i cotonatissimi riccioli davanti le fanno quasi da cappello.

Non si sa chi è ma sicuramente è un'aristocratica, a meno che non sia la moglie di un liberto arricchito.

La sua capigliatura, ammesso che sia la sua, perchè i posticci a Roma erano di gran moda, le incornicia un volto anziano, serio e non molto allegro.

Si sa che gli artisti romani erano tanto divini nella ritrattistica, in cui batterono gli stessi greci, quanto impietosi nella fedeltà all'originale.

Ma evidentemente ai realistici romani la cosa non dispiaceva, altrimenti avrebbero richiesto alcuni ritocchi, come sicuramente accadde col volgere dei secoli.

Ed ecco qua un'altra statua che per giunta ha conservato il suo colore, che ci fa ammirare nel dettaglio questi capolavori di capigliature.

Notare come i riccioli fittissimi ricadessero ai lati appena sotto le orecchie in bande più leggere. Dietro la nuca vi è poi un capolavoro di costruzione con trecce perfette (senz'altro posticce) ma allineate perfettamente, con movimenti e con giri precisi, come a formare un tessuto damascato.

DONNA ROMANA INIZIO II SECOLO

DONNA ROMANA INIZIO II sec.

Questa capigliatura somiglia alla precedente, elaboratissima, tanto da sembrare una capigliatura con cappello, ricordando certi cappellini stile impero dopo la rivoluzione francese.

IULIA TITA

IULIA TITIA  (64 - 91)

La bella Iulia. figlia di Tito, che per sua fortuna poco somigliò al genitore, con una ampia pettinatura di riccioli scriminati al centro che le circondano interamente il capo, però senza diademi.

SALONINA MATIDIA SUOCERA DI ADRIANO


SALONINA MATIDIA (68 - 119)

E' l'apoteosi del diadema in materiale difficilmente intuibile, infatti le romane sul loro capo mettevano di tutto, ornamenti in feltro, piume, nastri, in argento dorato o in oro puro, in pasta vitrea, oppure in cuoio, in osso e in corno debitamente scolpiti o incisi. L'acconciatura sembra un'evoluzione di quella di Ulpia Marciana.



PLOTINA (70 - 121)

Plotina, la malinconica moglie di Traiano, ha anch'essa, come Marciana, un diadema. però liscio sopra e in basso lavorato a ricci.

I ricci sul diadema, di cui ignoriamo il materiale, ma che si potrebbe ipotizzare d'oro, ha riccioli grandi che ricordano le antiche guarnizioni ad onda degli etruschi.

Sotto c'è il solito codone appiattito ma arricciato a foggia di capelli, e sulla sommità del capo si leva, come a tenere la mezza cupola, un cerchio di metallo che si direbbe borchiato sul retro.

Il diadema è raffinatissimo, forse realizzato in materiali diversi, e fa pensare appunto al casco di una regina orientale, sicuramente ispirato alle terre dell'est.

D'altronde i romani si ispiravano a tutto e a tutti, rielaborando però con un sapiente ed elegante tocco romano.




FINE I SECOLO


DONNA ROMANA FINE I SECOLO

Ecco un'altra capigliatura di non sappiamo chi, di certo un'aristocratica dal viso fine e bello, anche se piuttosto serio.

Ricorda lo stile anni 20, quei famosi turbantini tanto amati dalle dive del cinema e dalle donne del bel mondo. 

Adesso sappiamo da dove si sono ispirati tante acconciature e pure tanti cappelli.

Si può dire anzi, guardando le acconciature, che tutti vari stili moderni e passati si sono riferiti a loro.

Si può dire che la moda sia iniziata qui perchè queste finte trecce di vari colori, mirabilmente intrecciate a formare un simil turbante sono di grande fantasia.

diciamo simil turbante perchè questa acconciatura non copre le orecchie, perchè lo strato che circonda il volto è in realtà fissato con spille varie al copricapo superiore.

l'estrema fantasia di questa pettinatura non è solo la foggia, ma il fatto che si è mescolato molto abilmente la lana ai capelli posticci e ai capelli veri.

FAUSTINA MAGGIORE MOGLIE DI ANTONINO PIO

FAUSTINA MAGGIORE (105 - 140)

Anche se non bellissima Faustina fu molto amata, dall'imperatore e dal popolo. Come si vede, la capigliatura ha molte onde ma pochi ricci. il che denota una certa serietà di costumi, e forse fu amata anche per questo.

Non manca la lunga treccia che traversa la nuca in più giri fermata non si sa dove, ma questo era uno dei pregi maggiori delle pettinature di alta moda.

DONNA ROMANA META' II SECOLO


DONNA ROMANA META' II SECOLO

Bellissimo il volto, bravissimo l'artista e straordinario l'effetto, vista di fronte potrebbe essere una fanciulla stile liberty dei primi '900. Elegantissimi i ricci molto allungati sulle guance e sul collo, ed elegantissimo pure il cerchio sui capelli (che sembra moderno) legato sulla nuca.

FAUSTINA MINORE MOGLIE DI MARCO AURELIO

FAUSTINA MINORE (125 - 175)

Ecco ancora uno stile di capelli del tutto nuovo, capelli aderenti come una calotta, con gruppi di trecce che si incrociano dietro la nuca.

Un nastro passa intorno al viso fermando i riccioli lievi come onde del mare, probabilmente un nastro d'oro a molla che finisce senza congiungersi in due riccioli volti in basso.
Sopra al capo la usuale calottina che slancia il viso e fa sembrare più alte. Naturalmente è costituita da trecce raccolte a cerchio sul capo.

Si sa che le romane solevano anche rivestire i capelli con retine d'oro o veli con colori pastello che davano compattezza e precisione alla forma della capigliatura.



RAGAZZA ROMANA metà del II sec.

RAGAZZA ROMANA META' II SECOLO

Ecco il volto di una ragazza romana di ceto elevato, si capisce dalla capigliatura molto elaborata, eseguita da una schiava provetta, o da più schiave insieme.

La ragazza non solo ha una particolare pettinatura a bande ondulate e poi raccolte con grande precisione, ma ha un copricapo.

E' un cappello piuttosto insolito, ma non perchè, come immaginiamo, ne mancassero in giro di simili, ma perchè a noi mancano le immagini dei cappelli dell'epoca.

Ne abbiamo degli esempi dalla pittura, perchè nella statuaria tuttalpiù si sfoggiavano diademi e gioielli.

Questa giovinetta invece mostra un cappellino piatto che doveva essere vuoto al centro, un po' come il famoso "tutulus", si che da lì fuoriuscissero ciocche di ricci che andavano a coprire parte del cappellino, come si osserva sui lati.



ANNIA LUCILLA (150 - 182)



ANNIA LUCILLA
Ed ecco Annia Lucilla, moglie dell'imperatore Lucio Vero, con un diadema di cui si ignora il materiale, ma che potrebbe essere anche d'oro, un crescente lunare simile a quello della Dea Diana.

I suoi capelli sono composti ad ampie onde con volute irregolari e simmetriche che coprono completamente le orecchie.

Il diadema spartisce e tiene ferme sapientemente le onde che incorniciano il viso, separandole dalla sommità del capo da cui partoni capelli aderenti che scendono dietro a formare uno stretto chignon che si suppone in parte posticcio.

Nella statua è ancora evidente il colore dei capelli di un deciso biondo oro, ma non dimentichiamo che le romane conoscevano benissimo l'arte di decolorare nonchè di tingere le chiome matronali.




VIBIA SABINA MOGLIE DI ADRIANO

VIBIA SABINA (83 - 136)

VIBIA SABINA

Ecco la giovanissima moglie di Adriano (appena dodicenne) già agghindata per il suo destino di moglie e di augusta.

La pettinatura è costituita da trecce raccolte strettamente sulla nuca con sul davanti una cascata di riccioli "inamidati" con varie sostanze, con una fascia probabilmente di cuoio dorato inciso che sosteneva la cascata di riccioli.

Qui sotto invece la Vibia adulta, bella ed elegante, con un sobrio e morbido nodo di trecce sul capo e bande morbide di capelli annodati all'indietro.

A lato una pettinatura di trecce e nastri con una fascia sulla fronte che tiene fermi i due immancabili ricci davanti alle orecchie.




DOMIZIA LUCILLA (... - 160 circa)


DOMITIA LUCILLA MADRE
DI MARCO AURELIO

"Donna pia e generosa", come la definì suo figlio, l'imperatore Marco Aurelio.

Molto interessante la variazione dei gusti, qui la pettinatura, totalmente assente di ricci ma ricca di onde, è nel suo insieme piuttosto squadrata.

Questo non è dissonante però dal personaggio, donna dal volto un po' squadrato e dall'animo forte.

C'è però un vezzo poco pronunciato ma importante nell'insieme, e sono i riccioli che sfuggono alla precisa acconciatura della nobildonna.

Infatti sembrerebbero riccioli non tanto sfuggiti quanto voluti dall'acconciatrice in questione.

Senza dimenticare che a Roma vi fu anche la moda di portare fili con ciondoli leggerissimi dietro la nuca, sostenuti da fasce o nastri.

Ma non è questo il caso.




IULIA DOMNA (170 - 217)
JULIA DOMNA

Si nota un certo imbarocchimento nell'evoluzione delle capigliature verso la fine del II secolo.

In questa immagine la capigliatura somiglia un po' a una parrucca, pur conservando l'abilità dell'esecuzione.

Iulia Domna è la moglie dell'imperatore Settimio Severo e questa conciatura le conferisce un po' l'aria da imperatrice.

E imperatrice lo fu davvero, coraggiosa, donna ti influenza politica e di grande determinazione.

Questa pettinatura un po' la rappresenta, senza frivolezze, col sobrio diadema sul capo, un po' solenne e quasi cardinalizia.





CORNELIA SALONINA (..... - 268)

CORNELIA SALONINA MOGLIE DI GALLIENO
Anche le acconciature possono raccontare la decadenza dei tempi.

Moglie sfortunata di un marito valoroso e sfortunato che venne ucciso a tradimento. Cornelia ha un'aria alquanto diffidente e preoccupata, e il suo scultore l'ha colta tutta.

La capigliatura è ad onde , ma con delle innovazioni. Sulla fronte c'è la fuoruscita di una cortissima frangia e dietro sul collo, purtroppo danneggiato dalla famosa iconoclastia religiosa, si raccoglie una lunga e morbida coda avvoltolata con cura, che torna sul capo fissandosi alla sommità della testa.

L'effetto non è del tutto brillante, un po' per il viso tirato e non bellissimo dell'imperatrice, un po' per l'effetto cresta  che mascolinizza ancor più un volto non particolarmente femminile.

E' innegabile però ancora una volta l'abilità delle parrucchiere imperiali.



SALLUSTIA ORBIANA

Ignoriamo  la data sia di nascita che di morte di questa augusta che regnò pochissimo tempo, circa due anni,  a fianco dell'imperatore Alessandro Severo.

Dobbiamo prendere atto che nonostante i capelli siano composti e trattati col ferro caldo per farne una specie di permanente, ripresa quasi due millenni dopo nella moda degli anni trenta, il complesso dell'acconciatura non possiede più la fantasia e l'estro che aveva caratterizzato le acconciature delle matrone romane.

Quando una civiltà decade crolla tutto, compresa l'arte e il buon gusto e così fu. Toccherà aspettare il Rinascimento per vedere la prosecuzione dell'arte romana.

Per secoli la civiltà romana venne occultata e distrutta per perderne ogni memoria. Saranno proprio le scoperte dei resti sotterrati nelle vigne e sotto le case a svelare la bellezza di questa immensa e irripetuta civiltà.

DOMUS NERONIANA CINEMA TREVI

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LA DOMUS


Nel cinema Trevi si trova una di quelle sorprese che a Roma sono consuete ma comunque sbalorditive: ci si può immergere nelle profondità della terra ed entrare in un quartiere abitativo romano.

Le ricerche, condotte dalla Soprintendenza Archeologica di Roma), si sono svolte tra il 1999 ed il 2001 e
la disponibilità offerta dal Gruppo Cremonini, società proprietaria dell’immobile e committente dei lavori, ha consentito un'ottima valorizzazione del sito archeologico. 

CINEMA TREVI
Nella suddivisione amministrativa dell'Urbe in XIV regioni, voluta da Augusto, l’area del vicus Caprarius era compresa nella VII regio: essa prendeva il nome dall’antica via Lata, corrispondente all’attuale via del Corso.

Il suo territorio fu interessato dall'espansione edilizia della città solo a partire dall’età augustea. 

Il ritardo dell'urbanizzazione in questa regione, e la grande piana alluvionale chiusa ad ovest dalle anse del Tevere, conferirono a questa regio un profilo molto particolare. 

Mentre infatti lo sviluppo edilizio della città antica fu in gran parte legato ad una crescita spontanea quanto disorganizzata, la VII regio presentava un regolare impianto geometrico (indagato in particolare lungo l’antica via Lata, all’altezza di piazza Colonna) frutto di un vero piano urbanistico.

In questa organizzata espansione urbanistica fiorirono in quest'area insule e domus. Gli edifici messi in luce sotto la “Sala Trevi” sorgevano lungo il tratto urbano dell’antica via Salaria vetus, asse portante della VII regio unitamente alla via Lata. 

Nel tratto corrispondente alle attuali via di San Vincenzo e via dei Lucchesi il percorso assumeva la denominazione di vicus Caprarius: esso era molto probabilmente connesso ad una aedicula Capraria, antico luogo di culto la cui presenza è attestata proprio in quest’area.

DOMUS
Le indagini, estese per una superficie complessiva di circa 350 mq ed una profondità massima di circa 8-9 m, hanno rimesso in luce un vasto complesso edilizio di età imperiale che rappresenta una notevole testimonianza dell’antico tessuto urbanistico.

Infine il complesso archeologico, detto del «vicus Caprarius», dall’antica via romana attorno alla quale si sviluppava, è stato aperto al pubblico dal 2002.

Tutto ciò avvenne nel corso dei lavori per una nuova sala cinematografica, ma si sa che a Roma dove tocchi il sottosuolo scopri antichità romane.

Il guaio è che spesso vengono ricoperte, trafugate e distrutte. Durante i lavori si annuncia che verranno salvaguardati i beni sottostanti, che poi regolarmente diventano quattro anfore e tre tubi di piombo.

Nelle domus romane sotto al cinema Trevi le cose sono andate diversamente. La fabbrica doveva estendersi per una superficie di oltre 2.000 mq tra le odierne via di San Vincenzo (antico vicus Caprarius) ad ovest e via del Lavatore (che ricalca anch’essa un antico tracciato stradale) a nord.

Domus
Le dimensioni sono paragonabili a quelle delle grandi insulae sulla via Lata. Infatti gli scavi hanno messo in luce due edifici, di cui uno è un'insula di almeno tre piani, con botteghe al pianterreno, conservato in alzato per circa otto metri.

La prima fase costruttiva va fatta risalire all’epoca neroniana, per un’altezza complessiva originaria di circa 12 m, e venne trasformata nel IV sec. in una domus signorile con le pareti rivestite di marmi e pavimenti in mosaici policromi.

L’edificio rappresenta è pertanto una rara testimonianza della nova Urbs voluta da Nerone (dopo il grande incendio del 64 d.c. che devastò la città), nota finora quasi esclusivamente dalle fonti letterarie. 

Il pianterreno assunse probabilmente funzioni di servizio, lo testimoniano gli impianti idraulici qui scoperti: la latrina dotata di vasca per l’igiene personale ed una seconda vasca per l’approvvigionamento di acqua potabile, una disponibilità idrica riservata solo ad un ristretto numero di privati, nonchè relativa in genere solo al primo piano delle insule.

In seguito l'edificio rimaneggiato e abbellito con decorazioni e mosaici, statue e lapidi, marmi e decorazioni parietali e pavimentali.  In una fase successiva, databile in età adrianea (dopo l’anno 123 d.c.), il complesso subì una profonda trasformazione. 

DOMUS
I due ambienti più vicini al vicus Caprarius furono trasformati nei vani comunicanti di un unico grande serbatoio idrico, con capacità stimabile in circa 150.000 litri.

Il pavimento e le pareti, di cui fu raddoppiato lo spessore per bilanciare la pressione dell’acqua all’interno, furono rivestiti con uno spesso strato di intonaco idraulico (cocciopesto). insomma un serbatoio di distribuzione (castellum aquae) dell’Acquedotto Vergine. 

In un terzo periodo nel XII secolo circa, la struttura venne nuovamente rimaneggiata con materiali più poveri. Infine in età moderna divenne sede del Cinema Trevi.

Questo era il piano di lusso dell'epoca, quello che si chiamò in seguito il piano nobile, importante perchè non esistevano gli ascensori per cui fare poche scale era più comodo e perchè l'acqua non ce la faceva a risalire ai piani superiori.

Il primo piano doveva infatti svolgere una funzione di rappresentanza, come si usava all'epoca e come indicano in particolare, nell’ambiente da cui proviene il mosaico marmoreo pavimentale ora nell’antiquarium, i resti di rivestimento marmoreo parietale.

Sono state individuate due fasi di ristrutturazione dell'edificio, nella prima metà del II secolo e nell’età di Marco Aurelio (161-180 d.c.). 

Già abbellito comunque con decorazioni e mosaici, statue e lapidi, marmi e decorazioni parietali e pavimentali. Sin dall'età neroniana.

STATUA ACEFALA
Quando poi i Vandali di Genserico  nel 455 saccheggiarono la città causarono un incendio che distrusse il piano terra dell'edificio.

Il pianterreno venne quindi colmato da un interro di circa 4 m il cui scavo ha restituito, oltre a numerosi elementi lapidei dell’apparato decorativo, circa 14.000 frammenti di ceramica ed oltre 800 pezzi monetali in bronzo.

L’edificio sud si conserva per quasi 6 m e in origine doveva ergersi su almeno due piani, per un’altezza complessiva di circa 11 m. 

Fin dalla fase edilizia originaria, databile anche qui in età neroniana, l’edificio doveva svolgere una funzione pubblica.

Questo edificio ha alla base due ambienti, impiegati come serbatoio di acqua. Si tratta dell'«Acqua Vergine», o Aqua Virgo, che serve ancora quella parte della città e che ha la sua mostra monumentale proprio nella Fontana di Trevi.

Da qui il suggestivo nome di «Città dell’Acqua» dato al complesso, anche per la presenza costante di acqua sorgiva naturale, che copre in parte gli scavi. Le fonti letterarie riportano l’esistenza di ben 18 castella lungo il tratto urbano dell’Aqua Virgo, ma fino ad oggi nessuno di questi era stato ancora rimesso in luce.

Oggi il complesso visitabile è dotato di un antiquarium che accoglie alcuni interessanti reperti trovati in situ, ma ora, in occasione del decennale dell’inizio degli scavi, finanziati dal Gruppo Cremonini che possiede il palazzo, si è provveduto a un nuovo allestimento.

ANTIQUARIUM

Infatti tra i nuovi reperti esposti oltre ai bellissimi marmi bianchi lavorati e quelli colorati che appartengono alla decorazione della domus, c'e anche  l’eterogeneo materiale di uso quotidiano che riguarda le fasi post antiche del vicus.

Si va dal coltello e forchetta del XVII secolo, alle brocche e piatti in maiolica, alle olle e tegami del XVI-XVII secolo, alle bottiglie in vetro soffiato del XVII-XIX secolo.

L’interesse del luogo è legato proprio al fatto che i materiali esposti possono ancora raccontarci tutta la loro storia perché, invece di essere decontestualizzati in musei esterni, sono stati sistemati direttamente nell’area.

ANTIQUARIUM
I materiali esposti pertanto testimoniano l’esistenza, a partire dal Medioevo, di un’umile comunità stretta intorno alle fonti di approvvigionamento idrico rappresentate dalla Fontana di Trevi alimentata dall’Acqua Vergine, unico degli acquedotti antichi rimasto in uso.

Con una città assetata come Roma al tempo delle invasioni barbariche, questi insediamenti ebbero la loro ragione di essere  grazie soprattutto ai numerosi pozzi che attingevano alla falda acquifera presente nel sottosuolo.

Una “Città dell’Acqua”, che ebbe nel prezioso elemento il suo vero e proprio principio insediativo.

Gli scavi hanno così riportato in luce un grande serbatoio di distribuzione dell’antico acquedotto, che alimentava (attraverso tubazioni in piombo ancora conservate in posto) le vasche di una lussuosa residenza signorile posta nelle adiacenze. In secondo luogo l’acqua sorgiva, proveniente da una potente falda idrica, che sgorga nel sottosuolo filtrando attraverso le antiche murature in opera laterizia dell’area archeologica.


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SCOPERTA AD OSTIA ANTICA

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SCOPERTE UNA DOMUS E ALCUNE TOMBE A OSTIA ANTICA

LUGLIO 17, 2014

Ambienti residenziali e spazi sepolcrali sono riemersi al Parco dei Ravennati, l’area compresa fra gli Scavi di Ostia Antica e l’adiacente Castello di Giulio II.

La campagna di scavo, iniziata a giugno con 30 studenti di archeologia provenienti da tutto il mondo, ha individuato ambienti domestici di fine IV secolo caratterizzati da uno straordinario pavimento in opus sectile (in parte emerso nella campagna di scavi del 2013), e coloratissimi marmi policromi che definiscono precise forme geometriche.


Gli apparati decorativi ritrovati sono tipici di una domus tardo antica appartenente probabilmente ad una famiglia aristocratica. Accanto alla stanza in opus sectile si presenta un’area di riutilizzo, pavimentata con basoli, adibita ad attività commerciali e artigianali tra cui il commercio del pesce, testimoniato dal rinvenimento di ami e pesi di piombo per le reti.

Una strada basolata del III secolo d.C. divide l’abitazione da un mausoleo di tarda età Repubblicana che quest’anno ha rivelato una elevata concentrazione di sepolture. Alcune sono sepolture di infanti, del tipo in anfora e a cassone, che trovano riparo addossandosi alle strutture murarie di epoca romana. Le tombe ritrovate in prossimità del mausoleo sono disposte in maniera compatta e risalgono al III-IV sec d.C. Molte risultano disturbate, altre intatte, ricoprono sepolture precedenti in ambienti decorati con affreschi.


Il riuso del monumento funebre è attestato per un lungo periodo, fino al medioevo, forse in associazione al culto di Santa Monica o di Santa Aurea. All’interno del mausoleo si trova una struttura ottagonale, forse funzionale ad accogliere sei tombe. 


Il mausoleo circolare con deposizioni a inumazione rientra in una tipologia di riuso frequente in epoca tardo-antica e paleocristiana. Alcune sepolture a inumazione conservano frammenti in lamine di piombo di ‘tabellae defixiones’ con maledizioni per i profanatori delle sepolture. Nell’antica Roma, le defixiones erano testi di contenuto magico, spesso contenenti maledizioni, scritti su tavolette (tabellae) costituite da lamine di piombo incise a graffio, secondo una pratica descritta dallo storico Plinio il Vecchio.


Il Parco dei Ravennati è un’area verde di circa 15.000 metri quadrati che, due millenni or sono, si affacciava sul corso del Tevere, ora ricoperto di sedimenti. La tutela archeologica è assicurata fin dagli anni ’60, quando il rinvenimento puntuale di importanti strutture romane, creò le condizioni per un vincolo di tutela apposto dalla Soprintendenza ai beni archeologici, che negli anni ’90 ha ampliato la protezione di legge a tutto il borgo di Ostia Antica.


Recentemente la Soprintendenza ha riattivato le indagini sull’area accordando una concessione per un cantiere-scuola organizzato dall’American Institute for Roman Culture. Lo scavo si è svolto sotto il coordinamento scientifico di Paola Germoni, archeologo responsabile del sito, la co-direzione di Darius Arya e di Michele Raddi, e la collaborazione di Flora Panariti della Soprintendenza Speciale per i Beni archeologici di Roma.

Adnkronos


LE ARMATURE DEGLI IMPERATORI

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LORICA DI GERMANICO


LORICA (MUSCOLATA O ANATOMICA)

(VII sec. a.c - V sec. d.c.)

La lorica di Germanico, riportata qua sopra, dà un'idea della bellezza delle loriche destinate agli imperatori o ai grandi condottieri. Essa sembra rifarsi molto allo stie greco, riportando un mito che non riguardava certo Roma, cioè l'Amazzomachia, quando Atene venne quasi conquistata dalle Amazzoni che infine furono sconfitte e uccise. La lorica dei grandi generali e degli imperatori erano molto ricche e finemente lavorate, ma non fu così nei tempi più remoti.

In epoca arcaica le corazze erano semplici: due valve con il disegno abbozzato della muscolatura, unite sulle spalle e sui fianchi da lacci o cerniere e spesso queste protezioni erano in cuoio imbottito. Dal VII sec. a.c. comparvero in Etruria corazze ispirate a quelle greche del tipo bivalve, cioè un pettorale e un dorsale di bronzo, uniti da corregge, con una decorazione a sbalzo, spesso completati da una gorgiera.

Seguì poi il tipo anatomico che imitava la muscolatura del corpo umano, lo stesso che ritroviamo, arricchito di un gorgòneion, cioè di una testa di medusa orribile ma atrotopaica, nelle statue degli imperatori romani in età imperiale.

A questo tipo di corazza a due parti piatte o leggermente ricurve, si affiancavano armature elegantissime e complicate, che fasciavano tutto il tronco fino alle cosce.

Queste cingevano il busto iniziando dal collo che era leggermente scollato, si da lasciar sporgere la veste su cui poggiava, veste che sporgeva appena al di sotto delle ginocchia.

Queste armature, dette loriche (loricae) erano dette anatomiche o muscolate, in quanto riproducevano fedelmente l'anatomia muscolare di un uomo abbastanza giovane e prestante.



LE LORICHE DEI LEGIONARI

Le loriche dei legionari romani avevano in genere tre alti fascioni attorno al tronco, e la loro altezza esclude la possibilità del ferro, a favore di materiali semirigidi come cuoio o lino a strati. 

GORGONEION
Il corsetto è completato nella parte superiore da una protezione al petto e alle spalle: si evidenziano piccole scaglie (certamente di metallo) sovrapposte ad un elemento liscio che necessariamente non può essere metallico: pelle o cuoio, come qualsiasi altra lorica squamata. 
 
Completa la corazza una piastra pettorale con bottoni, che chiude la parte alta della lorica. Quindi un corsetto di cuoio (o lino indurito) da portare attorno al tronco anche senza gli spallacci in scaglie, dunque destinato alla protezione della schiena durante i lavori pesanti tipici di un legionario.

La Colonna Traiana (II sec. d.c) mostra corazze a segmenti di diversi tipi. Alcune corazze mostrano una lorica con regolare chiusura anteriore e posteriore, i cui spallacci sono segmenti unici, privi di cerniere  Questi dettagli tendono a farci ritenere che queste corazze siano in ferro, ma l'aderenza indicherebbe un materiale semirigido.
Le possibilità che i segmenti siano in ferro si riducono ancor più nei modelli cosiddetti 'sovrapposti'. Si tratta di corsetti che nella parte anteriore o posteriore, vedono una sovrapposizione a 'cappotto' con chiusura mediante bottone. Questo sistema di chiusura presuppone che i segmenti siano in trazione tra loro una volta chiusi dai bottoni, e questo male si adatta ad una corazza in metallo.

Nei modelli a segmenti continui i fascioni che avvolgono il torace del legionario continuano sul lato anteriore o, viceversa, su quello posteriore. E' evidente dunque che si trattasse di un materiale semirigido, perchè con segmenti di ferro non avrebbero potuto aprirli per  indossare o togliere la corazza.

Le loriche presentano inoltre una insenatura lungo la colonna vertebrale, che non è tanto una scelta artistica perchè ad esempio manca sul petto, e non era su tutte le loricae a segmenti come si osserva nella colonna Traiana.
Si tratta di una nervatura che mantiene la parte posteriore del corsetto aderente alla schiena evitandone così il peso sui fianchi, che avrebbe limitato movimenti e respirazione.



LE LORICHE DEGLI IMPERATORI

Le loriche degli imperatori non avevano avambracci, se non degli spalloni tagliati sotto le ascelle onde permettere l'alzamento delle braccia. Si hanno tutte le ragioni per sostenere che pure le loriche anatomiche degli imperatori fossero di cuoio, seppure ornate e decorate con elementi di metallo di gran pregio.

IMPERATORE META' II SECOLO
Nulla toglie che molte loriche di cuoio fossero però lavorate sul cuoio stesso mediante il calore. Ma è logico che gli imperatori e i militari di alto rango si facessero fare preziose applicazioni in metallo dorato sulle armature. Sicuramente ornamenti realizzati in fusione e ritoccati col cesello, e poi bagnati nell'oro.

Non potevano essere d'oro quelle usate nelle battaglie perchè si sarebbero rovinate facilmente, ma potevano ben esserlo quelle da cerimonia. L'oro matto sulle armature di cuoio scuro dovevano fare un bellissimo effetto,

Del resto fin dall'epoca ellenica le loricae anatomiche o muscolari furono sempre appannaggio dei ranghi più elevati, a causa dei costi  molto alti per la loro realizzazione, che richiedeva fabbri e incisori eccezionali.

Infatti la lorica, come si vede in quella di Germanico, era sempre lavorata a rilievo e a cesello per le rifiniture, creando veri e propri bassorilievi con scene mitiche e simboli epici o divini.

Mentre le armature dei popoli italici erano lasciate al gusto, alle disponibilità economiche, e a quanto veniva requisito come preda bellica, man mano che Roma crebbe e si organizzò vennero standardizzate le armature per i vari gradi dei legionari, tenendo conto di ciò che poteva tornare più utile in battaglia nonchè dell'impatto visivo adatto a impressionare amici e nemici.

Ad esempio Cesare fece forgiare per i suoi legionari degli splendidi gladio incisi affinchè i soldati non solo dessero l'idea di essere forti e ricchi, e di conseguenza Roma ricca e invincibile, ma anche che fossero ancor più attaccati all'arma e facessero il possibile per non farsela portare via dal nemico.

Le iconografie del periodo imperiale ci hanno tramandato anche modelli molto più elaborati, arrivando a esemplari riccamente decorati a sbalzo o con applicazioni in metallo che, purtroppo, ci sono stati restituiti in rari frammenti, ma che dalle evidenze lapidee, erano veri capolavori, indossati da figure di grande rilievo.



RINVENUTA UN'INTERA ARMATURA ROMANA

"Il Comune di Cento, l’Università degli Studi di Ferrara - LAD (Laboratorio della Antiche Province Danubiane) Dipartimento di Scienze Storiche, in collaborazione con la Fondazione Carice e Cassa di Risparmio di Cento, hanno reso possibile un evento di eccezionale interesse scientifico: una splendida armatura di epoca romana, con il suo intero apparato, uno dei più considerevoli rinvenimenti archeologici di questi ultimi anni, sarà esposta presso la Pinacoteca Civica.

L’Armatura proviene dalla Colchide, mitica terra degli Argonauti, attuale Georgia, territorio di grande feracità archeologica, dove una Missione archeologica dell'Università di Ferrara sta riportando alla luce un'imponente necropoli. 


L'Armatura della Colchide rappresenta un prezioso reperto di grande impatto visivo e di indubbio valore artistico, costituito da un’intera panoplia (armatura) in ottone, databile orientativamente al I-II secolo d.c


Costituito da un elmo a maschera, una lorica anatomica (parte anteriore e posteriore), due bracciali, due schinieri, sei pterugi ed una punta di lancia, il reperto rappresenta un vero e proprio unicum, in quanto sinora non era mai stata ritrovata un’armatura intera e perfettamente integra; senza contare poi la lorica, dal ricco apparato iconografico, opera di un’officina di grande perizia tecnica.

Sino ad ora la conoscenza delle loriche anatomiche si evinceva esclusivamente dalle statue loricate degli imperatori. 

Ciò consente di comprendere quanto importante sia questo ritrovamento e quante preziose informazioni consentirà di fornire agli studiosi."



GLI IMPERATORI


GIULIO CESARE

La statua di Giulio Cesare mostra un'armatura forse di pelle, come era spesso d'uso, affinchè si notasse il fisico scultoreo dell'eroe, rifinito però con applicazioni probabilmente in oro o bronzo dorato. 

Queste evidenziavano il laccio che teneva unite le due parti dell'armatura, quella anteriore e quella posteriore. Il laccio morbido si allacciava davanti con un doppio nodo che veniva ripassato attraverso la fascia.

Sopra l'armatura indossa il mantello da generale e sotto la corazza porta una clamide fino al ginocchio. Ai piedi indossa sandali di tipo militare sui piedi nudi.

Sulla corazza in alto si riconoscono due grifoni posti a specchio con un fregio centrale, che potrebbe essere stato anche un trofeo, ma sembra più probabile fosse un alto braciere.

Poco più in basso ma sempre nella parte alta dell'armatura si scorgono quelli che sembrano essere una lupa e probabilmente un toro, con riferimento alla Lupa di Roma e al suo segno zodiacale, il toro, che portavano sullo stendardo i suoi legionari.

Nella parte inferiore della corazza vari fregi floreali, incluse foglie di acanto. mentre delle fibie sorreggono la parte più bassa dell'armatura che comprende decorazioni di cuoio o di metallo, e qui sembrerebbero di metallo, con teste di leoni, una testa di Medusa al centro e una seconda fila con palmette più in basso.

Al di sotto ancora gli pterigi, le fasce di cuoio semplici, spesso frangiate come queste sono, e piuttosto spesse che servono ad attutire eventuali colpi alle cosce.

Un'armatura così deve essere in cuoio magari dorato o con inserti in oro. Se fosse in bronzo sarebbe pesantissima perchè risulterebbe opera di una fusione che richiede un notevole spessore della lastra.

Ma poteva anche essere in ferro, cioè in acciaio, vale a dire ferro battuto ripiegato e ribattuto ed elevate temperature, si che detto ferro fosse anzitutto più refrattario alla ruggine. I soldati erano esposti alla pioggia, alla neve, e pure al loro stesso sudore: un normale ferro di sarebbe arrugginito in
poco tempo, divenendo più fragile e pericoloso per i legionari.

I romani lo chiamavano “ferro duro” cioè acciaio, per ottenere il quale usavano carbone di legna in pezzi più grossi e in maggior quantità, prolungavano il tempo di fusione e riducevano il tiraggio fino a ottenere il grado di carburazione desiderato.

Per ottenere l'acciaio i romani seguivano l’antico processo di cementazione che, mediante carburazione in una forgia, produceva uno strato esterno di acciaio sul ferro saldato. I fabbri greci e
romani usavano questa tecnica con molta abilità ed erano in grado di ottenere un vero e proprio
acciaio mediante la tempra, il rinvenimento e la ricottura.

Dall’esame di alcune spade romane del IV sec. d.c. apprendiamo  che, per ottenere un buon taglio, erano usate le seguenti tecniche: 
a) saldatura di una striscia di acciaio damaschino su entrambi i lati di una lama d’acciaio duro, 
b) saldatura di bordi taglienti di acciaio duro su ferro, 
c) cementazione superficiale mediante una lunga fucinatura.


STATUA DI AUGUSTO DI PRIMA PORTA

OTTAVIANO AUGUSTO

Potrebbe essere la copia di un originale in bronzo dedicata all'imperatore dal senato nel 20 d.c. e collocata probabilmente nel Foro, e la perfezione e lo splendore della scultura fa pensare a uno scultore greco. Alcuni studiosi ritengono che Tiberio, il figlio adottivo di Ottaviano, abbia regalato la statua in marmo alla madre Livia dopo la morte del padre.

Questo spiegherebbe la presenza di una statua propagandistica dentro la villa di Livia. E si spiegherebbero pure i rilievi sull'armatura: la restituzione delle insegne romane perse nella campagna partica di Crasso e le conquiste occidentali, dove Tiberio si copre di gloria.
Naturalmente la statua poteva essere invece un dono di Augusto alla moglie Livia, che servirebbe a rammentarle il suo sostegno a Tiberio, di cui si celebrano le imprese in oriente e in occidente. Invece regalare la statua di se stesso alla moglie, sebbene Augusto fosse tutt'altro che modesto, appare davvero eccessivo.


La statua rievoca certe immagini celebrate nel "Carmen saeculare" di Orazio, letto pubblicamente per la prima volta il 17 a.c., durante i Ludi Saeculares, indetti dall'imperatore per celebrare la venuta della nuova Pax romana e dell'età dell'oro.

"alme Sol, curru nitido diem qui
promis et celas aliusque et idem
nasceris, possis nihil urbe Roma
visere maius".
(Orazio - carmen saeculares)

Tradotto modernamente:

"Sole che sorgi libero e giocoso
sui colli nostri i tuoi cavalli doma
tu non vedrai nessuna cosa al mondo
maggior di Roma"
(Inno a Roma - Fausto Salvatori - Musica di Giacomo Puccini 1919)

La corazza imperiale, scolpita come aderente, che mette in mostra alla greca il fisico atletico dell'imperatore, era tipicamente in pelle con inserti in metallo, come usava all'epoca. I rilievi che la decorano poi mettono in risalto alcune particolarità dell'imperatore, dalla divinità a cui si ispira alla sua illustre discendenza o ai simboli romani di cui è portatore, riferita ai miti che prediligeva o con cui si identificava nonchè al messaggio propagandistico che voleva trasmettere ai sudditi. Insomma attraverso la corazza l'imperatore trasmetteva un messaggio che lo descrivesse come lui voleva.

Ed ecco i rilievi della corazza di Augusto:

- In alto una personificazione del Caelum, una divinità che Igino nelle Fabulae scrive fosse figlio del Giorno (Dies) ed ebbe come fratelli la Terra e il Mare.
Il Caelum, tipo Fatum era il destino di Ottaviano di governare Roma in qualità di Augusto, per la gloria dell'imperatore e dell'Urbe.

- Sotto di esso la quadriga guidata dal Dio Sol, Indiges prima e Invictus poi. Che rievoca molto l'Helios greco. Augusto si identificava molto, infatti aveva una speciale venerazione per Apollo, che a Roma era il Dio del Sole.

- Verso destra la Luna quasi è completamente coperta da l'Aurora (o il Dio della luce del mattino Phosphorus).
La luna, Dea notturna, quasi scompare all'inoltrarsi dell'Aurora, portatrice della luce del nuovo giorno, un'alba di pace e di gloria sotto il regno di Augusto.

- Al centro il re dei Parti Fraate IV restituisce le insegne catturate ai Romani alla sconfitta di Crasso; il generale romano raffigurato con ai piedi la lupa di Roma deve essere Tiberio, vincitore della campagna partica. Ma per altri è Augusto o in legionario romano oppure Marte stesso.
"Si vis pacem para bellum". "se vuoi la pace prepara la guerra" era anche il motto di Augusto che tuttavia, essendo più un grande politico che un grande condottiero, preferiva davvero la pace alla guerra. Riacquisire però le insegne romane perdute da Crasso era cancellare un'infamia e una vergogna per Roma. Nessuno doveva vantarsi di possedere delle insegne romane, segno di sconfitta per Roma.

- Ai due lati due donne che piangono. Quella a destra tiene in mano uno stendardo sui cui è raffigurato un cinghiale e la tipica tromba celtica a forma di drago: il carnyx. Quella a sinistra, in atteggiamento di sottomissione, porge un fodero senza gladio. 
È possibile che la prima rappresenti le tribù celtiche del Nord-Ovest della Spagna, Astures et Cantabri, conquistate da Augusto, oppure la Gallia stessa che sempre dall'imperatore era stata pacificata tra il 12 e l'8 a.c.; la seconda invece, non completamente disarmata, potrebbe raffigurare le tribù germaniche tra il Reno e l'Elba oppure i regni dell'Oriente ellenistico, clienti di Roma. In ogni caso sono nemici vinti e legati al giogo di Roma.

- In basso, semisdraiata, si trovano la Dea Tellus, la Terra, con un corno colmo di frutta e due neonati che si afferrano alla sua veste (simile alla Tellus Mater dell'Ara Pacis).
Augusto teneva molto alle tradizioni gloriose di Roma che ne segnavano il destino di Caput Mundi.

La statua di Augusto, di posa mollemente eppure energicamente ellenica, non porta calzari ai piedi, come ricordasse gli antichi soldati della Roma monarchica o dei primi periodi repubblicani, una trovata pubblicitaria per far apparire Ottaviano come soldato di antiche tradizioni e virtù.

NERONE

NERONE

In questa armatura di Nerone due fanciulle, ninfe o geni o Nike che siano, forse anche alate o con svolazzanti mantelli, cavalcano due grifoni sicuramente alati. Al centro l'immagine è cancellata ma dovrebbe trattarsi del sacro braciere. Sopra è scolpita una feroce testa di Medusa, adatta a spaventare i nemici.

Nell’Impero Romano vi furono potenti corporazioni di fabri a Milano e a Brescia; entrambe
usavano ferro norico e acciaio. Al tempo di Plinio, Como era famosa per la sua industria del ferro.

A Populonia vi erano ancora alcuni fabbri ferrai, ma in buona parte il commercio del ferro si svolgeva a Pozzuoli, dove però non risulta una corporazione di fabri, forse perchè le fucine erano tenute da schiavi imperiali. Al contrario, nella valle del Po le corporazioni di fabbri erano tanto potenti da avere una propria voce nella politica imperiale.

Da queste fucine, le migliori del mondo conosciuto, uscirono le splendide armature degli imperatori e dei grandi generali romani.


TITO

TITO

Sulla corazza porta il simulacro dell'antica Dea tra due grifoni, sugli pteruges (le frange al termine dell'armatura toracica) teste di leoni e mascheroni, ancora teste di leoni sui calzari a gambaletto.

I grifoni, anticamente simboli asiatici e greci della ferinità della Dea Natura, passarono poi a rappresentare la ferinità e rapacità dell'esercito romano. Il braciere sacro a cui i grifoni si rivolgono, era il simbolo della Dea, il sacro fuoco di Vesta, che rappresenta anche il fuoco che sostiene Roma, vale a dire la sua essenza divina. Insomma Roma è la città sacra.

Per celebrare una guerra vittoriosa si seguiva lo schema fisso della:
- Profectio, partenza
- Costruzione di strade, ponti o fortificazioni
- Lustratio, sacrificio agli Dei
- Adlocutio, incitamento delle truppe (classica la statua di Augusto di prima Porta, raffigurato in piedi, con il braccio destro alzato e il gesto di attirare l'attenzione per il discorso incitatorio all'esercito prima della battaglia).
- Proelium, battaglia
- Obsidio, assedio
- Submissio, atto di sottomissione dei vinti
- Reditus, ritorno
. Triumphus, corteo trionfale
- Liberalitas, atto di beneficenza.

Spesso così gli imperatori appaiono in una di queste manifestazioni nei bassorilievi, o nelle statue, con in mano un oggetto che simboleggia lo scettro del comando, la legge, la patera, a seconda che vogliano sottolineare l'aspetto militare, civile o religioso.

Ma anche l'armatura significa qualcosa a seconda dei simboli che riporta. In genere i grifoni rappresentavano la rapacità guerriera dei romani al servizio dell'eterna Urbe, ovvero Roma divinizzata. Che appartenesse all'antica Dea asiatica non importava, o forse quel ricordo era andato perduto.

DOMIZIANO 2

DOMIZIANO

Nell'armatura di Domiziano 1 due Nike scudate si rivolgono a una Dea che si erge su una colonna e che ha tutta l'aria di essere Atena con scudo e lancia.

DOMIZIANO 1
Non dimentichiamo che la Dea Roma fu spesso assimilata, almeno nell'aspetto, alla Dea Atena.

Invece nell'armatura qua sotto (Domiziano 2) si notano in basso due Dee che sorreggono l'una un cesto di frutta e l'altra un mazzo di spighe, come dire Opi e Cerere.

Al centro, ma la statua è molto corrosa, sembra scorgere un serpente, simbolo della Dea Terra. A lato c'è una figura su una cavalcatura ma è difficile da identificare.

Alcune differenze tra arte greca e romana, si notano anche dal tema principale della rappresentazione artistica: i Greci trasfiguravano in mitologia anche la storia contemporanea (le vittorie sui Persiani o sui Galati diventavano centauromachie o lotte fra Dei e Giganti o ancora amazzonomachie), mentre i Romani rappresentavano l'attualità e gli avvenimenti storici nella loro realtà.

Pertanto le corazze degli Imperatori, Augusto a parte, non ebbero decorazioni particolarmente complesse, e nemmeno furono così dissimili tra loro. Questa decorazione delle armature di Vespasiano e di Domiziano sono praticamente identiche e danno il via ad un modello che sarà spesso ripreso, ma fu già usato anche da Nerone come si osserva sulla statua che gli è pertinente.

I due grifoni fronteggiano un tripode, colonnina, cero, simulacro, comunque emblemi molto somiglianti, con al centro del petto una gorgoneion.

La Gorgonein o Testa della Gorgone, o Testa di Medusa era il capo che Perseo, con l'ausilio di Minerva tagliò ad una delle tre Dee Gorgoni, che si chiamavano Medusa, Stheno, ed Euryale, decapitando per l'appunto la feroce Medusa dai capelli di serpi.

Medusa aveva la ferale capacità di trasformare in pietra chiunque la guardasse, per cui Perseo vince con lei tutti i nemici, ma siccome stava un po' esagerando Atena gli toglie il cimelio attaccandolo al suo scudo o al suo seno. In realtà compare sempre sopra la sua veste all'altezza del seno. Counque, indossato da Atena, più che pietrificare sembra terrorizzare i nemici che si disorientano e diventano proclivi alla fuga.

Lo stesso effetto era auspicabile per gli imperatori che ponevano il simbolo medusaceo sulla propria corazza. Non dimentichiamo però che il simbolo è greco anche se acquisito dai Romani.

TRAIANO 1

TRAIANO

Nessuna di queste loriche metalliche è arrivata fino ai giorni nostri, tuttavia è tra le più conosciute, grazie alle numerose statue giunte sino a noi. Le statue più antiche sono caratterizzate da un alto livello di dettagli del torso, mentre quelle più recenti presentano degli ornamenti in rilievo, spesso anche applicati.

La lorica in cuoio, in genere rafforzata con un rivestimento metallico a difesa del petto e del ventre, consentiva maggiore mobilità e libertà di movimenti, rispetto alle loriche metalliche, e una migliore difesa rispetto la lorica interamente di cuoio, per la presenza del rivestimento metallico.

TRAIANO 2
Il tema del materiale delle loriche degli imperatori comunque non è risolto ed è tutt'oggi dibattuto, per le usanze sia precedenti che successive, però sarebbe opportuno distinguere la corazza normale da quella da cerimonia, che sicuramente ogni imperatore possedeva, e non è improbabile che quella rappresentata nelle statue fosse quella ufficiale.

Questo perchè il popolo aveva a memoria delle loriche imperiali più nelle cerimonie, sia trionfi che compleanni o ricorrenze varie, che erano piuttosto frequenti, che non delle partenze alla guerra con l'imperatore tutto armato, per ovvi motivi piuttosto rari.

Poichè le armature, specie di metallo, pesavano, se ne deduce che quelle da cerimonia fossero molto leggere ed adatte ad essere indossate per molte ore di fila come accadeva appunto nelle grandiose cerimonie e processioni romane che duravano quasi tutto il giorno.

Nella corazza indossata nella fig. Traiano 1 sono evidenti le due nike che onorano e brandiscono gli scudi in una specie di danza sacra per onorare la Dea che sta al loro centro, anche qui una Dea che è una via di mezzo tra Atena e la Dea Roma.

Ha infatti accanto a sè una civetta e un serpente, la prima caratteristica di Atena, il secondo pertinente a tutte le Dee Madri. Ma ciò che la fa connotare come Dea Roma è la testa di lupa che ha sul capo, come indossavano i milites romani, cioè i velites.

I Romani si consideravano infatti figli di Marte e pure della lupa, ambedue simboli di guerra e di aggressività selvaggia. ma ritenuti favorevoli ai romani.

TRAIANO 3
Evidentemente l'imperatore concordò un'antica armatura greca con una romana, accontentando così l'immagine di Atena, Dea delle guerra, con Roma Dea guerriera che tutti i popoli dovevano rispettare e temere,

Nella figura Traiano 3, dove l'imperatore è più anziano, Traiano appare con l'alloro del trionfo sul capo, passato poi ad essere il simbolo degli imperator, e con l'antica armatura asiatica dei due grifoni affrontati con al centro il braciere sacro, retaggio del tripode sacro alla Dea oracolare.

Sul petto troneggia la Medusa raggiata, in quanto spesso l'ex Dea, anzichè apparire coi serpenti, aveva un'aureola di raggi solari, unendo in sè le caratteristiche della Terra e del Sole.

Da notare che, sulle cinghie in alto che agganciano l'armatura sul davanti, sono scolpite due immagini di fulmini di Giove insolitamente alati. E' un connubio Giove-Nike, il Padre degli Dei che porta la Vittoria (Nike).

Chiudono in basso delle foglie di acanto e dei fregi floreali. Più sotto, sugli pterigi, l'aquila ad ali spiegate, grifoni, teste di leoni. L'aquila era l'alto spirito dell'Impero Romano, colei che guardava dall'alto e tutto dominava, fiera e indomabile. Anche le teste leonine erano simboli romani, in qualità di re degli animali selvaggi, forti e senza pari.

ADRIANO 1

ADRIANO

Statua di imperatore con corazza, altezza cm 184, ritrovata nel teatro di Vaison-La-Romaine, Francia. probabilmente attribuibile ad Adriano.

In questa armatura (Adriano 1) l'imperatore ha una corazza piuttosto semplice, con due grifi nella parte superiore dove tuttavia doveva esserci una figura centrale che invece è rimasta cancellata, probabilmente il braciere rituale acceso, con un'aquila più in basso che probabilmente poggia sul fulmine di Giove come di consueto.

Più in basso ancora una testa leonina, trofei e fregi floreali. Di nuovo troviamo la fascia che chiude l'armatura col nodo sul davanti.

ADRIANO 2
Questa corazza, di Adriano 2, appartenente a una statua che riproduce l'imperatore Adriano con la sua armatura, fa intuire quanto articolate fossero le corazze degli imperatori, sia perchè in battaglia difficilmente si trovavano a combattere, circondati come erano dalla guardia pretoriana, sia perchè all'epoca gli imperatori difficilmente subivano sconfitte, per il loro addestramento, per la loro bravura  e per il senso della patria.

Comunque nonostante la statua sia acefala, vittima della cancellazione romana dei tempi bui dell'impero, la si può comunque riconoscere, come d'altronde la corazza di Adriano 1, scolpita in modo magistrale come forgiata e cesellata in modo magistrale doveva essere la sua armatura nella realtà.

Secondo alcuni  la corazza di questa statua raffigurerebbe Atena che indossa l'egida ed è incoronata da due Nike. Accanto a lei sono due dei suoi simboli, la civetta e il serpente. Si erge su una rappresentazione della lupa che allatta Romolo e Remo. Le immagini riecheggiano così l'interesse di Adriano a coniugare la cultura greca con quella romana. 

Su di essa infatti è rappresentata una Dea che porta nella mano destra un elmo, mentre poggia i piedi su di una lupa che allatta due gemelli. Ai lati due geni femminili alati, o Nike, le offrono qualcosa, forse i loro scudi a protezione, mentre su due motivi floreali si poggiano da un lato un serpente e dall'altro o un'aquila o una civetta (ma si direbbe una civetta).

Quest'ultimo dettaglio potrebbe distinguere la Dea Roma dalla Dea Minerva. Tenendo conto però che la Dea tiene in mano ed anzi ostenta il suo elmo, gesto assolutamente inedito per Minerva, lascia pensare al "caput mundi" di cui si fregiava Roma e la Dea che la rappresentava. Tanto più che la divinità poggia o piedi sulla lupa che allatta i fatidici gemelli, quindi trae origine da loro, il che la riconferma come Dea Roma.

Nel resto dell'armatura le aquile si riferiscono all'impero romano, e non manca nemmeno Giove ammonio, in Dio dalle corna di ariete, mezzo romano e mezzo egiziano, visto che si mescola al Dio Amon. Il serpente rimanda invece al culto della Dea Terra, o Tellus, l'antica Dea, che appare nella parte bassa dell'armatura ai due lati, con capo coperto, cioè matrona, e scoperto, cioè Core, fanciulla, con riferimento ai miti greci che Adriano amava tanto, come Demetra e Core.

ADRIANO 3

Più chiara l'armatura della statua bronzea di Adriano 3, non dimentichiamo che Adriano si fece ritrarre più di Augusto, che amava moltissimo la propaganda e la sua immagine. Si contano statue con ben ottanta pose diverse disseminate nelle loro numerose copie in tutto l'impero (60 pose per Augusto, almeno quelle reperite)
.
Qui (Adriano 3) l'armatura sembrerebbe decorata da due grifi che fanno ala alla figura di Ercole col fatidico copricapo a pelle di leone. E' evidente che Adriano molto di identificava con Ercole che ricorre in varie armature con cui si fece ritrarre e che sicuramente indossò.


IMPERATORE META' II SECOLO

A CHI APPARTENGONO

Nella figura qui sopra compare nella parte superiore della corazza, Elios che guida la quadriga del Sole, mentre trasvola il mare rappresentato con le onde all'uso cretese (e pure etrusco).
Più in basso due Vittorie alate, ovvero due Nike innalzano gli scudi a respingere o proteggere (visto che uno scudo è imbracciato da una Nike, mentre l'altro è mostrato dall'altra Nike) una strana figura col capo totalmente velato, che si rivela però un manichino, perchè il busto è issato su una base lignea o marmorea. Quest'ultimo dà perciò l'idea di un trofeo di guerra,

IMPERATORE META' II SECOLO
Intorno fregi floreali e una palmetta. Più n basso, sugli pterigi, le strisce dell'armatura che proteggono le cosce, osserviamo le cosiddette teste di medusa, teste di lupo, palmette e fregi floreali.

Nella figura qui sopra, di cui si ignora l'appartenenza, compare, nella parte superiore della corazza, Elios che guida la quadriga del Sole, mentre trasvola il mare rappresentato con le onde all'uso cretese (e pure etrusco).

Più in basso due Vittorie alate, ovvero due Nike innalzano gli scudi a respingere o proteggere (visto che uno scudo è imbracciato da una Nike, mentre l'altro è mostrato dall'altra Nike) una strana figura col capo totalmente velato, che si rivela però un manichino, perchè il busto è issato su una base lignea o marmorea. Quest'ultimo dà perciò l'idea di un trofeo di guerra,

Infatti due barbari, pertanto barbuti, fanno offerte votive ai grifoni mentre sono legati schiena a schiena in posizione inginocchiata. Sono i nemici sottomessi da Roma.

Intorno fregi floreali e una palmetta. Più n basso, sugli pterigi, le strisce dell'armatura che proteggono le cosce, osserviamo le cosiddette teste di medusa, teste di lupo, palmette e fregi floreali.

LUCIO VERO
Ambedue le statue sembrerebbero riferirsi a Traiano, solo che Traiano appartiene al I sec, e pochissimo al II sec. (98 - 117). Invece appartengono alla metà del II sec. ben tre imperatori:

Antonino Pio (138-161), Marco Aurelio (161-180) (dal 177 col figlio Commodo), Lucio Vero
(161-169). Effettivamente abbiamo una statua di Antonino Pio con due grifoni che si fronteggiano

Di Lucio Vero abbiamo questo busto in armatura che però non dice granchè, a parte che l'armatura sembra fatta a scaglie, ma non sappiamo se fossero scaglie vere, cioè di acciaio, e in questo caso sarebbe la lorica squamata, in genere in ottone o in ferro, o applicazioni leggere su su cuoio.

Naturalmente per l'imperatore non sarebbe stata in ottone, più pesante e facile da trapassare con le frecce, ma di ferro trasformato in acciaio dalla lavorazione, per cui sarebbe stato più resistente e sottile. Unica figura visibile la testa di una Medusa non di grande fattura, come usava per tradizione.

ANTONINO PIO 1


ANTONINO PIO (86 - 161)

Quasi identica all'armatura di traiano è questa armatura di Antonino Pio, sempre coi grifi che si guardano. più un basso, sulle frange so notano teste umane, teste di aquila, fregi floreali ed elmi.

ANTONINO PIO 2
In quest'altra armatura, Antonino Pio 2, ha l'armatura del trionfo, della conquista. Oltre a impugnare il lungo scettro prezioso da imperatore, porta raffigurate sul petto due Nike che gli porgono la corona d'alloro mentre in basso giace la provincia o la città conquistata nelle spoglie di una donna che regge un'arma rimessa nel fodero, come un nemico vinto.

Ai lati due figure a specchio, che sembrerebbero due Ercole bambino che strozza il serpente Pitone. Più in basso ancora una testa di Medusa, oltre a teste con e senza elmo e palmette decorative.
Questa corazza è pertanto la glorificazione di Antonino il vincitore dei nemici, il salvatore della patria, colui a cui gli Dei consegnano la vittoria.

ANTONINO PIO 3

Nell'immagine qui a fianco, Antonino Pio 3, invece Antonino è totalmente cambiato, invecchiato e appesantito.
E' molto diverso dal bel fisico e il nobile aspetto dell'imperatore da giovane.

Si sa che gli artisti romani erano impietosi e ritraevano le persone senza filtri ammorbidenti, sia nell'aspetto che nell'espressione.

L'imperatore sembra un po' mostruoso, gonfio. con lo sguardo malevolo e le labbra all'ingiù.

Ma sulla sua armatura si scorge una gorgoneion anche se rovinata.
L'altorilievo è dell'antica città di Eritrea.



MARCO AURELIO (121 - 180)

MARCO AURELIO 1
Tacito spiega che "Il soldato romano invece, agile sotto la corazza leggera" "Romanus miles facilis lorica" i legionari al contrario dei nemici non erano impacciati dall'armatura, il che fa ancora pensare ad un'armatura di cuoio, perchè di sicuro quella di ferro o peggio di bronzo erano pesantissime.

Rendiamoci però conto che i romani ribattevano il ferro un po' come facevano i giapponesi per le katane, anche se non fino a quel punto, riuscendo tuttavia a ottenere un acciaio resistente e leggero rispetto alle altre armature.

Nella lorica di Marco Aurelio 1 due Nike danzanti attorniano la Dea che si erge su di un tripode.

MARCO AURELIO 2
Sul petto della corazza troneggia il gorgoneion, cioè la testa di Medusa che l'imperatore indossa come novello Perseo.

Tuttavia l'eroe greco uccise la Gorgone ma non se pose il capo sul petto, azione che fece Atena, ponendo il capo della Medusa sul vergineo seno.

Sulla corazza Marco Aurelio 2 riporta i soliti grifoni affrontati con al centro il sacro braciere.

Sugli pteruges non è stata eseguita alcuna applicazione nè alcun rilievo. La corazza è piuttosto semplice, riflettendo però che l'imperatore Marco Aurelio era uomo semplice e sobtio.
Un vero filosofo dall'animo semplice.

Magnifica l'armatura di Marco Aurelio 3 (ancora giovane) anche perchè molto ben conservata la statua. Non mancano i due grifoni raffrontati che sorreggono o meglio esaltano un grande cero.

Quest'ultimo non avrebbe senso se non fosse retaggio di un simbolo più antico, quello della Potnia Theron, la Signora delle Fiere, o Signora delle Belve, che in tempi molto arcaici era rappresentata come un albero stilizzato, o una colonna. Per ovvie ragioni in epoca patriarcale il simbolo venne modificato ma in qualche modo restò.

MARCO AURELIO 3
Sopra i grifoni due larghe strisce di cuoio che servivano a fissare le due parti, dorsale e pettorale dell'armatura, ma che ora sono solo ornamentali, riportano il simbolo del fulmine di Giove. Tra i sue inserti c'è la consueta Gorgoneion, la testa di Medusa che spaventa i nemici, in questo caso di Roma.

NERVA

NERVA

L'armatura di Nervaè simile alle precedenti di Adriano, Traiano, Tito, Domiziano e Vespasiano, con i fulmini di Giove sulle corregge dell'armatura, una specie di testa di Medusa piuttosto asiatica che greca, i soliti grifoni con dietro il braciere che però stavolta è spento, e sugli pterigi teste di caproni, di arieti, di leoni, di elefanti e mascheroni.

Ma c'è qualcosa che colpisce in quest'armatura, o vero nella sua decorazione. Non solo il fuoco è spento ma i due grifoni non si fronteggiano più, il loro sguardo è rivolto all'esterno.

Il grifone è un mitico animale  di origine mesopotamica che presto si diffuse in area mediterranea occidentale, aveva un corpo in parte di aquila e in parte di leone, talvolta con coda di serpente.

Erano un simbolo della Dea Natura, rappresentata come Signora delle Belve che governa la terra e le sue fiere, fiere simboleggiate dai due grifoni, energie della terra e dell'uomo, pertanto istinto animale governato.

Questo istinto era all'inizio governato dalla Dea, che costituiva il fuoco sacro. Dunque negli uomini le energie erano rivolte all'interno e non all'esterno. Nelle iconografie più antiche i grifoni erano sempre centrati all'interno, e sovente su un fuoco sacro. successivamente le immagini asiatiche della Grande Madre ebbero una colonna o un braciere spento al centro e i due grifoni guardavano all'esterno.

Ciò indica che le energie dell'uomo, prima molto rivolte al proprio sentire interno, si rivolsero all'esterno, cioè rivolsero la loro attenzione al mondo esterno cioè al mondo del fare, che non al dentro, cioè al mondo del sentire. Indica un rafforzativo della mente fatto però a discapito dell'istinto personale. Chissà se Nerva conosceva questa simbologia e se ciò magari corrispondeva al suo carattere, molto più razionale che sensibile. Oppure fu un caso. Di certo Nerva, che pure fu un ottimo imperatore, non aveva un volto molto soddisfatto nè molto vivace. Spesso ci vestiamo con ciò che ci rappresenta.

PORTA SAN SEBASTIANO

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PORTA SAN SEBASTIANO OGGI

"Essa anticamente chiamavasi porta Capena, perchè per la medesima s'andava ad una Città di tal nome, situata vicino ad Albano. Da questa porta incominciava la celebre via Appia, lastricata di grossi selci da Appio Claudio Censore, la quale giunge fino a Capua; che poi da altri fu distesa fino a Brindisi, Città della Calabria.Questa via, ch'era la più magnifica di tutte le altre, adornata di sepolcri, e di Tempi, fu riattata da Giulio Cesare, che incominciò ad asciugare le paludi Pontine, acciocchè le acque non la coprissero. Augusto la ridusse a compimento, e rese più asciutti i terreni. Anche gl' Imperadori Vespasiano, Domiziano,Nerva, e Traiano la risarcirono. Finalmente la medesima via Appia restò di nuovo preda delle acque, ed ancora vi rimarrebbe se il Regnante Sommo Pontefice Pio VI non l'avesse nuovamente scoperta, mediante il felice diseccamento delle paludi Pontine, con cui oltre d'aver reso la coltivazione a quella vastissima campana, à di molto agevolato il viaggio di Napoli. 

STAMPA DEL 1800
La medesima porta prese poi il nome della Basilica di s. Sebastiano, che rimane un miglio fuori di essa. Avanti di questa porta evvi un Arco, creduto di Nerone Claudio Druso, di cui Caracalla si servì per farvi passare il suo condotto. Uscendo dalla suddetta porta si trovano diversi avanzi d'antichi sepolcri. A sinistra era il campo degli Orazj, dove vedesi dentro una vigna un avanzo di sepolcro con sopra una casuppola moderna pel vignajuolo che probabilmente sarà stato il sepolcro della Famiglia Orazia e quivi forse fu sepolta la sorella del vincitore Orazio da lui uccisa. Poco più in sù, dopo il fiumicello,trovasi dentro una vigna a destra il sepolcro della famiglia dei Scipioni, discendenti dall'illustre Casa Cornelia, il quale fu discoperto nel 1780. Esso è di forma quadrata con la sua camera sepolcrale, e rotondo è il secondo ordine ornato di nicchie per le statue de'due Scipioni del Poeta Ennio."
[1791]

Porta San Sebastiano è la più grande e tra le più integre porte delle Mura Aureliane di Roma.



 IL NOME 

FOTO DEL 1900 ANTERIORMENTE
 Il nome originario era Porta Appia perché da lì passava la via Appia, la regina viarum che cominciava poco più indietro, dalla Porta Capena delle mura serviane, e lo conservò a lungo. Nel medioevo sembra fosse chiamata anche “Accia” (o “Dazza” o “Datia”), la cui etimologia, alquanto incerta, sembra però legata al fatto che lì vicino scorresse il fiumicello Almone, chiamato “acqua Accia”. Un documento del 1434 la menziona come “Porta Domine quo vadis”. Solo dopo la metà del XV secolo è finalmente attestato il nome che conserva ancora oggi, dovuto alla vicinanza alla basilica di San Sebastiano fuori le mura, dove sarebbero custodite le spoglie del santo e l'impronta dei piedi sulla pietra del Cristo relativa al "Quo Vadis Domine?".
Ma c'è un'altra impronta di piedi, nella chiesetta del Quo Vadis, ovvero l'originale stava lì, poi l'hanno ricopiato sul marmo e ci hanno messo la copia, in barba al fatto che sotto la chiesetta dove il Cristo rimproverò San Pietro di non essersi fatto ammazzare in modo cruento, c'era un tempietto di Apollo con l'impronta dei piedi del Dio.



LA STORIA

- 275 - Nata come le mura in epoca aureliana, per ordine di Marco Aurelio dunque, ed edificata verso il 275, la porta subì molte trasformazioni, ma la forma originaria prevedeva due archi identici sormontati da finestre ad arco, con facciata rivestita di travertino e due torri semicircolari ai lati, con all’interno scale centrali che portavano ai due piani sovrastanti, scale poi ristrette e infine murate.

FOTO DEL 1900 POSTERIORMENTE
In un successivo restauro le due torri furono ampliate, rialzate e collegate, con due muri paralleli, al preesistente arco di Druso, distante pochi metri verso l’interno dell'Urbe, formando un cortile interno in cui l’arco fungeva da controporta.

- 491 - Nel rifacimento operato nel 401-402 dall’imperatore Onorio la porta fu ridotta a un solo fornice, probabilmente a scopo difensivo, con un attico rialzato dotato di due file di sei finestre ad arco e un camminamento di ronda scoperto e merlato. La base delle due torri fu inglobata per rafforzarle in due basamenti a pianta quadrata rivestiti di marmo. La mancanza della solita lapide commemorativa dei lavori fa dubitare qualche studioso che l’intervento possa essere opera di Onorio, che invece ha lasciato epigrafi laudative su ogni altro intervento effettuato sulle mura o sulle porte.

SOPRA LA PORTA
La chiusura era realizzata da due battenti in legno e da una saracinesca che scendeva, entro scanalature tuttora visibili, dalla sovrastante camera di manovra, in cui ancora esistono le mensole in travertino che la sostenevano. Alcune tacche sugli stipiti possono indurre a ritenere che si usassero anche dei travi a rinforzo delle chiusure. Data l’importanza della via Appia che da qui usciva dalla città, la porta era soggetta a grossi movimenti di traffico cittadino, in entrata e in uscita.

Accanto alla porta c'era un‘area destinata al parcheggio dei mezzi di trasporto privati di  personaggi facoltosi che da qui entravano a Roma. In città infatti era proibito il traffico ai mezzi privati, compresi i membri della casa imperiale, i cui mezzi privati venivano parcheggiati in un’area riservata, la ”mutatorium Caesaris”, verso l’inizio della via Appia. Il che da l'idea della civiltà dell'epoca imperiale, civiltà completamente crollata con la fine dell'impero.
INTERNO DEL TORRIONE
Da notare le diverse bozze visibili sul rivestimento in travertino della base del monumento, forse indicazioni per la misurazione del lavoro degli scalpellini. Secondo lo storico Antonio Nibby al centro dell’arco della porta, sul lato interno, è scolpita una croce greca inscritta in una circonferenza, con un’iscrizione, in greco, dedicata a San Conone e San Giorgio, risalente al VI-VII secolo, ma non ve n’è traccia visibile.

V - VI sec. d.c. - Le prime trasformazioni della porta furono eseguite da Onorio, il primo imperatore del solo impero d'occidente che, contemporaneamente al rifacimento delle mura, fece costruire nuove torri in laterizio più alte e di forma circolare che inglobarono le vecchie, inoltre fu aggiunta sul lato interno una controporta costituita da due muri semicircolari disposti a tenaglia, che formavano una corte di sicurezza con due archi allineati a quelli della porta, di cui oggi resta solo parte del braccio ovest, dov'è l’ingresso al Museo, inglobato nel muro moderno di sostegno del terrapieno, e pochi resti del braccio est. Queste corti interne non avevano solo funzioni militari per la sicurezza, ma erano usate anche per ospitare gli uffici e le guardie del dazio per il controllo delle merci.

Il paramento di mattoni fu distrutto in parte dalla costruzione degli imponenti bastioni che fasciarono le torri, lasciando fuori solo un piano, e nella trasformazione dei due fornici di ingresso in uno solo. Sia la muratura intorno all’arco, sia il primo piano dei bastioni furono rivestiti di blocchi di marmo di riutilizzo, che terminano in alto con una cornice, su alcuni dei quali si notano delle bozze sporgenti, forse con simboli o emblemi pagani distrutti in era cristiana.

ALTRO INTERNO CON DIPINTI
Sul concio di chiave dell’arco interno è incisa una croce con  iscrizione greca: “Per grazia di Dio ai santi Conone e Giorgio”, altre croci sono incise o fatte di mattoni, lungo le mura o sulle porte, per sancire la cristianità del monumento pagano.  Al primo piano dell’attico, utilizzato come camera di manovra della saracinesca per la chiusura della porta, vi sono ancora le mensole in travertino che sorreggevano le corde per muovere la grata lungo gli stipiti interni dell’arco di ingresso.

VI - IX sec.  - All’interno delle torri furono eliminate le pesanti volte in muratura che le suddividevano in tre piani, e i cui attacchi sono ancora visibili al secondo piano del Museo. La parte alta del bastione quadrangolare della torre ovest, costituita da muratura in blocchi di tufo con due fasce di travertino, si può riferire ai restauri eseguiti tra il VI ed il IX sec. dopo il crollo del fronte del bastione avvenuto a causa di cedimenti e scosse di terremoto.

- 1327 - Vennero innalzate di un piano sia le torri che l’attico sopra l’ingresso, dando alla porta l’aspetto imponente di oggi. Risale al 1327 la battaglia tra le fazioni romane dei guelfi e dei ghibellini, combattuta il 29 settembre 1327, giorno di San Michele, dalle milizie romane ghibelline dei Colonna guidate da Giacomo de’ Pontani contro l’esercito guelfo del re di Napoli Roberto d'Angiò, guidato da Giovanni e Gaetano Orsini, di cui resta il graffiti dell'angelo e dell'iscrizione:

INCISIONE DELL'ARCANGELO MICHELE NELL'INTERNO DELL'ARCO
ANNO DNI MC… XVII INDICTIONE XI MENSE SEPTEMBRIS DIE PENULTIM A IN FESTO SCI MICHAELIS INTRAVIT GENS FORASTERA MURI A ET FUIT DEBELLATA A POPULO ROMANO QUI STANTE IACOBO DE PONTIANIS CAPITE REGIONIS

vale a dire “ l’anno 1327, indizione XI, nel mese di settembre, il penultimo giorno, festa di S. Michele, entrò gente straniera in città e fu sconfitta dal popolo romano, essendo Jacopo de’ Ponziani capo del rione”.  L'indictione o indizione era un intervallo di 15 anni fatto decorrere da papa Gregorio VII nel 313, sembra per motivi di conteggio fiscale, però qui fu usato un conteggio diverso.

Probabilmente opera di pellegrini le varie croci incise nei muri della porta ed il monogramma di Cristo, JHS con la croce sopra l’H, visibile sullo stipite sinistro, di fronte all’Arcangelo Michele; sono leggibili molti nomi italiani e stranieri (un certo Giuseppe Albani ha scritto tre volte il suo nome) e varie date, che si possono decifrare fino al 1622; ad uso di viandanti forestieri qualcuno ha anche inciso una sorta di indicazione stradale per la porta o la basilica di San Giovanni in Laterano, visibile appena fuori della porta, sulla sinistra: “DI QUA SI VA A S. GIO…”, interrotto da qualcosa o qualcuno; ed altre indicazioni e scritte di difficile decifrazione, come l’incisione “LXXV (sottolineata tre volte) DE L”, sulla torre di destra.

- 1467 - Dal V fino al XV sec., è attestato l’istituto della concessione in appalto o della vendita a privati delle porte cittadine e della riscossione del pedaggio per il transito. In un documento del 1467 un bando specifica le modalità di vendita all’asta delle porte cittadine per un periodo di un anno.

Da un documento del 1474 apprendiamo che il prezzo d’appalto per le porte Latina e Appia insieme era pari a ”fiorini 39, sollidi 31, den. 4 per sextaria” (“rata semestrale”); un prezzo non altissimo, e quindi non un grande traffico. Il guadagno sul traffico era regolamentato da tabelle che precisavano la tariffa di ogni tipo di merce, ma con molti abusi, a giudicare dalla quantità di gride, editti e minacce che venivano emessi. A fianco della torre occidentale ci sono tracce di una posterula murata, ad una certa altezza dal piano stradale, da usufruire forse con una scala di legno,che stranamente non ha sugli stipiti segni di usura, come se fosse stata chiusa poco dopo averla aperta.

- 1536 - Nel 1536 Porta S Sebastiano fu scelta, per ordine di Papa Paolo III, come ingresso solenne per l’arrivo di Carlo V Re di Spagna, il 5 aprile 1536. La porta fu addobbata e decorata come un arco trionfale su progetto di Antonio da Sangallo il giovane, con statue, festoni e pitture ad affresco, di cui rimangono solo i ganci in ferro a cui si appendevano i festoni sotto la cornice dei bastioni marmorei.
Per l'occasione si procedette all’abbattimento di edifici preesistenti per formare una via trionfale fino al Foro Romano. L’avvenimento è ricordato in un’iscrizione sopra l’arco che, con un’adulazione un po’ eccessiva, paragona Carlo V a Scipione: “CARLO V ROM. IMP. AUG. III. AFRICANO”. In realtà Carlo V, quale difensore della Chiesa, permise al figlio di Paolo III, Pier Luigi di acquisire i ducati di Parma e Piacenza, il che lo fece applaudire come un cesare trionfatore..

LE MURA ROMANE AFFIANCATE ALLA PORTA
- 1571 - Anche nel 1571 la porta fu di nuovo ornata con trofei, festoni e pitture in occasione dell’entrata trionfale di Marcantonio Colonna, capitano della flotta marina pontificia,  vincitore nella battaglia di Lepanto, il 4 dicembre 1571, con il corteo trionfale e la sfilata dei centosettanta prigionieri turchi in catene.

- 1749 -  Interventi di restauro alla porta sono documentati tra il 1749 e il 1752, sotto il pontificato di Benedetto XIV, consistenti in riprese della cortina sia sulla facciata del torrione di destra che all’interno, e nel rifacimento i gran parte dei merli.

- 1783 - Nel 1783 vennero eseguiti lavori di consolidamento in particolare del torrione nord. Al tempo del Valadier (XIX sec.), che descrive lo stato di conservazione della “Porta Capena ora S. Sebastiano”, le torri risultano coperte da tetti e sono in buone condizioni.

INTERNO DELLE MURA
- 1940 - Tra il 1940-43, quando la porta fu concessa per uso di studio e abitazione ad Ettore Muti, segretario del partito fascista, al suo interno furono eseguiti ingenti lavori di restauro consistenti nel rifacimento dei solai crollati sia nell’attico sopra il fornice di ingresso, sia nelle torri ricreando la suddivisione in due piani. Come appare nella documentazione fotografica di archivio fu ripristinata la copertura con volta a botte del primo piano del corpo centrale, nelle torri la ricostruzione dei solai comportò la tamponatura di alcune finestre e l’inclusione dei resti degli attacchi delle volte originarie nella nuova muratura e i mosaici bicromatici in bianco e nero situati in vari ambienti. Attualmente le torri ospitano il Museo delle Mura, nel quale sono tra l’altro visibili modelli della costruzione delle mura e delle porte nelle varie fasi.

Attualmente sulla facciata interna della porta, a fianco dell’entrata al Museo delle Mura, sono visibili tre blocchi di travertino, resti di uno degli archi originari in seguito chiusi. Il primo piano delle torri, cioè la camera di manovra delle armi, aveva tre finestre ad arco mentre quello dell’ambiente sopra gli archi di ingresso aveva cinque finestre arcuate. Il secondo piano invece era una terrazza scoperta riparata da merli. Resti delle strutture di questa prima fase furono osservate dallo studioso Richmond, prima del 1930, all’interno delle murature più tarde.


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BAALBEK (Libano)

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RICOSTRUZIONE DEL COMPLESSO DEI TEMPLI DI BAALBEK

"È uno dei luoghi più belli e suggestivi al mondo e insieme, è uno dei siti archeologici ancora poco studiato e conosciuto per ovvi motivi di ordinaria follia di una parte di popolazione residente su quei territori; mi riferisco agli integralisti islamici che vogliono riportare il Medio-Oriente al più cupo Medioevo".

Il sito è stato dichiarato dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità nel 1984.


GLI ANTICHI TEMPLI
Le rovine di Baalbek, posta su una grande collina di 1150 m, che spazia sulla pianura, sono bordate su due lati dalla città di Baalbek e sugli altri lati da terreni agricoli locali. Qui si erigono i templi e le piattaforme riempite con una splendida collezione di colonne e sculture crollate.

Le strutture primarie presso le rovine sono:
- l'area sacra; che comprende:


i Propilei
costruiti agli inizi del III sec., all'epoca di Caracalla in cima ad una scalinata monumentale e costituivano l'accesso all'area sacra del tempio di Giove. Erano in origine costituiti da una facciata di 12 colonne (10 delle quali rialzate nel corso dei restauri tedeschi), tra due torri più alte, sormontate da un frontone.

Nel muro retrostante si aprivano un ingresso centrale ad arco e due passaggi laterali, che più tardi vennero murati. Il muro era decorato da due piani di nicchie che dovevano ospitare delle statue, inquadrate da edicole con frontoni alternativamente triangolari e arcuati, sostenuti da lesene corinzie al piano terra e ioniche al piano superiore.


il Cortile esagonale
Dai propilei si accedeva ad una corte a pianta esagonale (metà del III secolo, sotto Filippo l'Arabo, 244-249), circondata da portici che si aprivano sul fondo con esedre rettangolari, un tempo riccamente decorate. Il cortile subì pesanti modifiche quando vi venne installata la cappella dedicata alla Vergine e ancora per trasformarla in bastione difensivo della cittadella araba.

Grande Cortile
Nella corte venne costruita la basilica teodosiana, dedicata a san Pietro. Il cortile (135 x 113 m) (età traianea) ospitava il grande altare a torre di età neroniana e bacini laterali per le abluzioni. I portici laterali (128 colonne con fusti in granito di Aswān) sono sostenuti da criptoportici voltati e sul fondo si aprivano esedre a pianta alternativamente rettangolare e semicircolare, queste coperte da semicupole in pietra. Iscrizioni dipinte in alcune delle esedre testimoniano il loro uso per i pasti sacri di confraternite e comunità, che dovevano far parte del culto eliopolitano.

- il tempio del Dio Baal / Giove situato sui massicci blocchi di pietra pre-romana conosciuta come la Trilithon;
- il Tempio del Dio Bacco;
- il Tempio circolare della Dea Venere


LA STORIA

La storia di Baalbek risalirebbe a circa 5000 anni. Gli scavi sotto l'area sacra del Tempio di Giove, hanno portato alla luce tracce di insediamenti cananei risalenti al Bronzo Medio (1900-1600 a.c.), sopra a precedenti insediamenti del Bronzo Antico (2900-2300 a.c.). 
I Fenici, appartenenti al popolo dei cananei, divennero i signori della Siria e scelsero il sito di Baalbek per un tempio al loro dio-Sole Baal-Hadad. I fenici avevano quattro divinità pincipali: El, re del pantheon; Baal, Dio della pioggia fecondatrice; Anat, Dea guerriera; Mot, Dio degli inferi.

Verso la fine dell'XI sec. a.c. giunse un esercito assiro, sulla costa mediterranea, ma poiché Baalbek non è menzionato accanto ai nomi di altre città fenicie attaccate, si pensa che fosse un centro poco importante.

L'origine del nome Baalbek forse deriva dal termine fenicio Baal (il Signore) e può significare 'Signore della valle della Bekaa'. Antiche leggende affermano che Baalbek fosse la città natale di Baal, forse in origine un personaggio davvero esistito. Per alcuni  Baal faceva parte di una triade fenicia, insieme al figlio Aliyan, Dio della fecondità, e sua figlia Anat (l'assira Atargatis). C'è da considerare che gli Dei variavano a seconda dei luoghi e dei tempi, pur sussistendo grosso modo lo stesso Pantheon.

Comunque Anat fu la Dea più venerata, come Dea vergine e guerriera. Sorella o sposa del grande Dio Baal, in un poema discende agli inferi per vendicarne la morte e uccide il Dio dell’oltretomba Mot.
In un altro mito offre ricchezze e vita eterna al cacciatore Aqhat, purché le regali il suo arco e, al suo rifiuto, lo uccide. Era raffigurata con alta tiara ornata di penne, ureo e disco solare e armata di lancia e scudo.

Lo storico ebreo Giuseppe Flavio (37 - 100) menziona Baalbek come tappa del viaggio di Alessandro Magno verso Damasco. I sovrani tolemaici identificaono il Dio Baal con il Dio del sole egizio Ra e il Dio del sole greco Helios, per una fusione culturale all'interno del loro regno.

BAALBEK
In epoca ellenistica, sotto il dominio dei Tolomei, che sostituì dal 198 a.c. quello dei Seleucidi, la città fu ribattezzata Heliopolis ("città del sole"), e il Dio Baal che aveva molte caratteristiche in comune con il greco Zeus che divenne Giove Heliopolitano.

I Romani assimilarono il culto della Dea Astarte con quella di Afrodite o Venere, e il Dio Adone divenne Bacco. Dopo la conquista romana nel 64 a.c. ad opera di Pompeo, la città di Baalbek-Heliopolis fece parte dei domini dei tetrarchi in Palestina.

Giove Eliopolitano venne raffigurato con un copricapo svasato, con fulmini nelle mani e affiancato da due tori, un compromesso tra il toro che accompagnava il Dio Baal e le due fiere che affiancavano la Grande Madre ai suoi lati e posti a specchio. I nuovi Dei associati, Venere e Bacco formarono con Giove la triade eliopolitana.

La triade ebbe altari e culto ovunque: nelle province balcaniche, in Gallia, nelle province ispaniche, in Britannia. Il culto ebbe anche una sezione di Sacri Misteri.

Il Tempio si crede sia stato consacrato a una triade divina: Hadad (Baal / Giove), il Dio del Cielo; Atargates (Astarte / Hera), la moglie di Hadad; e Mercurio, il loro figlio.

Nel 15 a.c. il santuario entrò a far parte del territorio della Colonia Iulia Augusta Felix Beritus, l'odierna Beirut (da ricordare che Beirut era uno dei nomi sacri della Grande Madre).
L'edificazione del tempio proseguì sulla piattaforma ellenistica e il tempio vero e proprio fu terminato nel 60 d.c., sotto Nerone, insieme all'altare a torre che precede il tempio. 



HELIOPOLIS

Dopo la morte di Alessandro nel 323 a.c., la Fenicia fu governata in successione dai re tolemaici d'Egitto e dai re Seleucidi della Siria fino all'arrivo dei Romani.

IL COMPLESSO DEI TEMPLI
Il nome di Heliopolis, con il quale Baalbek era conosciuto in epoca greco-romana, deriva dal Dio greco Helios cui fu associata a partire dal 331 a.c..
Significa 'Città del Sole', il nome è stato utilizzato anche dai Tolomei d'Egitto tra il 323 e il 198 a.c, che esprime l'importanza che questo luogo era per gli Egiziani. 
Un luogo sacro con questo stesso nome esisteva già in Egitto e i nuovi governanti tolemaici potrebbero aver collegato l'antico dio del cielo di Baalbek con il Dio egiziano Ra e con l' Helios greco per stabilire legami religiosi e culturali più stretti con greci e fenici. 
Lo storico Ambrosius Teodosio Macrobio (390 - 430) narra che il Dio del santuario fu chiamato Zeus Heliopolitanus, luogo di culto ma pure di divinazione oracolare, simile a Delphi e Dodona in Grecia e il tempio di Amon a Siwa in Egitto.
L'età d'oro del palazzo romano di Baalbek / Heliopolis iniziò nel 15 a.c, quando Giulio Cesare vi stabilì una legione e iniziò la costruzione del grande tempio di Giove. Nel corso dei tre secoli successivi, ogni imperatore romano avrebbe donato ad Heliopolis i più imponenti edifici religiosi mai costruiti nell'Impero Romano. 
Monumenti che destarono l'ammirazione del mondo finchè il cristianesimo non fu dichiarato religione ufficiale dell'Impero Romano nel 313 d.c. Da allora gli imperatori cristiani bizantini ed i loro rapaci sottoposti depredarono migliaia di santuari pagani. Dopo averli depredati poi li spoliarono e li distrussero.
Alla fine del IV sec., l'imperatore Teodosio non seppe fare di meglio che costruire una basilica con le pietre del Tempio di Giove. Questo segnò la fine della Heliopolis romana. La città del sole declinò e cadde nel dimenticatoio.

AEDES DI GIOVE


IL TEMPIO DI GIOVE ELIOPOLITANO

Il monumentale complesso del tempio di Baalbek si erige a circa 86 chilometri a nord est della città di Beirut, in Libano. Sorge su una collinetta nella fertile valle della Bekaa, e le sue rovine sono uno dei più straordinari ed enigmatici luoghi sacri dei tempi antichi. La grandiosità del tempio, e la fama dei suoi sacri responsi era tale, che gli imperatori romani arrivarono a percorrere fino a 2.500 chilometri per consultarne l’oracolo e godere dei suoi vaticini.

Prima del romano tempio di Giove, prima del fenicio tempio a Baal, sorgeva a Baalbek la più grande costruzione in megalitici blocchi di pietra trovato in tutto il mondo.

Molti archeologi sostengono che le origini di Baalbek risalgono a due insediamenti cananei che gli scavi archeologici sotto il tempio di Giove hanno permesso di identificare come databili all'età del bronzo antica (2900-2300 a.c.) e media (1900-1600 a.c.). In questo periodo il santuario era probabilmente dedicato alla triade Adad-Ishtar-Shamash (che nella forma sumera diveniva Ishkur-Inanna-Utu).
Esso è costruito con accuratezza sopra un altro piedistallo, che si eleva di ben tredici metri rispetto al terreno. Il grande mistero delle rovine di Baalbek, riguarda infatti le massicce pietre delle fondamenta sotto il tempio romano di Giove. Essi variano nel formato da 450 tonnellate (Cheope a Giza ha un peso del 2,5 tonnellate)  fino ai tre più grandi, chiamati Trilithon, il cui peso supera 800 tonnellate ciascuno.

TEMPIO DI GIOVE
Il più grande edificio religioso mai costruito dai romani, l'immenso santuario di Giove Heliopolitanus, o Zeus Heliopolitabus, sulle rovine della antica Triade, contemplava ben 104 enormi colonne di granito importati da Aswan in Egitto, con un tempio circondato da 50 colonne aggiuntive, alto quasi 19 m.

L'area sacra, iniziata durante il regno di Traiano (98-117), misurava 135 m x 113, e conteneva vari edifici religiosi e altari, circondato da uno splendido colonnato di 128 colonne di granito rosa. 

Queste magnifiche colonne, alte 20 metri e del peso enorme, vennero estratte ad Assuan, in Egitto ma è un mistero per l'ingegneria su come siano state trasportate via terra e via mare fino a Baalbek. 

Oggi, solo sei colonne rimangono in piedi, il resto essendo stata distrutta da terremoti o depredato, per esempio, Giustiniano che ne portò via otto per la basilica di Santa Sofia a Costantinopoli.

Un'altra pietra ancora più grande si trova in una cava di calcare un quarto di miglio dal complesso Baalbek.
Sul suo peso c'è una stima di 1200 tonnellate, è il singolo più grande pezzo di pietra mai realizzato al mondo.

Queste pietre sono un enigma per gli scienziati contemporanei, sia ingegneri che archeologi, per il loro metodo di estrarli dalle cave, il trasporto e la precisione del posizionamento millimetrico, assolutamente al di là dalla capacità tecnologica dei più noti costruttori antichi o moderni.

Gli abitanti della Valle Beqa'a conservano delle leggende sulle origini della Grande Piattaforma del tempio, e dicono che la prima città di Baalbek è stata costruita prima del Diluvio da Caino, e poi ricostruita da una razza di giganti.

Descrizione

Il cortile più arcaico fu modificato e alla sua estremità occidentale venne iniziata la costruzione di un tempio di di stile greco per il quale si costruì una gigantesca piattaforma (88 x 48 m). Per questa costruzione vennero impiegati blocchi colossali.

PROPILEI
L'area sacra del tempio Jupiter è ubicato su una piattaforma, denominata Grande Terrazza, che consiste in un enorme parete esterna e un riempimento di pietre massicce. I corsi inferiori del muro esterno sono costituiti da blocchi enormi, finemente lavorati e posizionati con precisione. Hanno dimensioni di 30-33 m di lunghezza, 14 m di altezza e 3 m di profondità, e pesano circa 450 tonnellate ciascuno.

Nove di questi blocchi sono visibili sul lato nord del tempio, nove a sud, e sei a ovest (possono esistere altri, ma gli scavi archeologici hanno finora non scavato sotto tutte le sezioni del Grande Terrazza).
Sopra i sei blocchi sul lato occidentale sono tre pietre ancora più grandi, chiamate il Trilithon, il cui peso va da 800 a 1.000 tonnellate ciascuno. Questi grandi pietre sono tra i 60 e i 65 m di lunghezza, con un'altezza di 14 piedi e sei pollici e una profondità di 12 m.
Un'altra pietra ancora più grande si trova in una cava di calcare un quarto di miglio dal complesso Baalbek. Il suo peso è stimato di 1200 tonnellate, è 69 m x 16m x 13 piedi e 10 pollici, che lo rende il più grande pezzo di pietra mai realizzato al mondo. Chiamato il Hajar el Gouble, la Pietra del Sud, o il Hajar el Hibla, la Pietra della donna incinta (si credeva rendesse fertili le donne), si pone con la parte più bassa della sua base ancora attaccato alla roccia della cava, quasi pronta da tagliare e trasportare accanto alle altre pietre del Trilithon.

Il sito di Baalbek pone molte domande e gli studiosi sono divisi tra loro. Alcuni considerano i templi come un intero prodotto delle maestranze romane, sia pure edificato in epoche diverse, altri invece, ritengono che il podio su cui poggia il tempio di Giove sia di origine fenicia, e altri antichi lo considerano ancora più antico, forse appartenente alla cosiddetta civiltà megalitica di cui si ritrovano le tracce sparse in tutto il mondo, dall’Egitto al Mesoamerica, e riteniamo questa ultima la più probabile.



IL MISTERO DEI MEGALITI
Mentre c'è molta competenza sul restauro dei monumenti, siamo in alto mare sull'analisi delle antiche origini e l'uso del sito. Ci si chiede come sia stato possibile trasportate i megaliti dalla cava fino all’acropoli, sebbene il tragitto non sia molto lungo, ma soprattutto come fecero a porre in sedei blocchi in maniera così perfetta che tra loro non si può infilare neanche la lama di un coltello?

In epoca moderna se ne occupò, nel 1851, il francese Louis Felicien de Saulcy, che condurrà i primi scavi archeologici sistematici a Gerusalemme,e si convincerà che le rovine appartenevano a un tempio pre-romano, come illustrò nel suo libro "Viaggio intorno al Mar Morto", pubblicato nel 1854. Alla metà del XIX sec. anche l’archeologo francese Ernst Renan si occupò del sito, ma dubitò fortemente si trattasse di un tempio pre-romano, ritenendolo di origine fenicia. Oggi diversi credono che il podio su cui poggia il tempio di Giove fu costruito dai romani nello stesso periodo della base del tempio, però con molta fantasia.

La visione accademica prevalente della preistoria non riconosce la possibilità di civiltà sofisticate all'inizio del Neolitico o pre-Neolitico. Tuttavia diverse strutture presso le rovine di Baalbek, possono essere spiegate solo con il ricorso a tali culture antichissime.

Si scoprì che i megaliti di Baalbek sono stati ricavati scavandoli da una roccia “vivente” in una cava libanese; vale a dire, presi direttamente dalla roccia con questa forma, e non scolpiti in un momento successivo. Vari esperimenti hanno dimostrato che con la tecnologia attuale è possibile spostare pesi fino a 300 tonnellate, ma nel caso dei megaliti siamo in media al doppio del peso; questo dimostra che civiltà precedenti alla nostra avevano tecnologie o sistemi più avanzati, che neppure oggi riusciamo ad immaginare.

IMMENSI BLOCCHI
Vari studiosi, a disagio con l'idea che le culture antiche potrebbero aver sviluppato una conoscenza superiore alla scienza moderna, hanno deciso che le massicce pietre di Baalbek furono faticosamente trascinate dalle cave vicine al sito del tempio.

Ma mentre le immagini scolpite nei templi dell'Egitto e della Mesopotamia effettivamente danno prova di questo metodo di trasporto, utilizzando corde, rulli di legno e migliaia di lavoratori, i blocchi trascinati sono noti per essere solo 1/10 delle dimensioni e del peso delle pietre di Baalbek.

Inoltre vennero spostate lungo superfici piane con larghi sentieri. Il percorso per il sito di Baalbek, però, è in salita, su terreni accidentati e tortuosa, e non vi è alcuna prova di scavi per creare una superficie piatta nei tempi antichi.

E 'stato teorizzato che le pietre sono state sollevate utilizzando una complessa serie di ponteggi, rampe e pulegge, alimentato da un gran numero di uomini e animali.  L'architetto rinascimentale Domenico Fontana, quando erigendo un obelisco egiziano di 327 tonnellate di fronte alla Basilica di San Pietro a Roma, utilizzò 40 enormi pulegge, implicanti una forza combinata di 800 uomini e 140 cavalli.

La zona dove è stato eretto questo obelisco, però, era un grande spazio aperto che potrebbe facilmente ospitare tutti gli apparecchi di sollevamento e gli uomini e cavalli che tirano le corde. Tale spazio non è disponibile per le pietre Baalbek che è in pendenza senza spiazzi o strade piane. Inoltre, non solo un obelisco fu eretto ma piuttosto una serie di pietre giganti, collocate nel proprio posto con matematica precisione. A causa del posizionamento di queste pietre, semplicemente non c'è posto immaginabile dove avrebbe potuto essere di stanza un enorme apparato di pulegge.


PIANTE DEI TEMPLI

Ma c'è di più. Nel muro di sud est è stata trovata una fila di nove blocchi grandi la metà di quelli che formano il Triliton; sono tutti sullo stesso livello delle pietre su cui poggia il Triliton, prolungano così la piattaforma fino al muro di sud ovest. Tale particolare si nota solo con una visita accurata sul luogo e certifica il fatto che il Triliton venne eretto sopra a delle pietre ciclopiche.

A detta degli esperti si può affermare che la piattaforma non fu completata e il progetto iniziale abbandonato. I nove blocchi non sono ben accoppiati come gli altri, il taglio non si sposa bene con i blocchi adiacenti. Tutto fa pensare al tentativo di ricostruire la piattaforma, dopo un avvenimento catastrofico, usando altre pietre rimaste integre. Però i restauratori del tempio non avevano la capacità edile dei costruttori più antichi, un mistero perduto nel tempo.

Molti ingegneri si chiedono perché sono stati usati grandi blocchi di pietra, dal momento che era più facile portare a termine la costruzione usando blocchi più piccoli, considerando anche che nelle grandi pietre vi può essere un difetto trasversale, causa di un successivo problema strutturale.

Anche a Roma le mura Serviane utilizzarono grandi blocchi, ma successivamente i romani usaro il tufo in opus quadrata, e le pietre erano molto più piccole. 

Poi inventarono i laterizi, cioè i mattoni, che erano ancora più piccoli e maneggevoli. I romani erano molto razionali e pertanto ingegnosi e pratici. 

Queste popolazioni antiche non erano nè razionali nè pratiche, e facevano sforzi assurdi per costruzioni megalitiche che non interessarono solo questa parte del pianeta. Però sicuramente portarono nella tomba dei segreti di edificazione che ancora oggi ci sfuggono.
I TEMPLI
Le massicce pietre del Grand Terrace di Baalbek sono semplicemente al di là delle capacità ingegneristiche di qualsiasi costruttori antichi o contemporanei riconosciuti.

Ci sono diverse altre questioni sulle pietre di Baalbek che confondono ulteriormente gli archeologi e le teorie convenzionali della civiltà preistorica:
- Non ci sono leggende e racconti popolari di epoca romana che collegano i Romani con le pietre gigantesche.
- Non ci sono assolutamente ricordi di un qualsiasi metodo romano o altre fonti letterarie riguardanti i metodi di costruzione o le date e i nomi dei benefattori, designer, architetti, ingegneri e costruttori delle Grande Terazza.
 - Le pietre megalitiche del Trilithon non hanno alcuna somiglianza strutturale o ornamentale con qualsiasi delle costruzioni di epoca romana, sopra di loro, come i Templi precedentemente descritte di Giove, Bacco e Venere.
 - Le rocce calcaree del Trilithon mostrano ampie prove di erosione per vento e sabbia che è assente nei templi romani, indicando che le date di costruzione megalitiche risalgono molto prima.
 - Le grandi pietre di Baalbek mostrano analogie stilistiche con altre mura in pietre ciclopiche in siti pre-romani, come la fondazione dell'Acropoli di Atene, le mura di Alatri, le fondamenta di Micene, Tirinto, Delphi e persino costruzioni megalitiche del 'nuovo mondo', come Ollyantaytambo in Perù e Tiahuanaco in Bolivia.



LA SCOPERTA

Nel XVIII secolo gli esploratori europei iniziarono a visitare le rovine e a riportarne dettagliate descrizioni, nonchè a disegnarle facendone anche la pianta.

INTERNO DEL TEMPIO DI BACCO
Nel 1751 Robert Wood descrisse le rovine come tra le più audaci opere di architettura dell'antichità.

Erano ancora in piedi nove colonne del tempio di Giove, ma tre crollarono, probabilmente in occasione del terremoto del 1759.

Altro viaggiatore fu Volney (1781) che pianse sulle stupende rovina come Scipione su Cartagine, consolandosi poi all'idea del progresso della civiltà. Poi vi furono Cassas (1785), Laborde (1837), David Roberts (1839).

I blocchi crollati dalle antiche costruzioni vennero purtroppo riutilizzati per la costruzione di edifici moderni della cittadina. Una prima spedizione scientifica fu condotta nel 1873 dal Fondo di Esplorazione della Palestina.

In seguito alla visita dell'imperatore Guglielmo II di Germania vi venne poi condotta una missione archeologica tedesca (1898-1905), guidata da Otto Puchstein, durante la quale furono effettuati i primi restauri.

Alle sue dipendenze lavorarono gli archeologici del governo francese e poi il Dipartimento libanese delle Antichità.

Dopo la prima guerra mondiale altre missioni si ebbero durante il Mandato francese ad opera di C. Virolleaud, R. Dassaud, S. Ronzevalle, H. Seyrig, D. Schlumberger, F. Anus, P. Coupel e P. Collard.
Dopo l'indipendenza del Libano nel 1943 le operazioni di restauro e conservazione passarono sotto l'egida del Servizio delle Antichità del Libano (H. Kalayan).



LE OPERE ROMANE

Sotto Traiano (98-117) si iniziò la sistemazione del grande cortile. Sotto Antonino Pio (138-161) venne eretto il tempio di Bacco. I lavori, inclusi quelli riguardanti il tempio di Venere, vennero completati durante la dinastia dei Severi, e in particolare sotto Caracalla (211-217). Sotto Filippo l'Arabo (244-249), imperatore romano nato nella vicina Damasco, fu infine costruito il cortile esagonale del santuario.

In quest'epoca Heliopolis, elevata da Settimio Severo (193-211) al rango di colonia di diritto italico con il nome di Colonia Iulia Augusta Felix Heliopolis, divenne il centro principale della provincia della Syria-Phoenicia, istituita nel 194 con capitale Tiro.

Con l'avvento del Cristianesimo e la promulgazione dell'Editto di Milano, il santuario iniziò una lenta decadenza, anche per i crolli dovuti ai terremoti. L'imperatore Teodosio I (379-395) distrusse le statue pagane, fece radere al suolo l'altare-torre per erigere nel grande cortile una basilica cristiana e trasformò in chiese sia la corte esagonale che il tempio di Venere. 

Eppure Baalbek continuò a costituire un centro di culto pagano. L'imperatore bizantino Giustiniano (527-565) ordinò infine di asportare otto delle colonne del tempio di Giove affinché fossero riutilizzate nella basilica di Santa Sofia a Costantinopoli.
Con la conquista araba del 637, l'acropoli del tempio venne trasformata in cittadella fortificata con una grande moschea oggi in rovina.

IL TEMPIO DI BACCO NEL XVIII SECOLO


IL TEMPIO DI BACCO

Il Dio Dioniso scoprì come ottenere il vino dall'uva e portò la sua scoperta nell'Attica, in Frigia, in Tracia, trascurando però la Mesopotamia perchè i suoi abitanti preferivano la birra. Nel corso di cerimonie orgiastiche, cui partecipavano soprattutto donne che danzavano in modo sfrenato, venivano imitate le Menadi, le indemoniate, che facevano parte del corteo dionisiaco. A Roma Bacco era onorato come Dio del vino e come fautore, insieme alla triade, dei Sacri Misteri.

Per disciplinare la produzione agraria, Domiziano emanò un editto in cui si proibiva di piantare nuove viti in Italia, ordinando di tagliare i vigneti nelle Province, conservandone al massimo la metà. Vietò altresì di piantare anche piccoli vigneti nelle aree urbane italiane. Pare comunque che il Decreto di Domiziano, nato come misura politica, non sia mai stato effettivamente applicato.

TEMPIO DI BACCO OGGI

A Baalbek quel decreto non era destinato, il vino era già conosciuto qui ma solo i romani ne conoscevano tutti i segreti della vinificazione, così con i romani giunse il buon vino e le feste orgiastiche collegate, dedicate naturalmente al Dio Bacco e ai suoi famosi Baccanali (poi proibiti). Ma pure i Sacri Misteri ne erano collegati.




Il Tempio di Bacco venne costruito verso la metà del II secolo a.c. Si chiama così a causa di alcuni suoi bassorilievi, interpretati dagli archeologi come scene dell'infanzia di Bacco, ma altri studiosi sostengono fosse dedicato a Mercurio. 

Si eleva su di un podio di 5 metri di altezza, misura 69 per 36 metri. Risale alla metà del II sec. d.c. (Antonino Pio, 128-161) ed è un tempio periptero (cioè completamente circondato da colonne) con otto colonne sulla fronte (octástilo) e quindici sui lati lunghi.


MASTODONTICO COLONNATO DEL TEMPIO DI BACCO
Tutte le pietre a Baalbek sono di dimensioni sproporzionate. Le persone che servono da scala alle ciclopiche dimensioni del tempio. Ma le rocce più antiche sono ancora più sovradimensionate..

Anche il tempio romano di Balbek è sovradimensionato, ed è il  meglio conservato al mondo, circondato da quarantadue colonne alte 19 m.cadauna.

Ha una ricchissima decorazione: le colonne sono scanalate e corinzie, con elaborate trabeazioni tra una colonna e l'altra. Il tetto aveva all'interno un controsoffitto a cassettoni, il pavimento era coperto di marmi pregiati.

RICOSTRUZIONE DEGLI INTERNI DEL TEMPIO DI BACCO


IL TEMPIO DI VENERE

All'inizio del III secolo, un bel tempio circolare venne aggiunto al complesso Baalbek. Mentre i primi visitatori europei presumevano fosse un tempio di Venere a causa della sua ornamenti di conchiglie, colombe e altri motivi connessi al culto della Dea, oggi l'attribuzione viene messa in dubbio.

Ci chiediamo cosa manchi agli archeologi per essere certi di questa attribuzione. Già il tempio rotondo era per tradizione destinato alle antiche Dee. Le colombe sono state in ogni angolo del mondo l'attributo della Grande Madre, da Ishtar, ad Inanna, ad Anat, Artemide ecc.


Le conchiglie inoltre rimandano alla antica Dea del Mare ed alla eterna Afrodite che nacque appunto dalla spuma del mare e portata sull'Olimpo su un carro trainato da candide colombe.
Che sia dedicato alla Dea del mare, della bellezza, dell'amore e del sesso sembra piuttosto chiaro.
Il tempio è orientato verso gli altri due templi, racchiuso in un recinto sacro che ospitava anche un altro piccolo tempio, oggi in rovina, conosciuto come "tempio delle Muse". Si trova a Sud-Est dell'Acropoli.

RICOSTRUZIONE DEL TEMPIO DI VENERE
Il luogo sacro, a cui si accede da una scalinata, era preceduto in origine un pronao rettangolare tetrastilo, le cui due successive file di quattro colonne presentavano un'ampia spaziatura centrale: intercolunnio doppio rispetto ai due alle estremità. Ne risultò, di conseguenza, un pronao coperto a botte sull'asse d'ingresso, architravato e sorretto nelle ali da gruppi di quattro colonne su disposizione quadrata. La cella rotonda era decorata all'esterno da nicchie coperte da semicupole a conchiglia.

Le colonne che circondano la cella sono collegate quattro a quattro a una trabeazione che non segue la linea del colonnato, ma si incurva verso l'interno fino a toccare il muro esterno della cella, creando una preziosa quanto audace e inconsueta forma stellare e inquadrando in tal modo le nicchie.

IL TEMPIO DI VENERE OGGI
Eusebio di Cesarea, vescovo e scrittore greco (265 - 340)  attesta la continuità del culto fino agli inizi dell'epoca cristiana, sottolineando la natura orgiastica del culto e la presenza della prostituzione sacra, segno della libertà femminile nell'epoca più antica. 
Altresì testimonia che il tempio era dedicato alla Dea venere di cui prima preesisteva una Dea analoga, preposta all'amore e al sesso.

Il tempio venne trasformato infatti nella chiesa di Santa Barbara, ma restò al di fuori della cittadella araba e l'intero complesso venne in seguito coperto da una fitta rete di abitazioni. 
I resti del tempio furono smontati e rimontati a poca distanza in uno spazio libero.



DA TEMPIO A CHIESA CRISTIANA

Durante l'epoca cristiana bizantina il tempio è stato utilizzato come una chiesa per i cattolici greci e dedicata alla protomartire cristiana Santa Barbara, che però con Baalbek non aveva a che fare, infatti nacque nel 273 a Nicomedia in Turchia, e si trasferì a Scandriglia, in provincia di Rieti (Italia).

La leggenda vuole che suo padre Dioscoro, rinchiusala in una torre per proteggerla dai suoi pretendenti, le fece costruire delle terme private con due finestre, ma Barbara ordinò ai costruttori di aggiungerne una terza, alludendo alla Trinità. Quando il padre vide la modifica capì che la figlia era cristiana per cui la denunciò, la torturò, le tagliò le mammelle, la fustigò, la bruciò e alla fine la decapitò. Era l'anno 306, e la storia fu scritta da un frate nel XIII sec. Insomma sopra a tanto paganesimo ci doveva essere qualcosa di cristiano.
Così il tempio venne completamente spoliato dei suoi decori.

Gli archeologi, incapaci di risolvere i misteri del trasporto e sollevamento dei grandi blocchi, raramente hanno l'onestà intellettuale di ammettere la loro ignoranza in materia.

Architetti e ingegneri edili, invece, non avendo idee preconcette di storia antica da sostenere, affermano che non ci sono le tecnologie di sollevamento adatte neppure nei tempi attuali, che potrebbero sollevare e posizionare le pietre di Baalbek dato lo spazio di lavoro.

IL TEMPIO DI BACCO

RICOSTRUZIONE DEL SITO

Consapevoli che gli antichi templi greco-romani nascondessero sotto gli edifici dei cunicoli a dedalo, i viaggiatori e studiosi George Ebers e Herman Guthe, guidati da alcuni arabi, attraverso un ingresso situato nel lato meridionale, avrebbero percorso, per 140 m una serie di cunicoli e un dedalo di grotte e condotti a volta, tutti comunicanti, sotto l’intera costruzione, illuminati ogni tanto da misteriose "finestre traforate", riemergendo sotto le mura a settentrione. Nel 1920 Andrè Parrot confermò l’esistenza di labirinti costruiti da crolli, e in alcuni punti ancora visibili attraverso le crepe.

MOSAICO DELLA VILLA DI SUWEYDIE

VILLA ROMANA DI SUWEYDIE

La villa, del III sec. è stata scoperta appena fuori da Baalbek. Vi sono stati rinvenuti pregevoli mosaici tra cui uno policromo e molto pregevole che illustra la Musa Calliope al centro, circondata dalle immagini dei 7 saggi e da Socrate.
Ciascuno dei sette saggi ha l'iscrizione di un suo motto di saggezza:
- Thales di Mileto: "un garante rovina se stesso" (sottintende: garantisce l'altro ma rovina se stesso).
- Pittaco di Mytilene: "conosci le tue opportunità"
- Solone di Atene: "nulla di troppo" (non c'è nulla da togliere in noi ma solo da capire)
- Bias di Priene: "molta gente è cattiva"
- Cleobulo di Lindos: "il meglio è la moderazione"
- Chilone di Sparta: "conosci te stesso"
- Periander di Corinto ("la pratica rende perfetti").
Sul lato opposto del mosaico è l'immagine della Madre Terra (Gaia, Gea), a cui viene offerto un mazzo di spighe di grano dal Theros, la personificazione dell'estate. Una parte del mosaico è perduto, ma  quel che resta è ben conservato.










MICA AUREA

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LA SABBIA DORATA

L'antichissima chiesa di Trastevere più comunemente nota col nome di s. Cosimato a piè del Gianicolo, dall'arena fulva e giallastra  prese la denominazione di Mica Aurea, nome che ritiene anche oggi la collina detta Mons Aureus, Montorio. L'area sulla quale sorge la chiesa corrisponde all'antico Campus Brutianus dei legionari.

S. COSIMATO NEL XVIII SECOLO (stampa del Pinelli)
In Trastevere dunque, nel luogo che anticamente veniva chiamato 'Mica Aurea' c'era l'ampio deposito delle sabbie del biondo Tevere che qui avevano un colore giallo dorato. In questo luogo fu edificato il monastero dei Santi Cosma e Damiano in Mica Aurea che, trasformatosi in San Cosimato, dette il nome alla piazza su cui si affaccia. Tuttavia se il Tevere era biondo la sua sabbia non è mai stata dorata, neppure nei tempi antichi, anche perchè è mista alla terra se va bene.

Secondo altri però il nome della contrada Mica Aurea risalirebbe all'alto medio evo, o ad epoca più antica: nell' Itinerario di Einsiedeln viene ricordata fra le molinae presso Porta S. Pancrazio e S. Maria in Trastevere. La chiesa di S. Giovanni in mica aurea è annoverata fra le filiali di S. Maria in Trastevere nella bolla di Celestino II del 1123, infatti una bolla di Bonifazio IX del 1399  presso Marini, Papiri diplomatici 371, contiene la nomina di tale Antonius Peretii come rector ecclesiae S. Iohannis de mica aurea.

S. COSIMATO OGGI
Del resto si dice pure ss. Cosmae et Damiani in vico aureo.
"Le notizie più diffuse e precise della chiesa e del monastero le abbiamo in una storia manoscritta: Cronaca di suor Orsola Formicini, della quale uno degli esemplari si conserva oggi nella biblioteca del Collegio romano, ed un secondo nella Vaticana; compilata nel 1607 dalla Formicini, che fu abadessa di detto monastero nel 1598, narra che per lungo tempo dimorarono nell'abazia i monaci Benedettini e vi rimasero sino all'anno 1234, ma nel mese di settembre dell'anno detto passò alle monache chiamate le recluse di s. Damiano che ne sono ancora in possesso. Il monastero, oltre l'abazia, possedeva anche l'ospedale ove dimorò s. Francesco d'Assisi; avea soggette le abazie di s. Maria de Capranica, s. Maria de Farneto, s. Paolo, s. Andrea, s. Pietro, s. Filipppo, s. Iacobo in Turri, s. Cornelio, s. Crispolto, tutte situate fuori di Roma".

Insomma ricchissimo era questo monastero che possedeva vigne, oliveti, saline e castelli. Nel sec. XVI la vigna annessa al monastero dicevasi della botte, in un documento dell'epoca è scritto: si chiamava la vigna della botte per starvi ivi una botte de marmore piena de acqua, sicchè ora l'acqua ci è tolta


Nel 1475 Sisto IV riedificò dai fondamenti la chiesa, come appare dalla iscrizione sull'architrave della porta; posteriormente più volte restaurata. Era preceduta da un atrio, sostituito con un cortile ornato di una fonte costruita l'anno 1731.
Per i lavori del collettore delle acque urbane sulla sponda destra del Tevere, vicino a s. Cosimato si scoprì un lastrone colla seguente scritta:

FELES ET VICTORINAE IVE SE BIBI FECERVNT MICAVREA DEPOSITA IN PACE MESE AVGVSTO

Il ch. prof. Gatti dice che un luogo collocato presso il Gianicolo nelle adiacenze di s. Crisogono e due chiese del medio evo, cioè s. Giovanni della Malva e s. Cosimato, ne mantennero il nome. Anche la Graphia urbis Romae compiuta nel secolo XIII registra nel cap. VIII - Palatium Domitiani in Transtiberim ad Micam auream.

In una bolla di Bonifacio IX del 1395 troviamo s. Giovanni de Mica aurea; e l'odierno nome della Malva è corruttela di mica aurea. Conclude il Gatti che quest'appellazione fu propria non di un edificio, ma delle zone sottoornate al Gianicolo ad oriente; e dall'epigrafe scoperta risulta che vi era un cimitero cristiano detto Mica aurea presso la chiesa dei ss. Cosma e Damiano; il che non toglie che anche il gruppo di edifici dei ss. Cosma e Damiano fosse detto Mica aurea. l'epigrafe è del sec. VI.

A riguardare però l'immegine del Pinelli ci accorgiamo che la chiesa di S. Cosimato si poggiava su un precedente edificio romano, sicuramente un tempio, che poteva essere un'edicola o un tempietto dedicato a Cerere, che talvolta veniva adorata con una spiga in mano dagli aurei chicchi di grano. La mica per i romani significava i grani di frumento ma pure il pane di frumento, e ancora oggi a Milano la mica è il piccolo pane con la croce sopra.



I GRANI D'ORO

"Mica aurea appartenevasi in Roma una sala da pranzo (coenobio) fatta da Domiziano nella regione celimontana, ma anche un luogo nel Trastevere".
Nell'Anonimo d'Einsiedeln che ai tempi Carlo Magno descrisse da una carta topografica di Roma i suoi monumenti, si nomina in questa regione la Mica Aurea.

SALA OTTAGONALE DELLA DOMUS FLAVIA
Per entrare all’interno della Domus Flavia bisognava percorrere un'aula ottagonale che, nella parete posta ad ovest, conduceva nella parte centrale dell’intera costruzione costituita da un vasto peristilio. Ne sono ancora visibili le basi del colonnato e frammenti dei capitelli e delle colonne in marmo numidico.
A sud del peristilio si apriva una grande sala quadrangolare con abside poco profonda verso sud, con due sull’area retrostante; qui era il triclinio, la sala da pranzo estiva dell’imperatore. La sala estiva doveva godere di un ninfeo, o rocce o piante, magari misto a pomici e sabbie dorate, il che avrebbe giustificato il nome di Mica Aurea, anche se la sabbia per i romani non era "mica" ma "harena". Mica invece significava grani, granelli. briciole, soprattutto riferito ai cereali che potevano avere la qualità aurea molto più della sabbia, specialmente quella del Tevere piuttosto scura.

Per questo secondo alcuni studiosi il nome MICA AUREA significherebbe " Briciola d' oro " riferito alle briciole del cibo lasciate intenzionalmente dai Romani per ingraziarsi le divinità infere, cioè agli Dei Mani. Ma per i romani la mica erano i grani e il mucchietto di semi di frumento, e prima ancora di spelta, che si offrivano alla Madre Terra, o Mater Larvarum quando ci si rivolgeva al suo lato infero. L'offerta poteva essere sotto forma di spighe o di chicchi contenuti nella patera, la ciotola sacrificale che spesso veniva spaccata spargendo i chicchi in terra in occasione di una morte, o di un passaggio particolare, tipo un trasferimento in altre terre, o un matrimonio, o un passaggio esclusivamente interiore e psichico. Resta quindi probabile che la Mica Aurea fosse legata a un luogo di culto legato alla Dea Cerere nel suo lato misterico e infero. La sabbia con la mica non ha mai avuto a che vedere.


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IL VALLO DI ADRIANO

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FORTIFICAZIONI ROMANE IN BRITANNIA

La prima fortificazione romana in Scozia fu il Gask ridge, ad est delle Highlands scozzesi, la regione montuosa della Scozia, ed a nord del limes del Forth-Clyde, eretta dopo le campagne militari di Agricola, a nord dell'antica provincia della Britannia.

Il Gask ridge era costituito da una serie di forti e fortini con torri di segnalazione che partivano da nord a sud, con un fortino a sud, due al centro sud, tre al centro nord e quattro a nord.

Si trattava di una serie di forti a nord degli estuari del Clyde e del Forth, nel Perthshire, che però vennero presto abbandonati in quanto sostituiti dal Vallo di Adriano.

Quindici anni dopo il completamento del Vallo, un terrapieno di zolle di terra, il Vallo Antonino, venne costruito in modo che creasse una barriera tra i due fiumi: il Clyde e il Forth. Il Vallo era molto più corto di quello di Adriano, ma richiedeva un numero di soldati quasi uguale. 

Il Vallo Antonino era più articolato, e comprendeva grandi piattaforme per le baliste ma anche questo venne abbandonato di nuovo in favore del Vallo di Adriano che venne rioccupato.




IL VALLUM HADRIANI

Questo nome viene talvolta ancora usato per indicare il confine tra Scozia e Inghilterra, anche se il muro non seguiva il confine attuale.
Venne costruito dall'impero romano, esattamente per volere dell'imperatore Adriano, come limes della Britannia Romana, che inizia a Wallsend, sul fiume Tyne, e finisce alla foce del fiume Solway Firth.

Esso doveva “separare i Romani dai Barbari”, intendendo come barbari i popoli che non accettavano l'integrazione con la civiltà romana. Due furono i popoli che più si ribellarono al dominio di Roma: i Germani.e i Pitti. Per i Germani Giulio Cesare fece costruire il limes sul Danubio, per i Pitti Adriano fece costruire il suo vallo.

Il muraglione venne iniziato nel 122 e venne terminato nel 128, una lunghissima muraglia di pietra, di ben 120 km, (pari a 80 miglia romane), per segnare il confine tra la provincia romana della Britannia e la Caledonia (Scozia).

I FOSSATI DENTRO E FUORI IL VALLO
Praticamente impiegarono meno tempo di quanto ne occorra a Roma, coi mezzi moderni, per costruire una metropolitana di pochi km.

Il vallo traversava totalmente l'isola da est a ovest, dividendola tra sud e nord in due parti, onde arginare le bellicose tribù dei Pitti che non attaccassero o invadessero la Britannia. 

Fu il confine più settentrionale dell'Impero Romano in Britannia, per gran parte del dominio romano su queste terre, anche se i Romani erano giunti fino al Mar Baltico, ed era in assoluto il confine più fortificato dell'impero. Le guardatissime porte di accesso attraverso il vallo fungevano anche da dogane per la tassazione delle merci.

Era largo dai 2,5 m. ai 3 m., e alto dai 4 ai 5 m. Possedeva ben 80 fortini, di cui due accanto alle porte, e uno ogni miglio romano, con una torretta ogni due fortini per vedetta e segnalazioni. Il terreno che ospita il vallo andava (e va) da pianeggiante a lievemente collinare, con ondulazioni continue ma con pendenze modeste e dislivelli massimi di 50 m. I romani infatti resero facilmente percorribile la strada del vallo onde permettere rapidi spostamenti alle guarnigioni.

Il muro venne costruito inizialmente con una larghezza di 3 m, ma successivamente i nuovi tratti vennero edificati a una larghezza di 2,5 m. L'altezza era invece circa 4 o 5 m. Lungo il vallo erano posizionati 14 forti ausiliari, compreso il forte romano di Housesteads, un castrum di truppe ausiliarie le cui rovine si trovano nella parrocchia civile di Bardon Mill nel Northumberland, e Birdoswald (un tempo chiamato Banna, uno dei forti meglio conservati).
C'erano 80 fortini adiacenti alle porte, uno ogni miglio romano. Due torrette erano poste nel tratto che separava ogni coppia di fortini, probabilmente utilizzate come punti di osservazione e segnalazione.




Notitia dignitatum

Molti di questi forti sono menzionati nella cosiddetta Notitia dignitatum ovvero la "Notitia dignitatum et administrationum omnium tam civilium quam militarium" ("Notizia di tutte le dignità ed amministrazioni sia civili sia militari").

Trattasi di un documento redatto da un anonimo tra la fine del IV secolo e l'inizio del regno di Valentiniano III (425-455). Non si sa se l'originale derivasse da fonti ufficiali. E' diviso in due parti, per l'Impero d'Oriente e per quello d'Occidente, dove elenca una lista di "alti" dignitari imperiali con le loro aree di competenza, oltre ai corpi militari, secondo la distribuzione territoriale. L'originale della Notitia è conservato presso la Bibliothèque nationale de France a Parigi, e risalirebbe al Rinascimento.


Il Vallo comprendeva, dall'esterno all'interno:
HORREA DEI CASTA
  1. Un glacis e un profondo fossato, armato con file di pali appuntiti. Nella terminologia militare, il glacis è il termine francese per spalto, che identifica il terrapieno rivolto verso l'esterno di una fortificazione, che dal parapetto della controscarpa scende progressivamente verso la campagna, in modo da esporre gli attaccanti al fuoco dei difensori, protetti invece dal parapetto.
  2. Un muro di pietra;
  3. Una strada dove le truppe potessero spostarsi velocemente;
  4. Il Vallum vero e proprio cioè due grossi argini con un altro fossato nel mezzo. Il Vallum probabilmente delimitava una zona militare piuttosto che essere inteso come fortificazione principale, anche se le tribù britanniche stanziate a sud erano anch'esse talvolta un problema.
  5. Una guarnigione perennemente stanziata.
Il muro era sorvegliato da unità legionarie e ausiliarie per un totale di 9.000 uomini, tra fanteria e cavalleria. Col decadere dell'impero, entro il 400 d.c. la guarnigione fu abbandonata e il muro cadde in disuso. Gran parte delle pietre vennero depredate e riutilizzate per edifici locali fino al XX sec.

Oggi in molte zone il vallo non esiste più, ma nella zona centrale, collinosa e montagnosa, è ancora intatto, con delle piccole fortificazioni ogni miglio, in tutto circa 80 fortini, e 14 forti più grandi, alcuni ancora esistenti, anche se sono solo resti. 

Per gran parte della sua lunghezza il percorso del muro può essere seguito a piedi e costituisce oggi la principale attrazione turistica dell'Inghilterra settentrionale, dove è noto come Roman Wall (muraglia romana). Il Vallo di Adriano è diventato patrimonio dell'umanità dell'UNESCO nel 1987.




LA STORIA

Gli antichi romani guardarono alla conquista della Britannia fin dall'epoca di Cesare. Si iniziò con una spedizione esplorativa e poi con una di conquista (54 a.c.) che portò però a conquiste limitate. Del resto il territorio non era particolarmente appetitoso per i romani, cioè non particolarmente ricco di risorse e commerci.

COSTRUZIONE DEL VALLO DI ADRIANO
Tuttavia, e lo si scoprirà poi, la Britannia disponeva di oro, anche se in quantità limitate, ma anche di molto stagno (indispensabile per la produzione del bronzo) che invece era all'epoca difficile da reperire.

Le spedizioni più impegnative vennero fatte con l'imperatore Claudio contro le numerose tribù locali (importanti furono le battaglie presso i fiumi Medway e Tamigi). Per giunta durante il primo periodo di occupazione vi fu la grande rivolta del 61 d.c., guidata da Buddica, regina degli Iceni. 

Le conquiste proseguirono più a nord, tra il 78 e l'83, guidate dal grande generale Gneo Giulio Agricola, governatore della Britannia ai tempi dell'imperatore Domiziano. Tuttavia l'imperatore divenne comunque geloso delle trionfanti del suo condottiero, per cui lo richiamò in patria.

La situazione dei confini peggiorò finchè l'imperatore Adriano, desideroso di conoscere il suo impero e di constatarne personalmente le condizioni sia di difesa che di esigenze civili ed artistiche, visitò quasi tutto l'impero, compresa la Britannia.

Si accorse dunque della necessità di riparare il limes dell'impero romano-britannico dalle incursioni dei feroci e indomabili Pitti e incaricò della costruzione del Vallo il governatore di Britannia, Aulo Platorio Nepote, che aveva con l'imperatore un'amicizia con alterne vicende. Gli esecutori materiali furono invece i soldati di tutte e tre le legioni occupanti. 

INTERNI DI UN CASTRO ROMANO


I PITTI

Un popolo di cui non si sa molto, se non che non furono mai assoggettati al dominio romano e che furono agricoltori, pescatori, allevatori ma, soprattutto, come i loro avi Celti, guerrieri tenaci, valorosi e terribili.

Erano valorosi combattenti ma privi di organizzazione, combattevano quasi nudi nonostante il freddo della zona, si tatuavano il corpo e si dipingevano il viso. Erano alquanto crudeli, non facevano sopravvivere i prigionieri che spesso facevano morire tra le sofferenze più atroci.

Non avevano scrittura per cui non abbiamo nulla di documentato se non quel che gli altri scrissero di loro. Certamente per i romani che erano abituati a combattere in terreno aperto furono una spina nel fianco, battendosi con scaramucce ed eclissandosi tra alberi e rocce.

I PITTI

LA DIFESA DEL VALLO

Il muro era sorvegliato da un misto di vexillationes, distaccamenti delle legioni, e unità ausiliarie dell'esercito romano. Il loro numero sicuramente variò, ma sempre intorno ai 9.000 uomini, compresi la fanteria e la cavalleria.

Queste unità vennero spesso e ferocemente attaccate, prima nel 180, ma soprattutto tra il 196 e il 197, quando la guarnigione era piuttosto sguarnita e indebolita, nelle forze e nell'umore.

In seguito alle insurrezioni fu intrapresa una grossa opera di ricostruzione del muro sotto Settimio Severo; dopo la dura repressione delle tribù attuata sempre sotto Settimio, la regione limitrofa alla muraglia rimase pacificata per gran parte del III secolo.

Si ritiene che molti membri della guarnigione possano essersi integrati nella comunità locale. Nel IV secolo una delle unità stanziate lungo il Vallo di Adriano fu la legio pseudocomitatense Defensores Seniores, in accordo con la Notitia Dignitatum. La legio pseudocomitatensis constava di unità legionarie di limitanei (unità militari di confine) entrate poi a far parte del comitatus, cioè dell'esercito mobile il cui compito era di intervenire lì dove c'era necessità.

Col declino dell'impero la guarnigione venne ritirata e il muro cadde in disuso. Gran parte delle pietre vennero riutilizzate per la costruzioni di edifici del posto; il prelievo continuò fino al XX secolo.




IL PERCORSO

La strada A69 segue il percorso del muro iniziando a Newcastle-upon-Tyne, e fino a Carlisle, quindi prosegue attorno alla costa settentrionale della Cumbria. Il muro è completamente in territorio inglese, e rimane a sud del confine della Scozia per 15 km ad ovest e per 110 km ad est.
Esso pullulava di forti romani che si chiamavano:
  • Arbeia
  • Segedunum
  • Pons Aelius
  • Condercum
  • Vindobala
  • Onnum
  • Cilurnum
  • Brocolita
  • Vercovicium
  • Aesica
  • Magnis
  • Banna
  • Camboglanna
  • Petriana/Uxelodunum
  • Aballava
  • Coggabata
  • Maia

Oltre a questi a nord di Banna fu eretto l'avamposto Fanum Cocidi

ARBEIA

ARBEIA

Questo forte sorse nei South Shields, Tyne & Wear, poi distrutto e parzialmente ricostruito. Venne scavato nel 1870 e tutte le costruzioni moderne sorte nel sito vennero abbattute nel 1970. Esso è gestito dal "Tyne and Wear Museum" come Arbeia Roman Fort and Museum.

Il forte si estende sulla cima del Lawe, a guardia del fiume Tyne. Venne fondato nel 120, e divenne il supporto marittimo per il Vallo di Adriano, e contiene gli unici granai in pietra trovati in Britannia. Venne usato fin quando i romani non abbandonarono la Britannia nel V sec..

Un corpo di guardia, le caserme e la casa di Comandante sono stati ricostruiti ad Arbeia sulle loro fondamenta originali. Il corpo di guardia contiene molti documenti legati alla storia del forte, e i suoi livelli superiori forniscono una interessante panoramica del sito archeologico.


SEGEDUNUM


SEGEDUNUM

Segedunum si trova al termine orientale della Strada delle Mura (in Wallsend) vicino alle rive del fiume Tyne. E 'stato in uso per circa 300 anni come presidio, quasi fino al 400 d.c.. 

Un ampio fossato e un terrapieno circondano il forte su tutti i lati.  Quest'ultimo giace a est  del vallo vicino alla riva del fiume Tyne, costituendo una larga porzione del muro in quel punto.

Inizialmente aveva quattro porte doppie con i cancelli di est, ovest e nord che si aprivano all'esterno e solo il cancello a sud che si apriva all'interno del forte. 

Come i Pitti divennero più pericolosi, venne costruito un grande cancello ovest supplementare all'interno del muro e il cancello per l'esterno venne bloccato. 

Il sito del forte ora contiene i resti degli scavi delle fondazioni della metà meridionale del forte originario (l'altra metà è ancora sepolta sotto le case a nord). 

C'è anche la ricostruzione dei bagni militari romani sulla base di esempi scavati nei forti di Vindolanda e Chesters. Oggi Segedunum è il più scavato dei forti del Vallo di Adriano,in quanto operò sia come forte romano che come Terme e oggi come Museo.

PONS AELIUS

PONS AELIUS 

Oggi Newcastle-upon-Tyne. Tra Benwell e Newcastle City Centre il Vallo di Adriano più o meno corre presso l'attuale Westgate Road. Questa strada è stata costruita sul sito di una struttura di difesa giusto a nord del Vallo.

Il Pons Aelius a Newcastle non fu probabilmente importante come Benwell, in quanto doveva solo guardare un ponte romano Romano che traversava il fiume Tyne. Così Pons Aelius era tanto il nome del ponte che del fortino. 

Esso fu costruito in pietra e come tutti i ponti romani resse per parecchi secoli, addirittura fino al 1248 a causa di un incendio (evidentemente aveva parti in legno). Venne ricostruito sfruttando le stesse fondazioni romane.

Inizialmente costituì l'estremo limite del Vallo, ma in seguito venne esteso tre miglia a est, dove sorgeva il forte di Segedunum. Questo forte fu situato nel punto in cui un breve tratto verso nord scorre accanto al fiume Tyne  che funse da naturale continuazione delle difese romane. Ciò è dimostrato dal fatto che una delle mura difensive della fortezza Wallsend effettivamente si estende fino allo stesso fiume Tyne.

Il forte misura 453 feet (138 m) da nord a sud e 393 feet (120 m) da est a ovest, coprendo 17000 mq.
Un ampio fossato e un terrapieno circondavano il forte da tutti i lati. Aveva quattro porte doppie a est, ovest e nord con cancelli che si aprivano aprono al di fuori del muro. Un solo cancello a sud introduceva all'interno del forte.
Si sono trovate ampie tracce di un vicus che circondava il forte, probabilmente il villaggio viveva del commercio con i soldati del forte.




CONDERCUM

Condercum era un forte romano in località odierna Benwell, un sobborgo sul Tyne. Era il III forte del Vallo di Adriano, dopo Segedunum (Wallsend) e Pons (Newcastle), ed è stato situato a 2 miglia (3 km) a ovest della città. Di tutto ciò restano solo run piccolo tempio dedicato ad Antenociticus, una divinità locale, e la strada rialzata originale elevata sulla palizzata.

IL FORTE DI VINDOBALA

VINDOBALA 

Era un forte romano corrispondente oggi al castello di Rudchester, Northumberland.
Era il IV forte del Vallo, dopo Segedunum (Wallsend), Pons Aelius (Newcastle) e Condercum.
Situato a circa 11 km (6.8 mi) a ovest di Condercum. il castrum di Vindobala, che corrispondeva all’attuale città di Rudchester, aveva nelle sue vicinanze un piccolo mitreo ad uso dei soldati.

Il tempio venne scoperto nel 1844 da un contadino che scavando nel suo terreno vi trovò una statua e cinque altari. La statua venne successivamente spezzata ed è andata perduta, mentre gli altari si sono preservati (troppo difficili da spaccare).  Il tempio originale data tra la fine del II e l’inizio del III sec.: si tratta della classica sala rettangolare dei mitrei, con un’unica navata centrale e dei banconi ai due lati lunghi. Un vestibolo precedeva l’ingresso al tempio come di consueto.

Poi il tempio venne ricostruito, i banconi laterali ampliati, riducendo lo spazio degli adepti, e rimuovendo il vestibolo. Un podio in pietra, rialzato rispetto al livello del pavimento, venne posto nella zona absidale, probabilmente per il sacrificio rituale del toro.

Delle statue dei Dadofori (Cautes e Cautopates) furono ritrovate solo le teste, ulteriore segno di una deliberata distruzione del sito. 
Il mitreo si mantenne operativo per circa un altro secolo, e che dalla metà del IV secolo esso si trovava già in abbandono.

La testa di uno dei dadofori, una ciotola per il lavaggio rituale delle mani, e tre degli altari che furono ritrovati all’interno. 
Scarsissimi resti, invece, rimangono del tempio nel sito archeologico di Vindobala, all’interno del villaggio di Rudchester.

FIORE DELLA VITA
Gli altari scolpiti sono tre. Uno dedicato da Lucius Sentius Castus, della VI Legione, presenta da un lato del capitello una testa di toro con ghirlanda, dall’altro un berretto frigio del tipo indossato da Mitra. Alla base, un bassorilievo mostra il Dio in lotta con il toro. 

Evidentemente Lucio Casto era stato iniziato al grado di Miles (Soldato) e per questo fece realizzare l’altare.

Un altro riporta la dedica di Tiberius Claudius Decimus Cornelius Antonius e venne realizzato per il restauro del tempio, come l’iscrizione attesta. 

Sul capitello, delle borchie decorative riportano incisioni di Fiori della Vita. L’ultimo dei tre è più semplice e  reca la dedica al Dio Invitto da parte di Publius Aelius Titullus.


ONNUM

Hunnum (o Onnum, o col nome moderno di Halton Chesters) era il forte nord del moderno villaggio di Halton, Northumberland. Il suo nome significa ”La Rocca", riferendosi alla Down Hill situata ad est. Era il V forte, dopo Segedunum (Wallsend), Pons Aelius (Newcastle), Condercum e Vindobala.

Era situato a circa 7 miglia e mezzo da Vindobala, e a due miglia e mezzo a nord di Corstopitum. Il sito è tagliato in due dalla strada militare B6318, che corre lungo il muro del vallo.


CILURNUM

E' menzionato nella Notitia Dignitatum.e viene identificato con quello rinvenuto a Chesters nei pressi del villaggio di Walwick, nel Northumberland. Venne costruito nel 123, subito dopo il completamento del vallo ed è considerato uno dei forti per la cavalleria romana meglio conservati lungo il Vallo di Adriano. Nel sito si trovano un museo e resti di abitazioni.

Il forte era a guardia a un ponte sul fiume Tyne, di cui restano i pilastri, che portava alla strada militare dietro il Vallo.

Dapprima, come attestato da un'iscrizione di dedica alla dea Disciplina, il forte ospitò un'ala di cavalleria, l'Augusta, che serviva per incursioni di rappresaglia in territorio barbarico a nord del Vallo. Adriano incoraggiò il culto della Dea Disciplina tra le legioni di stanza al Vallo.

In seguito, come mostrano altre iscrizioni, ospitò truppe di fanteria: la prima coorte di Dalmati e la prima coorte di Vangioni, provenienti dall'alta Renania.


Dea Disciplina

Nel panteon romano, la Dea Disciplina era una divinità minore, personificazione della disciplina. Ad essa erano preposte l'istruzione, la formazione, l'autocontrollo, la determinazione e la conoscenza in un campo di studio, ma era anche un modo ideale di vivere. Soprattutto era la Dea della disciplina militare, verso Roma, l'imperatore e i superiori dell'esercito.

Fu venerata dai soldati romani soprattutto in età imperiale, in particolare quelli che vivevano lungo i confini. Altari a lei dedicati sono stati trovati in Inghilterra e in Nord Africa. Il forte di Cilurnum, lungo il Vallo di Adriano, era consacrato alla dea Disciplina, come testimonia un'iscrizione di un altare di pietra trovata nel 1978. 

Le sue virtù principali erano Frugalitas, Severitas e fidelis: frugalità, severità e fedeltà. Nell'adorare Disciplina un soldato diventava frugale nel denaro, nel consumare energie e nelle azioni. La virtù della Severitas veniva dimostrata nella sua concentrazione, determinazione e nel comportamento deciso. Era fedele alla sua unità, al suo esercito, agli ufficiali e al popolo romano.


BROCOLITA

TEMPIO DI BROCOLITA
Il tempio romano di Brocolitia

Brocolitia Roman TempleMitreo del III sec. appena fuori del forte di Carrowburgh. Esso era il più ampio di tali edifici che occupavano il sito. Il culto persiano di Mitra e del Dio Sole erano molto popolari tra i romani.

Nel 1837 venne scoperto il bagno militare romano fuori della porta ovest, e tre anni più tardi la torre di sud ovest. Insieme si scoprì il pozzo di Coventina, un santuario celtico della Dea delle acque, durante gli scavi del 1876. Un tempio del Dio Mitra venne scoperto qui nel 1949, e subito dopo di un altro tempio, dedicato alle ninfe delle acque.

VERCOVICIUM

VERCOVICIUM

VERCOVICIUM OGGI
Venne dificato in pietra intorno al 124, subito dopo la costruzione del Vallo.

Venne costruito sulle fondazioni originali del Broad Wall e della torretta 36B.

Il forte fu riparato e ricostruito varie volte, essendo le difese a nord spesso vicine al collasso.

A sud di esso esisteva un insediamento civile (vicus) fuori del forte, ed alcune delle pietre di fondazione sono ancora visibili, inclusa la "Casa del delitto" dove sono stati rinvenuti due scheletri posti in loco sotto un plancito appena messo, insomma una occultazione di cavadare.


AESICA

Fu un forte romano, un miglio e mezzo a nord della cittadina di Haltwhistle in Northumberland. Era il IX forte del Vallo di Adriano, tra Vercovicium (Housesteads) a est e Magnis (Carvoran) a ovest. Doveva fare la guardia al Caw Gap, dove il fiume Haltwhistle Burn taversa il Vallo. La strada militare B6318 passa a un miglio e mezzo a sud del forte.

Venne completato nel 128 dc. A differenza degli altri forti, Aesica è a sud del Vallo che in quel punto è più stretto, pur essendo presso le fondazioni preparate per il muro ampio e non se ne comprese il perchè.

Nel 1939 si capì che il forte 43 era già stato costruito in preparazione per l'ampio muro, e si pensa che fosse la presenza di questo forte che impediva alla parete nord della fortezza di edificarsi sulle fondamenta originali. Sembra che il fortino fu demolito quando il forte venne completato. Sia la porta che il muro est non furono mai rintracciati.


MAGNIS

Ovvero il forte romano di Carvoran, posto tra il castrum di Aesica a oriente e quello di Banna a occidente.

Fu costruito originariamente per controllare la congiunzione della strada romana che oggi si chiama Maiden Way, che da Magnis andava ad Epiacum ed a Kirkby Thore, con la Stanegate, la direttrice di approvvigionamento principale che congiungeva Coria (Corbridge) a est con Luguvalium (Carlisle) ad ovest; fu dunque edificato prima del Vallo di Adriano.
I suoi resti si trovano a Carvoran, nei pressi di Greenhead (Northumberland).



BANNA

Ovvero il forte romano di Birdoswald, era posto tra il forte di Camboglanna (Castlesteads) a occidente e quello di Magnis (Carvoran) a oriente.

Una strada romana, chiamata oggi Maiden Way, lo collegava al castrum di Fanum Cocidi, 11 km più a nord, col quale comunicava attraverso due torrette di segnalazione. 

Il castrum di Banna era in cima ad un alto sperone triangolare delimitato da scarpate a sud e a est e dominante un ampio meandro del fiume Irthing, in Cumbria. 

Si tratta dell'unico forte del Vallo di Adriano per il quale sia stato possibile dimostrare l'uso anche nel periodo successivo al dominio romano.

Aveva due vici esterni, uno a est e uno a ovest del forte. Accoglieva inoltre i principia (quartier generale), gli horrea (granai) e gli alloggi dei soldati; cosa insolita per un forte destinato alle truppe ausiliarie, nonchè una basilica exercitatoria (palestra),



CAMBOGLANNA

I RESTI DEL FORTE DI CAMBOGLANNA
Questo forte romano era posto tra il forte di Petriana (Stanwix) a occidente e quello di Banna (Birdoswald) a oriente. Situato ove sorge la moderna Castlesteads, si ergeva in cima ad un alto sperone che domina la Valle di Cambeck.

Esso si trovava a circa 11 km a ovest di Birdoswald, e controllava un importante accesso al Vallo, difendendo il versante orientale del Cambeck dagli invasori provenienti dall'area di Bewcastle.
Il sito fu drasticamente sbancato nel 1791, quando vi furono costruiti i giardini di Castlesteads House. 

Il forte era un quadrato di 120 m di lato che dominava il burrone del Cambeck, la cui erosione ha distrutto il lato nord-ovest del forte stesso. Esso fu costruito all'interno del Vallo, ma eccezionalmente staccato da esso, in quanto già costruito nel punto migliore per attraversare il Cambeck.


PETRIANA - UXELODUNUM 

Petriana (anticamente Uxelodunum) era un castrum romano posto tra il forte di Aballava a occidente e quello di Camboglanna a oriente. Situato ove sorge l'attuale Stanwix, in Cumbria, fu il forte più esteso di tutto il Vallo. Nisurava 180 m da nord a sud e 210 m da est a ovest, per un'area di circa 3,8 ettari.

Proprio per la sua grande estensione, non giustificata per una normale legione, si ritiene che abbia alloggiato una coorte miliaria di cavalleria. Gli studiosi optano per l'ala Augusta Gallorum Petriana, l'unico reggimento di quella dimensione del Vallo. Si trattava di un'unità ausiliare di prestigio, i cui soldati erano stati fatti cittadini romani per il loro valore sul campo di battaglia. Pare che il forte abbia preso dall'unità il proprio nome, che soppiantò quello originale di Uxelodunum.

Si riscontrarono alloggiamenti all'interno del forte, compreso, nel 1939, un vasto granaio  durante i lavori di ampliamento del cortile di una scuola. L'anno successivo vennero alla luce la torre di sud-ovest, oltre alle mura meridionali e orientali. Nel 1934 furono ritrovati degli oggetti che evidentemente furono trascinati nel fiume dal forte; tra di essi vi erano spille, supporti per le armature dei cavalieri e imbracature.


ABALLAVA

Il castrum era situato tra Petriana (Stanwix) ad est e Coggabata (Drumburgh) a ovest, corrispondente alla moderna Burgh by Sands.

PRINCIPIA
Aveva il compito di sorvegliare il lato meridionale di due guadi del Solway, Peat Wath e Sandwath, punti di accesso favorevoli agli incursori.

Era kungo 184 m (nord-sud) per 113 m (est-ovest) di larghezza, per un'area di quasi due ettari.

Si ritiene che il forte sia stato costruito sul sito della torretta 71b.

Una chiesa fortificata, costruita interamente con materiale di recupero del Vallo, fu successivamente costruita sul presunto luogo dei principia (quartier generale). A sud-ovest del forte era presente un vicus (villaggio), e a sud del forte un cimitero.


COGGABATA

Il forte era situato ove sorge l'attuale Drumburgh, si trovava tra Aballava (Burgh by Sands) a oriente e Maia (Bowness on Solway) a occidente. Il castrum venne costruito su di una collina che domina le pianure a occidente e oriente e la costa dell'estuario del Solway verso nord; onde controllare due importanti guadi del Solway: Stonewath e Sandwath.

Gli scavi nel 1947 hanno rivelato che la fortezza di pietra fu costruita verso l'anno 160 all'interno di una fortezza leggermente più grande con bastioni d'argilla livellati e che possedeva un grande granaio con contrafforti.


MAIA

Situato ove sorge la moderna Bowness-on-Solway, in Cumbria, era il forte più occidentale del Vallo, a ovest di Coggabata (Drumburgh).

La Notitia dignitatum non be parla, ma è citato dalla Cosmografia ravennate. Si ritiene che il nome del forte fosse Maia, «la più grande», in quanto il secondo più grande forte sul Vallo; esiste però la possibilità che fosse dedicato alla Dea Maia.

Il forte fu originariamente costruito con un bastione in torba e argilla, sopra una scogliera di 15 m, ma quando il Vallo fu ricostruito in pietra, anche il forte fu rifatto in pietra. Si ritiene che il forte misurasse 220 m per 130 m, per circa 3 ettari di superficie.


FANUM COCIDI

Ovvero il Forte romano di Bewcastle, un castrum romano a 11 km a nord del castrum di Banna, con cui era collegato da una strada e da due torrette di segnalazione. Il castrum era addetto all'avvistamento delle incursioni dei predoni provenienti da nord e le informazioni nel territorio al di là del Vallo. I suoi resti si trovano nei pressi del villaggio di Bewcastle, in Cumbria.

Il nome «Fanum Cocidi» significa «Santuario di Cocidio», per il culto del Dio nord-britannico Cocidio; infatti ci sono stati rinvenuti nove altari, di cui sei dedicati a Cocidio.


VINDOLANDA (di Agricola)

Vindilanda o Vindolandia invece era un forte di truppe ausiliarie costruito dai romani in Britannia per ordine di Gneo Giulio Agricola nel 79 dopo la conquista della Britannia del nord.

VINDOLANDIA
Si trova a circa due Km dalla parte meglio conservata del Vallo di Adriano, in Northumbria, al confine con l'odierna Scozia.
Di fatto serviva a vigilare sulla Stanegate, strada che andava dal Tyne al Solway Firth.

Dagli scavi archeologici risulta che il forte fu ricostruito molte volte.

Da questo forte provengono delle tavolette scritte in antico corsivo romano da cui emergono molti interessanti dettagli sulla vita delle guarnigioni delle zone di frontiera. 

Gli scavi archeologici in questo sito iniziarono negli anni Trenta del XX secolo.

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